venerdì 25 dicembre 2015

Natale

"Il Natale, per noi, nel Cristianesimo è diventato una cosa, in un certo senso, semplicissima. Ma, come tutte le verità della tradizione cristiana, esso è, in un altro senso, una cosa assai complessa. La sua unica nota è che esso tocca simultaneamente molte note: umiltà, gaiezza, gratitudine, paura mistica e anche attesa drammatica. E' non soltanto un'occasione per i pacifisti come per i gaudenti; è non solo una conferenza pacifista o una festa invernale scandinava. C'è in esso anche una sfida; qualche cosa che fa suonare bruscamente le campane a mezzanotte come i cannoni di una battaglia appena vinta. Tutta questa indescrivibile atmosfera natalizia pende in aria come una fragranza non ancora svanita dell'esultante esplosione di duemila anni fa in quell'ora unica sui colli della Giudea. Ma il sapore è nettamente riconoscibile; è qualche cosa di troppo sottile o di troppo solitario per essere reso da quel che intendiamo con la parola "pace". La gioia della grotta era simile all'allegria di una fortezza o di una tana di briganti; intesa nel suo vero significato, non sarebbe impertinente dire che era l'allegria di una trincea. (…)
Questo è forse il più grande dei misteri della grotta. E' evidente che, sebbene agli uomini sia stato detto di cercare l'inferno sotto la terra, in questo caso era il cielo che stava sotto la terra. In questa strana storia c'è come l'erompere del cielo. Questo è il paradosso della situazione: d'ora innanzi le idee più alte non potranno agire che dal basso."

(G. K. Chesterton, L'Uomo Eterno)

domenica 20 dicembre 2015

IL LIMONDINO. Uno strano coso nuovo


Questo "mandarino" è nato da un albero di limone. Il nostro.
Sembra incredibile ma è così. 
Stavo riponendo l'agrume nella sua serretta invernale, quando Dile mi fa: «Dama, ma quel limone è arancione».
Io naturalmente non mi ero accorto di niente (per chi si stesse chiedendo come mai, ecco la risposta), ma in effetti la forma poco ovale avrebbe dovuto suscitarmi qualche dubbio.
Ad ogni modo, fidandomi più del mio olfatto che della mia vista, l'ho annusato e mi sono ripreso: «Tranquilla Dile, lo senti che la scorza odora di limone? Sarà stato un caso, magari dovuto a qualche concime strano.... è solo un limone venuto male!».
Invece no.
Lì per lì lo abbiamo riposto in frigo, ma dopo un po' di giorni ci è venuta la curiosità e lo abbiamo assaggiato: è un mandarino aspro, il sapore è un mix tra quello del limone e quello del mandarino.
È un Limondino.

E la cosa non si è fermata: adesso i limondini sono tre!
Insomma, il nostro alberello, dopo tre anni di onoratissimo servizio, all'improvviso è impazzito, e ora produce metà limoni e metà "così nuovi".
Non ci credete vero? Allora guardate la foto della verità.

In alto a sx un limone, in basso a dx un limondino
Ora, chiedendo a amici e parenti agronomi, le possibili spiegazioni sono due:
1) Il limone era stato innestato su un portinnesto di mandarino, magari di una varietà non molto buona da mangiare ma resistente e adatta agli innesti. Dopo tre anni, da sotto il punto di innesto sono rispuntati dei rami della pianta originaria che hanno prodotto il mandarino asprognolo.
2) Per alcuni mesi abbiamo tenuto il limone accanto a un albero di mandarino. Il mandarino ha impollinato il limone, che così, per questa fioritura, ha prodotto alcuni frutti "incrociati".

Se è vera l'opzione 2, la pianta dalla prossima fioritura tornerà a produrre soltanto limoni: quindi addio limondini. 
Se è vera l'opzione 1, la pianta continuerà a produrre, da certi rami, i mandarini aspri.

Lo scopriremo solo vivendo (se i limondini non sono tossici), e tra qualche mese vi aggiorneremo sugli sviluppi della faccenda. Intanto, se avete qualche spiegazione alternativa o qualche approfondimento in merito, dite pure!

Per quanto ci riguarda, continuiamo a attestare la meraviglia per una natura che, dopo millenni, continua a stupire e interrogare l'uomo.











martedì 8 dicembre 2015

IL CAMBIO DELL'ARMADIO

Cari amici,
nell'attesa di elaborare una teoria convincente per una stranezza molto stranissima che è accaduta recentemente ad un alberello di via delle Cose Nuove – e che ovviamente sarà oggetto di un prossimo post –, oggi ho deciso di sviluppare un argomento che ho da molto tempo nella testa... e nella cartella del mio mac.
Stiamo parlando del cambio dell'armadio. 
Sì, lo so che è un po' tardi per parlarne, ma neanche poi troppo, visto che quest'anno abbiamo avuto temperature alte fino a metà novembre.... e soprattutto considerato che Dile lo ha finito praticamente l'altro ieri!
"Sì Dile, sto esagerando", va bene. 
Ma la differenza tra il mio cambio dell'armadio e il suo cambio dell'armadio è veramente notevole.
Non si tratta soltanto del tempo impiegato. È proprio una differenza di sostanza.
Per me il cambio dell'armadio è una cosa secondaria da fare quando ho una mezz'oretta di tempo, nell'arco di un mese. 
Ma per Dile è un rito.
Con delle regole precise, un suo tempo sacro, una richiesta di totale dedizione. 
Sia che si tratti della transizione da inverno a estate, sia viceversa, la scena iniziale è la stessa: torno a casa e trovo il letto pieno di vestiti.



Realizzo che il rito è iniziato. Io sono un estraneo, non posso capirlo, non ho nessun ruolo. "Ciao, sto facendo il Cambio dell'Armadio", dice la Sacerdotessa. La formula, tradotta, vuol dire "vattene"; e peraltro è proprio ciò che voglio fare (quando si dice il feeling matrimoniale!). 
Saluto ed esco dalla camera.
E non ci rientro fino alla sera.

Dopo una mezz'oretta inizia la musica sacra. Questa cambia a seconda che siamo in autunno o in primavera. In primavera si cominciano a sentire musiche allegre, che preludono a gonnelline, magliette corte, costumi da bagno... in autunno invece risuonano melodie cantautorali, più raccolte, più da casafuocolana. 
Ad ogni modo, Dile entra in trance sciamanico, e inizia a cantare mentre compie misterici gesti: organizza le cose per colore, ma anche per pesantezza, ma anche per lunghezza, ma anche per tipo di tessuto, ma anche per "serata elegante" o "festa casual" o "finto freak".
La combinazione di questi criteri così diversi forma un complicatissimo algoritmo, che la Cabala al confronto è un Sudoku livello 1. Solo lei lo conosce, solo la sua mente può gestirlo.

Finita la prima fase, inizia la seconda. Che consiste nel riporre gli indumenti della stagione che sta finendo nelle scatole. Anche qui la logica sfugge a chi non è addentro ai misteri: è impossibile che tutta quella roba entri in così poco spazio. Ma il miracolo, in qualche modo, le riesce.



Ed eccoci alla fase tre, che consiste finalmente nel mettere nell'armadio, adesso vuoto, i vestiti della nuova stagione. È in questo momento che un sorriso estatico comincia a dipingersi sul volto della Sacerdotessa. Essa pregusta la gioia immensa di potersi sbizzarrire con nuove mirabolanti combinazioni di indumenti, sempre adatte all'occasione. 
Perché il corpo di una donna è la sua bambola preferita.

Infine, Tutto è Compiuto.
Viene la sera, entro di nuovo in camera, il letto è tornato libero. 
Dile è spossata, come dopo una lunga e intensa fatica, ma contenta. Ha compiuto il suo dovere. Il rito è riuscito anche stavolta.
"Vado a farmi un tè e una doccia", dice. "Ok, io intanto vado a letto".
Non è vero. Faccio veloce il cambio dell'armadio, mettendo roba a casaccio qua e là, premendola a forza nelle scatole, piegandola come se stessi facendo la pasta per la pizza.
Quando torna ho già finito, possiamo andare a letto e dormire.

Perché domani, lei lo sa – e anche io –, c'è il cambio delle scarpe.


venerdì 13 novembre 2015

TOPINAMBUR - Il contorno ideale per i vostri piatti di carne umana

Dopo l’Alchermes, occupiamoci oggi di un altro abitante dal nome esotico che ci tiene compagnia in via delle Cose Nuove: il TOPINAMBUR. Fa ridere solo a leggerlo! Però vi assicuro che fa meno ridere se ce l’avete in giardino. 

Questo simpatico vegetale, infatti, si riproduce nelle zone umide a una velocità impressionante, e in una quantità esagerata di esemplari. Il primo anno che ci trasferimmo in questa casa, poveri ignoranti, non sapevamo cosa fossero quei teneri arbustelli che spuntavano dal terreno in aprile. Non ne estirpammo neanche uno. Finché ci ritrovammo verso settembre con decine e decine di piante robuste e giganti, che arrivavano ad una altezza di tre metri! Eravamo già pronti con motoseghe, asce a due mani e diserbanti assolutamente non ecocompatibili, quando un giorno, in ottobre, cominciarono a spuntare dei fiori stupendi, dipinti di un giallo luminosissimo, che facevano bene al cuore al solo guardarli. E anche noi ci intenerimmo. Ma come si fa a distruggere uno spettacolo così?



I fiori resistettero per un mese intero, allietando la nostra e le altrui viste. Ma alla fine, quasi a dicembre, appassirono, e noi eravamo nuovamente pronti per la deforestazione… 
Se non che, proprio in quei giorni, passò un’amica un po’ freak da casa nostra e, vedendo quel bosco in giardino, esclamò: «Nooooo, spettacolooooo, avete tantissimi TOPINAMBUR!! (scroscio di risa incontenibili). Ma lo sapete che si MANGIANO??» 
A questa parola magica mi fermai all’istante: tutto ciò che è commestibile merita rispetto profondissimo. Qui bisognava informarsi meglio, prima di procedere con l’annientamento totale.
Così abbiamo fatto, ed ecco in sintesi cosa abbiamo scoperto.
1) La parte commestibile del Topinambur è la radice, che si raccoglie da dicembre in poi per tutto l’inverno; il problema è che le radici formano un complicatissimo e intricato rizoma che può espandersi anche in un arco di due metri e mezzo sottoterra, per cui per raccoglierle dovete in sostanza dissodare il terreno dell’intero giardino.
2) Il nome buffissimo di questa pianta deriva dalla tribù brasiliana dei Tupinambà, i quali oltre a praticare il cannibalismo rituale mangiavano anche la radice del nostro bel fiorone. Dopo una gloriosa resistenza contro i portoghesi, i Tupinamba infine cedettero. E cedettero anche la pianta, che così è arrivata a noi europei.
3) Il fiore di alcune varietà di Topinambur si volge verso il sole, infatti il nome scientifico è heliantus (fiore del sole) . Questo spiega anche il perché del nome inglese della pianta, Jerusalem Artichoke, cioè “carciofo di Gerusalemme”. Non vi sembra ci sia alcun nesso tra le due cose, vero? E invece è proprio così. Artichoke perché il sapore del Topinambur ricorda quello del carciofo, anche se più dolce. E Jerusalem perché…. semplicemente è una storpiatura inglese del nostro “girasole” (o “girassol” in portoghese). La povera Gerusalemme, per una volta, non c’entra proprio niente.
4) Feuerbach, il celebre autore di L’uomo è ciò che mangia, si chiedeva se esistesse un alimento che potesse «sostituire la patata presso la classe più povera», e nello stesso tempo fosse «in grado di infondere nel popolo energia e sentimenti virili». Beh, sui sentimenti virili non ci esprimiamo, ma sull’energia possiamo rispondere a Feuerbach, che forse non conosceva il Topinambur. Questa specie di patata che sa di carciofo, infatti, pare sia super nutriente e buonissima per la salute. Guardate qua

Bene, se vi siete convinti e volete un po’ di ricette, eccone alcune senza carne umana. Noi abbiamo semplicemente cucinato il Topinambur in padella con lo zafferano, e ve lo consigliamo! 

Radici di Topinambur con il fiore sullo sfondo!


Per il problema dell'infestazione, abbiamo deciso di tenere due e o tre belle piante ogni anno, e di estirpare le altre appena le prime tenere foglie spuntano dal terreno.


Ma se tra cento anni, dopo una guerra atomica, qualcuno capiterà da queste parti e vedrà una foresta di girasoli altissimi, sappia che lì sotto una volta c'era una bella casetta. E soprattutto che lui potrà sopravvivere ancora a lungo! Basta una vanga.

domenica 25 ottobre 2015

RACCOGLIERING. Il nuovissimissimo sport dell'Autunno

Nonostante abitiamo in un paese di campagna, io e Dile spesso cerchiamo relax in una casa ancora più rustica in una campagna ancora più isolata. I lignaggi nobiliari romagnoli della mia consorte, infatti, hanno lasciato in eredità alla generazione presente un vecchio casolare, abitato un tempo dai contadini che lavoravano per i signori Garagnani. 
Magari Dile, che è più poetica di me, saprà raccontarvi in un apposito post dell’unicità di questo luogo, dei suoi silenzi carichi di voci antiche, dei suoi tramonti che tingono il cielo di speranza, o semplicemente delle finestre della casa – tutte diverse tra loro – costruite da umili artigiani dell’esistenza, e da cui spiffera ancora l’aria fresca della vita…
Varano

Per adesso, quello che mi interessa dirvi è che il casolare è situato in mezzo ai campi nei pressi di Zocca: forse questo nome non vi suona nuovo, giacché stiamo parlando del paese natìo di Vasco Rossi. L’economia di questo piccolo borgo dell’appennino modenese si basa in effetti su due elementi: i pellegrinaggi rockettari verso la patria del Blasco nazionale, e le castagne.
Oggi vi parleremo di questo secondo importante business (se siete fan di Vasco ci spiace, rifatevi con questo articolo!).

L’ultima volta che siamo andati a Zocca, infatti, era il primo weekend di ottobre, cioè il primo weekend della gloriosa “festa della castagna” 2015! Le strade del paese, complice anche il bel tempo, si sono riempite di gente e di bancarelle varie, tra cui ovviamente quelle a tema: castagne e marroni di diversi tipi e dimensioni – contrassegnati dal marchio “Castagna di Zocca”, garanzia di assoluta tipicità! – , cotte su enormi bracieri messi a terra nelle piazze, oppure trasformate nelle fogge più molteplici: dolci di castagne, birra alla castagna, e perfino una buonissima pizza di farina di castagne (condita con ricotta, patate e porcini! Yumme!).
Era una festa bellissima, si respirava un’atmosfera di socialità allegra e genuina.

Festa della castagna 2015

Eppure, a un certo punto, abbiamo pensato a quelle poche castagne rimaste nel bosco, da sole, abbandonate ai margini della festa, che avrebbero tanto desiderato scoppiettare su un fuoco vivace e accompagnarsi con del buon vino rosso. 
Così siamo tornati al nostro casolare solitario, abbiamo messo gli scarponi e… “e siete andati a raccogliere castagne”, direte voi. E invece no, cari lettori, vi sbagliate di grosso! 
Noi non siamo andati semplicemente a “raccogliere castagne” – lemma insipido, desueto, medievale. Noi ci siamo invece dedicati alla nuovissima attività dell’uomo post-moderno, ecologico e biofriend, “glocale”, sempre e ovunque a chilometri zero dalla propria felicità, desideroso di trasformare in trend ogni sua iniziativa.
Si sa, il modo più semplice per creare nuove mode è cambiare nome a cose vecchie. Lo abbiamo visto con i fuseaux, che sapevano tanto di mamme casalinghe anni Ottanta, roba stantia; ma noi li ritiriamo fuori dagli scatoloni e li chiamiamo leggins, ed ecco che ritrovano tutto il loro colore, la loro modernità, perfino il loro potenziale erotico!
Questo vale non solo per gli oggetti, ma anche per le attività: non si va al mare a “vedere i fondali”, ma a fare snorkeling (sì, lo so, ci sono cascato anche io!); non si va a “camminare in montagna”, ma a fare trekking; non si va a “cena da qualcuno dividendo le spese”, ma a fare social eating. Vedete come suona meglio, più cool, più ggiusto, più essenziale, rapido a dirsi e bello a farsi? 
Bene, il problema è che però ultimamente l’aggiunta della desinenza -ing per trasformare ogni cosa in una tendenza ha passato il limite, la si trova ovunque, perfino in fondo a parole italiane. Ecco perciò che i “percorsi avventura” nelle foreste diventano albering, e il raccogliere cibi spontanei nel bosco, udite udite, foraging. 
Esatto, noi a Zocca non siamo andati a raccogliere noci, mele selvatiche e castagne, no signori, siamo andati a fare foraging.
Sì, lo sappiamo che il termine può essere pronunciato anche all’inglese, ma suona davvero trooooppo italiano per non riderci su. Il “foraging” consiste appunto nell’andare per boschi in cerca di piante e frutti commestibili non coltivati: è naturalmente presentato come un’attività social, che ci rimette in contatto con la natura e con i nostri antenati raccoglitori, che ci porta a rivivere consapevolmente la nostra appartenenza all’ecosistema, che ci fa mangiare “puro e bio”. Naturalmente il tutto deve presentarsi come una cosa seria, figuriamoci; e allora ecco chiamare in causa la scienza dell’alimurgia, ovvero lo studio delle piante selvatiche commestibili utilizzate durante i periodi di carestia.
Cara nonna, tu che eri inconsapevolmente laureata honoris causa in alimurgia, che durante la vendemmia ti nutrivi di erbe selvatiche colte sul posto, che ti facevi gli unguenti con i fiori perché da bambina avevi imparato così, che sapevi cosa voleva dire avere poco da mangiare e sudare sulla terra, che non avevi dubbi sul valore dell’agricoltura; perdona loro, quando sostengono di poter ridurre la fame nel mondo con i frutti selvatici, quando pretendono di insegnare al mondo l’olio di iperico come l’ultimo ritrovato dei bioecorimedi naturali, e perdonali quando andranno al Decathlon a comprarsi i vestiti adatti nel reparto wooding.
Perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Pensano di “fare foraging”.
Invece stanno semplicemente raccogliendo roba da mangiare nel bosco.

Come noi.






mercoledì 14 ottobre 2015

Inside out!


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Avete visto Inside Out? Se la risposta è no, rimediate subito.
E' uno dei migliori film d'animazione della Pixar, e se questo non vi dice nulla allora diciamo semplicemente che è un bellissimo film. Veramente. Intelligente, arguto, sorprendentemente originale e visionario. Che non ha paura di porsi grandi domande e propone veri virtuosismi metaforici, in una trama che si sviluppa senza perdere un colpo, piena di umorismo ma senza rinunciare alla profondità e con una serie di trovate di straordinaria intelligenza narrativa. Quindi andate a vederlo, se non l'avete fatto, e ve lo scrivo adesso perché da ora in poi si parte con gli spoiler.

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Inside Out è un film che parla delle emozioni che abitano la testa ( o forse sarebbe meglio dire il cuore) degli uomini. In particolare, le emozioni che abitano nella testa di Riley, una bambina di undici anni. Sono Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, e si alternano al comando della consolle della sua mente, sotto la leadership indiscussa di Gioia, che sembra essere il tratto principale della personalità di una ragazzina con una famiglia affettuosa ed una vita piena e felice. Ogni esperienza che Riley vive viene immagazzinata nella sua memoria sotto forma di una scintillante sfera che ha il colore dell'emozione  prevalente nel momento in cui l'ha vissuta. Per la maggior parte, quindi, l'archivio labirintico  della sua memoria a lungo termine è tappezzato di ricordi del brillante giallo oro di Gioia. Non mancano sfere verdi per Disgusto, bravissima ad evitare, come commenta Gioia, che Riley venga avvelenata fisicamente o socialmente, rosse per Rabbia, molto bravo a far rispettare i diritti di Riley, e violette per Paura, esperto nel tenerla fuori pericolo. Poi ci sono le sfere blu di Tristezza: ed ecco il grande interrogativo del film: a cosa serve la tristezza? All'inizio non riusciamo a capirlo, esattamente come Gioia, che, gentilmente ma con fermezza, fa di tutto per tenere Tristezza il più possibile lontano dalla consolle che governa gli stati d'animo di Riley. Per Gioia, il bene di Riley dipende esclusivamente dal mantenerla in un mood ottimista e positivo, perchè affronti con allegria e dinamismo ogni avvenimento, ed il suo sistema ha funzionato così bene durante l'infanzia spensierata che le altre quattro Emozioni che coabitano la testa della ragazzina riconoscono a Gioia un'indiscussa autorità. 

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Eppure, la novità di un trasloco che sradica Riley dai luoghi dov'è cresciuta e dalla vita che ha determinato gli aspetti fondamentali della sua personalità è sufficiente per mettere in crisi questa gestione. Lo squallore dei sobborghi di una metropoli come San Francisco, la nuova scuola, l'allontanamento dagli amici di sempre, una serie di cambiamenti difficili da affrontare tutti insieme rendono impossibile arginare l'intervento di Tristezza, e l'ostinazione di Gioia a mantenere la collega lontana dalla consolle operativa finisce per creare un disastro: lei stessa e Tristezza vengono scaraventate lontano dal Quartier Generale, nei labirinti della memoria a lungo termine, mentre al comando rimangono Rabbia, Paura e Disgusto, spaventati e disorientati dall'improvvisa responsabilità, che tentano senza alcun successo di simulare la presenza di Gioia alla consolle, finendo per far reagire Riley in modo sempre più inconsulto.
Alle vicende esterne, sceneggiate con tempi comici perfetti (indimenticabile la scena della cena in famiglia, dove vediamo interagire anche le emozioni dei genitori di Riley, in un crescendo di incomprensioni esilarante) fanno da contrappunto le vicende "interne", ovvero il viaggio che Gioia e Tristezza devono intraprendere per riuscire a tornare al Quartier Generale, e che le costringe ad attraversare tutta la mente di Riley. E' qui che il film dà il meglio di sé, rivelando una potenza immaginifica ed una raffigurazione davvero efficace dei meccanismi della mente. Camminando con loro scopriamo che fine fanno gli amici immaginari che popolavano la nostra infanzia, come funziona la produzione dei sogni (è un vero e proprio studio cinematografico dove si lavora su copioni scritti rimaneggiando ed alterando le esperienze della giornata), come mai certi motivetti ci entrano nella testa per non uscirne più e ci troviamo a canticchiarli tra i denti nei momenti più assurdi, cos'è veramente il Subconscio, come funziona l'elaborazione del pensiero astratto (una sequenza quasi avulsa dal resto del film e semplicemente memorabile).

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Ma soprattutto, diventa a poco a poco chiaro, a Gioia ed anche a noi, che la Tristezza fa parte della vita e che crescere significa imparare a conoscerla. Che senza Tristezza non si può sviluppare la compassione nei confronti degli altri, ma soprattutto la necessità vitale di chiedere aiuto a chi ci vuole bene quando serve e capire che non ogni cosa può essere fronteggiata da soli. Così è proprio Tristezza che, con l'incoraggiamento di Gioia, alla fine rimedia con semplicità ai disastri che nel frattempo stanno accadendo all'"esterno" grazie all'inesperienza di Rabbia, Paura e Disgusto e riconcilia Riley con la nuova vita che, volente o nolente, deve condurre lontana dai luoghi dov'è cresciuta. Sfogandosi con il pianto in un abbraccio pieno di affetto con i suoi genitori, Riley lascia simbolicamente l'infanzia, mentre i ricordi fondamentali che l'avevano caratterizzata si tingono delicatamente di malinconia, ed entra in una nuova fase della sua vita, fatta di esperienze più complesse e sfumate.

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Il film incanta per la sua attenzione al dettaglio e propone una visione intessuta di consapevole e delicato ottimismo, incentrata sull'importanza di accogliere ogni aspetto della vita nella certezza che tutto volge sempre al bene quando camminiamo accanto a persone che ci amano, e che questo aspetto è molto più determinante dell'allegria (che comunque non guasta) per essere davvero felici.
Fa ridere, fa piangere, fa pensare, sorprende e meraviglia, interroga e propone risposte. Ed è visivamente una gioia per gli occhi. Ad un film non si può chiedere di più, per quanto mi riguarda è il migliore dell'anno, ed entra nell'empireo dei miei  favoriti di sempre. Io l'ho già visto quattro volte. E voi?

mercoledì 30 settembre 2015

Scarti librari



E' arrivata (e passata) la radiosa coda settembrina dell'estate, con giornate fresche e piacevoli ed un po' di tempo libero da usare in casa, ed io ho deciso di mettermi all'opera per depurare la nostra libreria grande con lo spirito con cui si sgorga un lavandino intasato.
La libreria grande è la prima cosa che colpisce l'occhio entrando in casa nostra, ed occupa l'intera parete antistante la porta d'ingresso.
All'inizio, traslocando i rispettivi patrimoni librari nei giorni prima del matrimonio, avevamo cercato di disporli con qualche criterio base, ripromettendoci di "dare una sistemata in seguito". Inutile dire che tale sistemata non è mai avvenuta, e nel frattempo non abbiamo fatto altro che aggiungere nuovi acquisti fino a riempire tutto lo spazio disponibile, togliere libri per leggerli e rimetterli a posto appoggiandoli sopra gli altri ed usare la libreria anche per quaderni, fogli sciolti, pericolanti pile di cd, cartine per il trekking malpiegate e occasionali panni per spolverare dimenticati. Insomma, regnava il caos (e volete sapere qual è la cosa più sconcertante? Che in confronto alla libreria dello studio, questa sembrava ordinata. Ma una missione impossibile per volta).
Comunque, il punto è che stavamo esaurendo lo spazio, e questo significava che prima di riordinare suddividendo per letterature nazionali e settori diversi di saggistica, prima di spolverare gli scaffali, prima di timbrare tutti i volumi con il nostro ex libris componibile, prima di ogni altra operazione... era necessario liberarsi di alcuni libri.


 Ora, io sono una di quelle persone con la tendenza paganeggiante ad idolatrare i libri, ma ho dovuto ben presto rendermi conto che potevamo senza rimpianti fare a meno di qualche titolo nel nostro catalogo.
A cominciare dai doppioni, ad esempio i due dizionari di tedesco stessa edizione e stesso anno, o le due serie di opere di T. S. Eliot, perfettamente identiche, risalenti ad un periodo in cui da fidanzati ci eravamo fissati ed avevamo entrambi acquistato uno dopo l'altro i Quattro Quartetti, la Terra Desolata, Assassinio nella Cattedrale e via discorrendo (in effetti è stato immediatamente dopo quel periodo che abbiamo cominciato a guardare al futuro ed a cercare di coordinare gli acquisti librari).
Poi è stata la volta dell'Enciclopedia del Pensiero Filosofico e Scientifico in dodici volumi del Geymonat, appartenuta a mia madre (che era stata ben contenta di sbolognarcela), accettata da Damiano con l'entusiasmo di un giovane filosofo ancora "povero" di libri e ben presto risultata sorpassata, ingombrante e definitivamente poco consultabile. Stiamo ancora cercando, senza successo, di venderla su ebay, in ogni caso ha lasciato posto sugli scaffali migrando nel ripostiglio.
Poi una processione di robaccia di varia natura, detriti adolescenziali e acquisti poco oculati: fantasy di dubbio gusto, il manuale Risparmiare in casa (spoiler: il modo migliore di risparmiare è non comprare questo libro), l'orrendo Vita nel Vento, libretto per bambini vinto ad una pesca di beneficienza con raccapriccianti illustrazioni col verde vomito come colore dominante, l'utile pubblicazione Scuola in prospettiva (salvo che la prospettiva in questione è quella di due o tre decenni fa, visto che il prezioso volume era venduto al modico prezzo di 2000 lire),  parateologia d'accatto tipo Uno di noi è Dio la cui quarta di copertina riassume la cosiddetta "originale intuizione" dell'autore: "se uno di noi è Dio, anche noi siamo Dio". Imperdibile.
Ma soprattutto, un'intera serie di "libri di lettura" appartenuti a Damiano e risalenti agli anni della scuola media, che visti tutti insieme mi hanno fornito una specie di improvvisa illuminazione sul perché in Italia si legge molto poco: è probabile che una delle cause principali sia la tendenza di certi insegnanti a scegliere per i ragazzi, negli anni in cui prende forma il gusto adulto per la lettura, libri che tutto fanno venir voglia meno che di leggerli. Vederli mi ha fatto ricordare i miei libri di lettura delle medie (di cui mi sono sbarazzata tempo fa e che infatti non risultano all'appello), ed in particolare una deprimente antologia di racconti "attuali" di Vittorio Zucconi, piacevoli  da leggere come un elenco telefonico. Anche i professori di Damiano non scherzavano: il pezzo forte di questo piccolo museo di clamorosi errori didattici rilegati in brutte brossure è una raccolta intitolata Storie di Adolescenti, copertina color caco maturo con triste acquarello di bambinetti che giocano su un albero. 

Sottotitolo "26 racconti sul mestiere di crescere", proprio quello che l'adolescente medio cerca quando apre un libro (per non parlare di quel ventisei scritto in cifre). Contenuto, uno sconcertante elenco di racconti mischiati ad estratti di opere più lunghe: qualche pagina di Anna Frank (perché non far leggere invece tutto il Diario?), Bee Bee Pecora Nera di Kipling, perfetto per marchiare a fuoco nelle teste degli sventurati brufolosi dodicenni (che nulla sanno della poetica cupa, esotica e misteriosa di Kipling) che Kipling è un autore deprimente che parla di bambini maltrattati, parti di un Diario di una giovinetta non meglio identificato il cui picco emotivo è rappresentato dall'angoscia di un ricovero per appendicite, un racconto di Moravia brutto anche più della media dei racconti di Moravia (ah, Moravia, onnipresente nelle antologie delle medie, e non a caso accuratamente evitato da tutti in seguito!) e ciliegina sulla torta, estratti dell'ignobile Diario segreto di Adrian Mole, di tredici anni e tre quarti, ricco di quello che la curatrice dell'antologia definisce "scanzonato gergo giovanile" (probabilmente per l'uso scorretto dei congiuntivi) che ci regala brani di questo genere: "Sono andato a prendere il tè dalla nonna. Ero triste e abbattuto a causa del soggiorno di Pandora in Tunisia. La nonna mi ha chiesto se ero stitico. A momenti le dicevo qualcosa, ma come si fa a spiegare l'amore a una donna di settantasei anni che crede che è una parolaccia?" Ahah. Non vi state spisciando dal ridere anche voi? E' questo quello che ci vuole per diventare lettori appassionati! Uno proprio non vede l'ora di sapere come continua!
Potrei lanciarmi in una filippica sulla cattiva educazione alla lettura che si riceve alle medie, ma Damiano già mi dice "Non fare post troppo lunghi!"
Quindi, in conclusione: i nostri scarti librari sono stati regalati in giro, o nei casi più impresentabili riposti in una scatola destinata al mercatino dell'usato dell'Operazione Mato Grosso, che sarà ritirata provvidenzialmente il primo ottobre. Con i libri delle medie, invece, abbiamo rimpinguato la nostra riserva di carta per accendere il camino, visto che ormai arriva la brutta stagione. E voi, se li aveste ancora sottomano, che fareste ai vostri orridi "libri di lettura"?

mercoledì 23 settembre 2015

L'enigma del bidet

La diffusione geografica dei bidet è una prova inconfutabile della superiorità delle civiltà latine.
Pur essendo inventato in Francia, si è infatti diffuso soprattutto in Italia e Portogallo. Non esiste praticamente abitazione, da noi, che non sfoggi orgogliosamente questo araldo dell'igiene (anche se pare fosse in origine legato a bordelli e case di piacere, in cui davvero l'igiene era una questione vitale...ma questa è un'altra storia).




Ad ogni modo, il bidet ha ancora un lato misterioso: tutti lo hanno, pochi ne parlano. 
Ormai si parla di tutto, di sesso, di soldi, di violenza, persino di merda (sì, lo posso scrivere in piena libertà, senza che il correttore automatico-moralista me lo sottolinei!); ma il bidet rimane un tabù (...e infatti me lo sottolinea).

Volete sapere come combattere l'eiaculazione precoce? Nessun problema, cliccate qui o qui.
Volete sapere come fare soldi in poco tempo? Niente di più facile, cliccate qui o qui (oppure vendete rimedi contro l'eiaculazione precoce)

Ma volete sapere come si usa il bidet? Bene, allora troverete soltanto questa pagina di WikiHow, che però furbescamente evita di rispondere al quesito fondamentale, e cioè: DA CHE PARTE CI SI SIEDE SUL BIDET? Verso il muro o con le spalle al muro?

Forse voi lettori troverete stupida questa domanda, ma non appena porgerete il quesito a una persona di sesso opposto al vostro, vi accorgerete che il problema è reale. 
In effetti la questione si è imposta a noi, in tutta la sua forza, dopo il matrimonio. Abbiamo subito scoperto qualcosa che ci divideva profondamente! Sconcertati, abbiamo infine elaborato questa teoria: le donne per la maggioranza siedono sul bidet verso il muro, specialmente a causa della complessità di certe loro operazioni igieniche; mentre molti uomini, a causa di evidenti ostacoli fisici, preferiscono sedersi sul bidet con le spalle al muro.
Tuttavia la nostra teoria non è adeguatamente provata, ed ecco perché ci rivolgiamo a voi.

La nostra società oscurantista non affronta il problema di una delle operazioni basilari della nostra vita. Ma noi, i Marx dell'igiene intimo, i Freud della sanità genitale, lanciamo con onore questo sondaggio planetario volto a confermare o confutare la nostra teoria.

VOI, DA CHE PARTE VI SEDETE SUL BIDET? Verso il muro o con le spalle al muro?

Rispondete, la verità ha bisogno di voi.

domenica 6 settembre 2015

Il damianide in ambiente marino



Questo post sarà dedicato all'osservazione antropologica del damianide,  altresì noto come homo piandiscoensis, in un ambiente che non gli è connaturale e che egli percepisce come sostanzialmente ostile, quale quello marino. Come molti di voi sanno, il damianide è una varietà della specie homo caratterizzata da colorito latteo (ma tendente al rosso in corrispondenza della faccia), efelidi sparse su tutto il corpo e pelo fulvo. Ha dunque una tendenza fisiologica a rifuggire il sole, resa più profonda dalla refrattarietà psicologica a ripetere esperienze compiute nell'infanzia e che egli associa istintivamente all'ambiente costiero: interminabili rituali consistenti nel cospargere il corpo di creme solari protezione 75, dense come colla vinilica e disposte su strati rinnovati dopo ogni bagno, conseguenti impanature di sabbia in ogni remota piega della pelle e risultante impossibilità di condurre alcun tipo di vita sociale, da cui il ripiego su attività ispirate a Forrest Gump, tipo diventare il campione di ping pong della pineta.
Se siete coniugati ad un damianide, e coscienti dei suoi traumatici trascorsi, sarete psicologicamente preparati alla totale assenza di vacanze al mare nel corso della vostra vita matrimoniale.  
Non ci sarà da stupirsi tuttavia se il soggetto, dopo innumerevoli stagioni passate a denigrare l 'orrida ed incomprensibile abitudine di recarsi in prossimità delle coste, che ha così turbato gli anni del suo sviluppo, cambierà improvvisamente idea e suggerirà di affrontare addirittura un'intera settimana di mare in pieno agosto: queste repentine prese di posizione sprezzanti del rischio costituiscono infatti un'inconfondibile aspetto del carattere del damianide. 
Vediamo dunque cosa è ragionevole aspettarsi da una settimana al mare in compagnia di un esemplare del genere. (E' da notare che in occasione dell'ultimo breve soggiorno in località costiera, occorso addirittura prima del matrimonio, il soggetto del nostro studio costrinse l'intero gruppo di amici a trascorrere uno dei due giorni della vacanza  visitando grotte naturali svariate centinaia di metri sottoterra).
In sostanza, il soggetto pianificherà in modo più o meno esplicito il suo tempo in maniera da trascorrerne fisicamente sulla spiaggia una porzione limitatissima.  

Il primo espediente per evitare la spiaggia è restare in acqua per ore. Dal momento che questa soluzione pone un rimedio al fastidio della sabbia ma non a quello dell'ustione solare, della noia profonda o, a lungo andare, dell'ipotermia, il damianide si attrezzerà previdentemente dotandosi nel più vicino negozio di articoli sportivi di maschera, pinne e boccaglio per lo snorkeling nonché di tuta integrale nera per attività subacquee, che per inciso vanno ad occupare metà dello spazio in valigia. Così attrezzato, salutata sulla riva moglie ed amici, il soggetto scomparirà per intervalli di circa tre ore, ripresentandosi all'ora dell'insalata di riso. 

Piano più raffinato, nonché tutto sommato più utile alla sua vita sociale e coniugale è quello di incentivare il turismo. Se la destinazione prescelta è di particolare bellezza, come nel nostro caso, questa soluzione sarà più facile da improporre agli altri.
Un'esplorazione delle bellezze del Cilento, una puntata alla meravigliosa Maratea ed il gioco è fatto: un'intera giornata di mare senza andare al mare.

 Ma se il damianide è veramente un degno esponente della damianità, il colpo da maestro sarà trovare il modo di negare trionfalmente l'essenza stessa della vacanza al mare nel corso della vacanza al mare, per esempio dedicando una giornata a fare escursionismo in montagna, salendo fino a duemila metri per poi scendere ed incontrare i suoi compagni in spiaggia vestito di tutto punto per il trekking, con tanto di scarponi. 


Questi atteggiamenti di sotterranea contestazione di una vacanza da lui stesso programmata sono tipici della psicologia del nostro homo piandiscoensis. E' consigliabile lasciare che il soggetto esprima liberamente le sue eccentricità: la moglie è pertanto caldamente invitata a godersi tranquillamente la prima e probabilmente unica vacanza al mare della sua vita coniugale, non lasciandosi turbare da tali schemi di comportamento schizoide. Se è fortunata, riuscirà persino a trascinarlo in una gita in barca: è sufficiente argomentare che sul fondo della barca non c'è la sabbia.