lunedì 18 luglio 2016

LibRidine


 

Ho scoperto che esiste una sorta di gergo editoriale che definisce "lettori forti"  persone che leggono 10 o più libri ogni dodici mesi. Ho quindi appreso di essere una lettrice "forte", anzi, probabilmente fortissima, dal momento che, escludendo quello che leggo per studio o per lavoro, mi attesto sulla cinquantina di libri letti per piacere o interesse personale ogni anno (ma so di gente che viaggia tranquillamente sul centinaio, quindi in effetti c'è di peggio). Lettore forte somiglia  a "forte bevitore", non trovate? Ed in effetti penso che a molti sia capitato almeno una volta di provare la… libRidine, la sensazione più o meno marcata che in questo momento potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale, la tua famiglia potrebbe convertirsi in blocco al pastafarianesimo, la rete fognaria potrebbe venir deviata dal Comune nel tuo prato e tutte le tue unghie potrebbero incarnirsi… tutto ok, basta che ti lascino leggere in pace. O il brivido di piacere che corre su per la schiena quando si ha in mano un libro a lungo atteso o cercato. O, talvolta (soprattutto se fuori il tempo è brutto e gli impegni pressano), la struggente impressione che la vita sarebbe molto migliore se potesse consistere esclusivamente in una lunga teoria di letture, preferibilmente a letto, nutrendosi di tè e biscotti. O il piacere perverso (anche la libridine ha le sue perversioni) che si prova singhiozzando sconsolati su qualche passaggio particolarmente commovente o desolante, magari un bel Dickens che, in piena forma, sta facendo morire qualche suo personaggio tenero e indifeso, tipo il piccolo Paul Dombey (ops, spoiler, ma è bene saperlo: i bambini malaticci, in Dickens, tendenzialmente durano poco). O l'irrefrenabile istinto a possedere un determinato libro. Anche se lo si è già letto e riletto, anche se la libreria comincia ad avere seri problemi di spazio, ci sono libri che si devono avere. Soprattutto in quella nuova bellissima edizione speciale limitata commentata illustrata rilegata blasonata. O l'insensata tentazione di non scendere alla nostra stazione dal treno perché preferiremmo finire il capitolo. O il prendere in considerazione la possibilità di non scendere affatto, continuare fino a Foligno e finire direttamente il libro.

Ma scendiamo sul pratico. Quali sono le quotidiane avventure coniugali di una lettrice forte? Ebbene, nel mio caso il marito è un finto lettore forte, una sorta di impostore. Ora, non fraintendetemi. Damiano consuma una gran quantità annua di libri. Ma non legge davvero: studia, con la matita in mano e l'odiosa tentazione di fare, nella pagina bianca in fondo, elenchi di numeri di pagina circolettati per rimandi che potrebbero essere utili o interessanti in qualche articolo o approfondimento. Va da sé che legge quasi esclusivamente saggi. Divora la saggistica come patatine.
Ed è spaventosamente lento nella lettura "personale". Butta via il tempo libero in mille altri modi, è una persona irritantemente socievole, partecipa alla vita della comunità locale, ricopre incarichi di responsabilità in due o tre realtà diverse, suona in tre distinti gruppi musicali, va in palestra e a correre, cura l'orto e sta all'aperto, insomma si fa distrarre da una quantità di futili cose quando potrebbe stare a casa appollaiato su una sedia o seduto sul pavimento della cucina a leggere, mantenendo una raffinata aria malsana e pallida e la consistenza muscolare di un'ostrica, come faccio io. Gioventù sprecata!
Poiché due sposi dovrebbero condividere tutto, io sono sempre molto felice di esporgli dettagliati resoconti di qualsiasi cosa stia leggendo, conditi di esortazioni ad abbeverarsi lui stesso alla fonte di cotanto appagamento culturale. Ma se riesco a fargli iniziare effettivamente un libro che ho già letto e amato, in realtà sperimento presto la dolorosa agonia di vederlo avanzare lentissimamente, distrarsi in continuazione, e finisco per assillarlo con "dove sei arrivato? Come va? Ti piace? Ti è piaciuto quando…?"
Talvolta albeggia nella mia mente il dubbio che forse sono leggermente insopportabile, giusto un tantino. Ma, ahimè, che volete farci? La pena di non poter condividere col mio diletto sposo le emozioni della libridine non mi dà tregua.
A forza di arrovellarmi, mi rendo conto che la soluzione l'avevo già scovata anni fa, quando eravamo ancora fidanzati, in effetti. Lettura condivisa ad alta voce. Lui sembra prestarsi volentieri. E il ritmo posso dettarlo io. Resta da capire se quando leggo mi ascolta...

lunedì 27 giugno 2016

Autobiografia di una zucchina

«Ciao,
io sono una zucchina.
Gli esseri umani ci concepiscono come il punto finale di un lungo processo naturale, perché ci mangiano; dal loro punto di vista, quindi, quella che sarebbe la tappa successiva del ciclo vitale della nostra pianta, ovvero il seme, rappresenta invece l'inizio.
Ed è proprio da lì che anche io inizierò la mia storia, uniformandomi al punto di vista del mio coltivatore (che ringrazio per lo spazio concessomi nel suo blog).

In principio era, anzi ero, il seme. Un seme grossetto, di forma ovale.
Damiano mi ha piantato nel terriccio, al caldo, dentro una bella serretta: il mio spazio vitale era un centimetro cubo di terra circondato da plastica nera, ma tutto sommato mi bastava.



Ogni tanto arrivava dell'umido, che io assorbivo lentamente. Quando mi sono sentita a mio agio, dopo un paio di settimane, mi sono aperta, e ho cominciato ad espandermi nel terriccio, che diventava sempre più angusto mano a mano che crescevo. Così Damiano mi ha travasato in uno spazio più grande. Quello che era stato il mio seme adesso sembrava la protuberanza di una mia foglia.




Scoprii la provenienza di quell'umidità. Un annaffiatoio regolarmente forniva a me e alle mie sorelle dell'acqua liquida! Facevamo più o meno una doccia al giorno (più di quanto si lavi Damiano, in effetti). Crescevo bene e sana, ma iniziavo a sentirmi davvero troppo stretta, e in più in quella serretta il caldo stava diventando insopportabile. Per fortuna, dopo altre due o tre settimane, mi hanno trasferita in campo aperto.



Aria pura!! Sole e pioggia!! Terreno in abbondanza, e pieno di elementi nutritivi!! Ero felicissima. Scoprii presto, però, anche gli svantaggi di quella vita libera: ero circondata da ciuffi d'erba che crescevano inesorabilmente, e le mie foglie, un tempo tanto belle e gentili, cominciavano a essere bucherellate dalle lumache affamate. Decisi di reagire, crescendo sempre di più: così avrei soffocato le pretese di quell'erbetta insipida, e le mie foglie sarebbero state troppo amare per quei vermi col guscio!


Trovai più pioggia che sole, e questo alla lunga mi spossava un po': per di più le docce della pioggia non erano pulite come quelle dell'annaffiatoio, e un paio di volte piovve così forte che la terra smossa mi sporcò tutte le foglie! Per fortuna il mio coltivatore qualche volta mi puliva, e strappava anche l'erba che opponeva resistenza.
Crescevo e crescevo, e piano piano il sole cominciava a scaldarmi per bene. C'erano ormai le condizioni per maturare: così, al principio di giugno, cominciai tiepidamente ad allungarmi, e dalla mia testa spuntò un ciuffo giallo che la mattina si apriva e nel pomeriggio si richiudeva. C'erano anche altri ciuffi gialli intorno a me, che facevano capolino tra il verde delle larghe foglie: Damiano li raccoglieva per friggerli, invece il mio rimase al suo posto finché...


... a metà giugno, Lui decise che ero abbastanza grande per essere colta. Ero la prima dell'orto, e mi guardava con sguardo rapito!! Mi prese e mi portò come un trofeo da Diletta, sgranando un sorriso radioso.


Pensavo di essere entrata nelle loro grazie, e invece mi rapirono e mi rinchiusero in frigo, dove ebbi uno shock termico! Capii che ci sarei rimasta poco: parlavano troppo di me. Dopo un paio d'ore mi hanno tirato fuori, e mi hanno chiesto di raccontarvi questa storia sotto minaccia di un coltello. Adesso la mia storia è finita, non so cosa accadrà, ma fino ad ora ho vissuto abbastanza bene. Queste, in effetti, potrebbero essere le mie ultime parole».

Esatto.

lunedì 20 giugno 2016

Periodica...mente



In quest'era digitale Via delle Cose Nuove è ancora attaccata in modo rimarchevole alla carta stampata. E non soltanto per il numero di libri in costante aumento, ma anche per quanto riguarda la stampa periodica. Siamo sommersi di stampa periodica. Probabilmente siamo tra gli utenti più rognosi del servizio postale, qui sull'altopiano valdarnese.  Compriamo un giornale ogni tanto, in genere per leggere qualcosa in treno. Ci teniamo aggiornati su quello che succede nel mondo quasi esclusivamente grazie a internet. Ma le riviste… le riviste sono un'altra cosa. Ne abbiamo per (quasi) tutti i gusti. Alcune ci arrivano addirittura contro la nostra volontà. Dividiamole per categoria: 

 -La stampa associativa.
In realtà questa espressione potrebbe in sé significare quasi ogni cosa, ma per noi la stampa associativa è inequivocabilmente la stampa legata all'Agesci, la più importante associazione scout d'Italia, cui siamo iscritti da decenni entrambi. Indirettamente, censendoci ogni anno, manteniamo il diritto a ricevere quella che potremmo chiamare la scout-stampa, e che infatti non manca mai di arrivare, puntuale, a destinazione. L'Associazione ha un periodico per ogni fascia d'età dei ragazzi che educa, ma noi siamo soci adulti, per cui la questione è un tantino diversa, un tantino più… affollata. Per prima cosa, riceviamo Proposta Educativa (in duplice copia, è ovvio, una per me e una per lui), la rivista dei capi Agesci. Poi, essendo entrambi capi brevettati (ossia avendo conseguito, tramite appropriato percorso di formazione di più anni e appositi campi scuola il riconoscimento internazionale che certifica che siamo capi scout a tutti gli effetti), riceviamo RYS Servire, rivista di approfondimento di misteriosa origine elargita a tutti i capi del nostro status, nota per il formato quadrato e la straordinaria verbosità elucubrante dei contenuti (non credevate che fosse possibile fare tanta teoria sullo scoutismo, eh?). 

 Inoltre, essendo toscani, è immancabile la rivista della sezione regionale dell'Associazione, ossia Toscana Scout, dove, dato l'ambito relativamente ristretto a cui si fa riferimento, non è raro che compariamo in foto o che vediamo comparire qualche nostra conoscenza. C'è poi la questione dell'essere capi unità. I capi unità, responsabili delle varie branche di ragazzi (precisazione utile a chi non è nel giro) ricevono anche la rivista destinata ai loro ragazzi, quindi negli anni, a più riprese e a seconda dei nostri incarichi siamo stati raggiunti da vari numeri di Giochiamo (la rivista dei lupetti), Avventura (quella degli esploratori) e Camminiamo insieme (quella dei rover). E non è finita. Ci sono anche gli speciali, cosa credevate: sporadicamente arrivano fascicoletti sulla catechesi narrativa o sulle esperienze in ambiente acqua, per non parlare dei materiali annuali del Consiglio Generale, seguiti, dopo che il Consiglio Generale stesso ha avuto luogo, dagli Atti del Consiglio Generale. Insomma, non so se è chiaro, ma con tutta la scout-stampa che riceviamo in un solo anno potremmo agevolmente tappezzare l'intera Casina con un'originale carta da parati. Solo la scrupolosità collezionistica della sottoscritta impedisce che ciò avvenga, e ripone tutti i numeri in appositi contenitori, pronti per la consultazione (no, finora non li abbiamo mai consultati).

 -La catto-stampa.
Anche la catto-stampa è una categoria vasta e variegata, alla Casina. Riflette in effetti le nostre eclettiche relazioni e i nostri variegati interessi all'interno del mondo cattolico. Chi non ne fa parte forse stenterà a credere quanto possano essere diverse le posizioni e numerose le varie realtà interne (del resto anche Agesci è un'associazione cattolica, quindi immagino che potremmo far rientrare in senso lato nella catto-stampa anche tutto il paragrafo precedente). Si parte dal reazionario Timone, per anni caratterizzato da una grafica talmente naif da fare concorrenza agli opuscoli dei Testimoni di Geova (a proposito, ce ne passano in abbondanza tra le mani anche di quelli, e li troviamo nella cassetta della posta, pur non essendo abbonati), del tipo immagine di fulmine se si parla di argomento triste, immagine di corsa su prato verde se si parla di argomento lieto. Anche se non rendeva giustizia allo spessore e all'interesse dei contenuti, il tutto aveva un certo fascino, tanto che, quando di recente la veste grafica è stata rivista sono persino arrivate lettere di protesta in redazione. Poi riceviamo Tracce, il mensile di Comunione e Liberazione, al contrario di Timone assai sofisticato e di respiro internazionale nei contenuti (giusto un po' monotematico-ossessivo nella parte dedicata alle lettere, come del resto ci si aspetta dal periodico di un movimento: nel volto di Tizio ho incontrato una Persona etc etc). 

Dal globale al locale, in casa arriva anche Corrispondenza, il semestrale della Diocesi di Fiesole, un dotto almanacco dai larghissimi fogli, stampato su carta così spessa che sembra bristol color crema, i cui spassosi contenuti riguardano principalmente revisioni degli antichi archivi delle parrocchie, approfondimenti architettonici e artistici sulle pievi della campagna valdarnese, contributi filosofici e teologici di varia natura. E' così gloriosamente fuori moda che è impossibile non amarlo. E considerando il numero di preti che conosciamo e/o frequentiamo, non è strano nemmeno che ci arrivi a casa Il Cenacolo, foglio periodico redatto e stampato dai giovani del seminario di Fiesole (in effetti non preti a tutti gli effetti ma wannabe-preti), parte dei quali sono del resto studenti di Damiano alla Facoltà Teologica.


-Varie.
Una categoria in cui per ragioni d'ordine metteremo tutto ciò che non abbiamo nominato fino ad ora. Per esempio, gli interessi professionali e para-professionali di Damiano: Philosophical News da una parte, Prog dall'altra: quest'ultima una corposa rivista sul progressive rock sempre a rischio di chiudere i battenti ma che lotta coraggiosamente per uscire dalla nicchia, mantenendo comunque toni e testi assolutamente autoreferenziali e per lo più nostalgici, visto che l'età d'oro del prog è tramontata da un po'. Se una profana come me fa l'esperimento di aprire un numero a caso e mettersi a leggere, si imbatte in paragrafi del genere: "Riguardo la strumentazione, McLaughlin, da chitarrista di vecchia generazione, non è mai stato troppo coinvolto dal mondo dell'effettistica, sebbene sia stato attento ai cambiamenti e ai progressi della tecnologia sulla musica, utilizzando in modo pionieristico sistemi all'avanguardia di chitarra synth e MIDI Synclavier, Photon, Roland, Axon, Fishman e il computer Mac, sia per la composizione/registrazione che dal vivo al posto di un vero amplificatore e degli effetti per chitarra". Gasp! Siamo poi stati abbonati per un po' di tempo ad Altroconsumo, da bravi consumatori responsabili intenzionati a vincere la lotta contro il Golia della grande produzione, ed in casa circolano, per motivi professionali, diversi numeri di Nuova Secondaria (dedicata all'insegnamento).

Ma dopo questo excursus, ci chiederete, qual è la rivista che veramente, veramente leggete subito? Di cui condividete letture ad alta voce in cucina? Che estraete immediatamente dall'involucro?
Ebbene, non ne abbiamo ancora parlato. La rivista di maggior successo in via delle Cose Nuove è L'Informatore Coop. No, non stiamo scherzando. L'informatore Coop, che vi rifilano alla cassa e che vi dà diritto a ben cinque punti premio se lo ritirate da soli invece di farvelo spedire. Tra condiscendenti approfondimenti sulle creme per le mani, agendine di appuntamenti popolar-culturali della Toscana e le quattro pagine centrali degli articoli in offerta ogni mese, ha anche un'imperdibile rubrica: quella delle lettere. Se non l'avete mai fatto e ve ne capita un numero tra le mani, leggetela. In queste due paginette, decine di soci e consumatori scrivono missive il cui tono predominante è minaccioso-indignato per contestare tutto - tutto, seriamente!- dell'organizzazione del supermercato in cui fanno la spesa. A quanto pare lo considerano un loro dovere, così come la redazione considera suo dovere pubblicarle e rispondere pazientemente anche alle pretese più assurde. Queste rimostranze, portate avanti con un'acribia che ci affascina, sono a dir poco esilaranti, e ci fanno sentire dei veri sciagurati per non fare la spesa con l'occhio di lince del consumatore medio Coop. Interventi del tipo:
"Ho notato che la vostra confezione di Mirtilli del Borneo Viviverde ha aumentato il suo prezzo di oltre il 13,72 per cento nelle ultime quattro settimane, considerando IVA e inflazione. Vorrei delle spiegazioni in merito ad un tale patente esempio di vorace avidità, che vi spinge a turlupinare il compratore in questo modo indegno."
"Devo constatare con dispiacere che il Salmone Affumicato Norvegese Fior Fiore Coop è prodotto, a quanto dice l'etichetta (scritta astutamente in piccolo per ingannare noi poveri consumatori) per oltre il 99% in acque non italiane!!!!  Dovreste vergognarvi! E' così che sostenete la crisi e promuovete il Made in Italy?"
"Vorrei formalmente protestare per la sparizione dei nomi dei santi dal calendario Coop. Infatti ora non so più quando fare gli auguri per gli onomastici ai miei cugini."
"Vorrei formalmente protestare per il mantenimento delle festività religiose di Natale e Pasqua nel calendario Coop. E' vergognoso che una cooperativa ispirata ai valori della laicità come Coop mantenga ancora in vita tali bieche superstizioni!"
"Siamo nel 2016 ed ancora usate vaschette in polistirolo per commercializzare i vostri prodotti! Non lo sapete che il polistirolo è inquinante, è la quattordicesima causa di morte della fauna ittica e provoca anche il cancro? Perché non convertite l'intera produzione e distribuite i prodotti sfusi direttamente nelle mani dei clienti? Penso che sarebbe un piccolo ma importante contributo alla salvaguardia del pianeta."
"Da ormai dodici anni compro ogni settimana il tonno in scatola coop. Purtroppo, martedì scorso ho dovuto constatare che la confezione è cambiata, riportando una foto di tonno diversa e la scritta "Tonno in Scatola" più piccola e non in grassetto. In questo modo si confonde il cliente, ho impiegato quasi trentacinque minuti a raccapezzarmi. Non si potrebbero mantenere tutte le confezioni chiare e ben riconoscibili come erano nel 1975, anno in cui ho fatto la tessera per essere vostra socia?"
"Sono tormentato ogni volta che metto piede in uno dei vostri supermercati dalla vista di bambini molesti e maleducati che appollaiati sui seggiolini dei carrelli toccano con mani piene di batteri tutti i prodotti. Vorrei suggerire di sostituire detti seggiolini con un sistema di guinzagli da attaccare ai carrelli, più efficiente e a mio avviso più sicuro per tenere sotto controllo gli individui al di sotto dei dodici anni."
(Notare i titoli d'inchiesta delle lettere...)
…Ok, in alcuni casi abbiamo un po' calcato la mano. Ma non troppo, ve lo assicuriamo. Altro che scout-stampa, catto-stampa e riviste varie. E' questo il vero intrattenimento!

mercoledì 11 maggio 2016

Giapponerd


 
Credo di essere stata una dei pochi ragazzini della mia generazione cresciuta con una cultura prossima allo zero in fatto di animazione giapponese. Non parlo di cinema, che in fondo è stato sdoganato solo negli ultimi anni e resta comunque di nicchia in Italia, ma proprio di cartoni animati. Fino ai dieci anni il poco di televisione concessa in casa mia si limitava al Disney Club il sabato pomeriggio, dopo i miei dieci anni ci siamo trasferiti in una casa la cui posizione sul fianco di una collina rendeva praticamente inguardabili tutti i canali Mediaset, soprattutto Italia 1, e abbiamo tirato avanti con la Rai fino all'arrivo di Sky. Quindi, anche volendo, sarebbe stata un'impresa quasi impossibile. Ricordo gli sforzi titanici per seguire l'unico cartone animato giapponese della mia preadolescenza, Rossana: le puntate che non riuscivo a vedere a casa della mia amica Chiara le decifravo tra puntini e bruscolini e un onnipresente rumore di fondo. Mi sono arresa presto. Certo, non ero proprio alienata: sapevo che Holly e Benji giocavano a calcio e Mila e Shiro a pallavolo, sapevo che Terry e Meggy andavano "quaaaa e laaa, senza viaggiaaaare"  e che Heidi era triste laggiù in città, e persino che Anna dai Capelli Rossi aveva "due grammi di felicità" (espressione invero sibillina e piuttosto fraintendibile). Alle elementari avevo giocato a Sailor Moon, o per lo meno a un generico gioco di "poteri" con amiche che guardavano il cartone e mi istruivano sulle frasi da pronunciare ("potere del cristallo di luna, vieni a me!"). Sapevo che in Dragon Ball si parlava di Sfere del Drago, anche se ancora oggi non ho la minima idea di cosa questo significasse. Alle medie, alcune delle mie amiche più care erano innamorate di questo anime, per non parlare dei suoi protagonisti. Io, che non avrei potuto guardarlo neanche volendo (puntolini, bruscolini e rumore di fondo) e non ero particolarmente colpita dal look di tali personaggi, sorridevo e annuivo, mentre dentro di me cresceva un piccolo presuntuoso mostriciattolo: il germe della sufficienza. In pratica, mi sembrava di essere più intelligente perché non amavo qualcosa che piaceva a tanti, senza per altro conoscerla affatto: atteggiamento deleterio che a tredici anni mi avviava a diventare una perfetta pseudo intellettuale snob.
Quindi adesso mi cospargo il capo di cenere, e vi chiedo scusa, cara Laura, cara Fiammetta, per aver pensato che Dragon Ball fosse una cretinata. Non perché ora lo ritenga un capolavoro: come accennavo, non ho mai visto una sola puntata. Potrebbe benissimo essere effettivamente una cretinata (o un capolavoro), ma  la mia lontananza in parte involontaria in parte coscientemente cercata e persino ostentata verso l'animazione giapponese, che ha le sue radici, credo, proprio nel disprezzo verso Dragon Ball, ha permesso che io passassi il quarto di secolo senza mai vedere alcuni veri capolavori solo perché, un po' distrattamente un po' inconsciamente, li ascrivevo a un filone di cose che… "non sono il mio genere".

 


Tutto questo discorso per dire che una mia passione recente, quella per i film di Miyazaki, sarebbe forse meno recente se io non avessi evitato tutta l'animazione giapponese in blocco per anni. 
Invece siamo dovuti arrivare a tre anni fa, ad una serata sola in casa, con Damiano via per lavoro, e a un vuoto totale di idee su cosa scegliere di guardare per passare il tempo stirando (cose del passato, intendiamoci, ora c'è Netflix!) per cominciare a vedere un film dello Studio Ghibli, Arrietty. Scelto solo perché da ragazzina avevo letto il libro da cui è tratto, Sotto il pavimento di Mary Norton. Quando ho premuto play non sapevo nulla di Studio Ghibli. Ero stanca, volevo staccare il cervello, mi aspettavo un cartone per bambini, facile facile, che raccontasse, probabilmente involgarendola un po', una storia di cui avevo vaghi ricordi. Quando il film è finito ero piuttosto sconcertata. Ritmi inaspettatamente lenti. Musica inaspettatamente bella. Idee realizzate in modo inaspettatamente delicato, raffinato, intelligente. Insomma, un film di cui si poteva dire tutto, anche che era noioso, ma davvero ineccepibile sul piano del rigore formale, senza un'oncia di volgarità o di messaggi frusti o banali. 
Ho letto qualche recensione, cercato qualche informazione sullo Studio Ghibli e su questa onnipresente e ipercitata figura di guru dell'animazione quando si parla dello Studio: Hayao Miyazaki. All'epoca ero così ignorante che per mesi non mi sono neanche resa conto che Arrietty non è  un film di Miyazaki, ma è diretto da un altro animatore dello studio. 
Non è stato un colpo di fulmine, ma un amore lento. Arrietty aveva capovolto un pregiudizio e fatto nascere una curiosità. Kiki consegne a domicilio è stato il primo film di Miyazaki per me, confermando le sensazioni positive. Ma il punto di svolta è stato  Il mio vicino Totoro. Avevo cominciato a guardarlo sul tavolo di cucina una sera, di nuovo sola, pensando di spostarmi a letto una volta sparecchiata la cena, con il computer, per stare più comoda. Sono rimasta appollaiata sulla sedia per tutti gli 86 minuti di durata, come ipnotizzata. Non riuscivo a credere che un film ambientato nella campagna giapponese degli anni '50, protagoniste due bambine, toccasse corde così profonde nel mio cuore. Ero commossa, entusiasta, deliziata. Mi sono letteralmente innamorata di questo film, che mi ha tanto impressionata da non poterne parlare approfonditamente qui. Basti dire che la mia fruizione di Miyazaki ha smesso di essere casuale per diventare sistematica. Lentamente, nel corso degli ultimi due anni, ho visto praticamente tutti i titoli dello Studio Ghibli, per lo meno quelli distribuiti anche in Italia. 
Non ho alcuna pretesa di essere una giapponerd, malgrado il titolo di questo post, ma ho amato (quasi) tutti questi film: sono come un filone d'oro scoperto inaspettatamente nelle miniere del cinema d'animazione.

Veniamo però al rovescio della medaglia. Attualmente, i film sono distribuiti in Italia da Lucky Red, con un doppiaggio in italiano (curato da un tale Gualtiero Cannarsi) inconfondibile per la sua peculiarità, e che divide a metà gli spettatori tra chi apprezza e chi odia ferocemente la trasposizione. 
La sottoscritta non conosce il giapponese, ma come qualunque spettatore, anche casuale, non ha potuto non notare alcune strane rese nei dialoghi. Cercando qualche spiegazione in rete, pare di capire che Cannarsi opti per una versione dei testi molto fedele alla forma dei dialoghi originali, compreso il mantenimento di alcune tipiche costruzioni sintattiche e di usi peculiari della lingua giapponese: inversione rema-tema, ripetizioni, nomi di famiglia particolareggiati e uso di diminutivi, vezzeggiativi in quantità, costruzioni verbali ridondanti. C'è poi una spiccata predilezione per le varianti italiane meno frequentate, talvolta desuete o eccessivamente connotate. 
Tutto questo restituisce un'impressione "esotica" e lontana ai dialoghi che, per quanto mi riguarda, ha un certo fascino, se si mantiene nei limiti del buonsenso: ad esempio l'ho piuttosto apprezzata in Totoro. Però non posso negare che a volte l'ho trovata pesante, e, quel che è peggio, in certi casi decisamente ridicola, il che non era certo nelle intenzioni di chi ha scritto i dialoghi originali. Avendo ormai visto un buon numero di film, e anche, in certi casi, adattamenti diversi (alcuni infatti sono stati distribuiti in Italia anche prima dell'epoca Lucky Red, e circolano quindi più doppiaggi che possono essere messi a confronto), noto tra l'altro che la tendenza cresce e si radicalizza sempre più ad ogni nuova uscita. 
La pletora di "mammina", "papino", "nonnina", "sorellona" e via discorrendo suona assurda e pesante a orecchie italiane, per non parlare della ragazza che per tutta la durata di Si alza il vento si rivolge al fratello maggiore chiamandolo Secondo Fratello. "Secondo fratello" qua, "Secondo Fratello" là… un tantino inascoltabile.
Ma queste sono rese che hanno ancora, almeno, il pregio di darci un'informazione culturale da leggere tra le righe, per esempio sulla struttura familiare e sociale giapponese. Certe altre frasi tradotte nel doppiaggio non hanno neanche questo vantaggio, e  sono non pesanti quanto esilaranti, al punto che possono essere direttamente trasformate in meme, come fa la pagina facebook Gli sconcertanti adattamenti italiani dei film Ghibli (da cui ho tratto le immagini che vedrete poco più sotto).
L'effetto-meme di questi adattamenti, però, per quanto esilarante, è piuttosto ingiustificabile, perché contribuisce a mantenere opere che sono già poco conosciute in Italia in una nicchia di appassionati che sono disposti a sciropparsi anche dialoghi a volte ai limiti dell'assurdo per il valore intrinseco dei film, mentre scoraggia molti spettatori casuali, nuovi potenziali fruitori, che potrebbero legittimamente chiedersi che diavolo stanno guardando. Insomma, nel complesso non mi sembra si renda un buon servizio a questi capolavori. 
Di seguito alcune perle tratte dagli adattamenti, purtroppo tutte verificate con le mie orecchie, e che a volte mi hanno strappato sonore risate. Giudicate un po' voi…

 
 (Caspita, che pathos!)



  (I pronomi, questi sconosciuti)


 
 (Perchè un'espressione un minimo in uso in italiano proprio non si poteva trovare.)




(No comment!)



(Giusto un po' ridondante la costruzione "vado a recarmi", anche senza tener conto del fatto che la nonnina (!) in questione vive nella stessa casa, quindi in effetti la ragazza sta dicendo che va nell'altra stanza.)



(Concludiamo in bellezza. Qui siamo alla pura follia...)