domenica 5 novembre 2017

THANK YOU FOR SMOKING (the pipe).





È da tanto tempo che voglio scrivere un post sulla mia passione per la pipa, e adesso è arrivato il momento!
(Ah, disambiguiamo una volta per tutte il termine: per tutto il post “pipa” sarà usato per significare l’oggetto che si fuma ;)

Spesso, scherzando amici e conoscenti, dico che non è che fumo la pipa perché faccio il filosofo, ma il contrario: ho scelto di fare filosofia perché fumavo la pipa.
In effetti, il mio legame con questo magico oggetto nasce quando ancora ero piccolo: mio padre aveva una bella serie di pipe di radica, e spesso, prima di fumarne una, me la faceva caricare col tabacco, insegnandomi i rudimenti di questa tecnica in maniera didatticamente assai efficace: “Devi premere il primo strato di tabacco con la tua forza, il secondo come se lo premesse la mamma, poi un po’ più forte come il babbo, poi fortissimo come un elefante… e infine metti un pizzichino di tabacco come se ce lo mettesse il tuo fratellino!”.
Spesso, alla fine di questo rito, mi faceva anche fare un piccolo tiro, con solerti rimproveri di mia madre (che però poi si fumava le sigarette!).

Non che stia rimproverando mio padre per avermi iniziato al fumo, tutt’altro… lo ringrazio per avermi iniziato al VERO fumo!

Infatti, quando, tra adolescenti, cominciarono a girare pacchi su pacchi di sigarette, e anche altro, io avevo una forte arma di resistenza … anche solo per il fatto di non saper tirare!!

Sapevo pero “tirarmela”, e mi piaceva fare l’originale con la pipa: così, a un certo punto, decisi che non avrei fumato altro che la pipa!! (anche se, confesso, qualche trasgressione ancora la faccio, specie con i sigari)
Non che fossi diventato un esperto fumatore di pipa, tutt’altro: era il far west. Ci buttavo dentro di tutto, dalla salvia ai papaveri (ricordo di una volta in cui fumai… l’ortica), la pulivo nei modi più eterodossi (miele, acqua, alcol), e me ne costruivo di mie assolutamente impresentabili, ma leggendarie – come quando ce ne fabbricammo una a testa con i membri della band metal, utilizzando il sambuco che si trovava nei pressi della sala prove (ovvero nei campi del padre del bassista).

Ma poi, sbagliando e risbagliando, tra un attacco di singhiozzo e una doccia di tabacco soffiato fuori dal fornello, piano piano ho scoperto come trattare la pipa. Perché, capite, si tratta di un rapporto bello, duraturo e faticoso, come nelle vere storie d’amore: certo, un rapporto un po’ più licenzioso e poligamico che con le donne, ma molto più fedele e saldo che con le consumistiche sigarette “usa e getta”, specchio della nostra società.

Bisogna prendersi cura delle proprie pipe, conviverci, non stressarle troppo, dedicarci tempo, saperle maneggiare, sapere come farle accendere, godersele lentamente, sapere quando smettere… queste sì che sono metafore erotiche, altro che il banale doppio senso!
Ho scoperto come pulirle per bene (utilizzando propriamente lo scovolino e l’attrezzino), come accenderle senza farle bruciare troppo (con il fiammifero orizzontale), quanto e come tirare per non consumare troppo presto il tabacco rovinandone il sapore, e tante altri piccoli segreti che solo chi si innamora della pipa potrà apprezzare.

Perciò, per fare innamorare anche voi, enumererò i vantaggi e i pregi del fumare la pipa, sperando che possiate incuriosirvi e provare, ed entrare così nella setta degli Illuminanti.

Le citazioni che seguono, intercalando le mie riflessioni, sono tratte da “La mia Pipa” di Giuseppe Bozzini, vera Bibbia per i fumatori di pipa, che mi hanno regalato alcuni miei amici, e che mi ha convinto infine a scrivere questo post.

-       Ogni pipa è unica. «La sigaretta è anonima, standardizzata; la pipa ha una sua personalità (e prolunga quella del fumatore), uno sviluppo nella sua durata, ha per esempio un’eta, ci si “dialoga” […] non ce n’è una uguale all’altra, sia per la radica, sia per la lavorazione, ma anche per carattere e “rendimento”». È proprio così, e aggiungo che non ci sono solo le pipe di radica: nel mio piccolo harem ho anche una bellissima pipa in legno di pesco fatta da mio zio, una stupenda pipa regalatami da Dile in “schiuma di mare” (un silicato estratto in Turchia e lavorato al tornio, per lo più in Austria), che tira benissimo, e una simpatica “CornCob” in granoturco (sì, quella di Braccio di Ferro). E la radica stessa è tutto un mondo: si tratta dell’escrescenza – forse una specie di malattia – della radice dell’erica selvatica, lavorata dopo alcuni anni, che oltre a essere molto resistente presenta delle venature assolutamente uniche e molto calde. Ogni volta che volete fumare la pipa, potete scegliere quella che più vi si confà in quel momento… anzi, sarà la pipa a scegliere voi.



-       La pipa è ecologica, e meno dannosa per la salute di ogni altro tipo di fumo. «I pochi residui che lascia sono biodegradabili», altro che mozziconi indistruttibili. «Natura viva nel legno, natura un po’ manipolata nel tabacco […] Con la pipa si sente in mano qualcosa che è rimasto vivo, che nel fitto disegno delle fibre e dei nodi parla agli occhi e al cuore con la voce della natura». Rispetto alla sigaretta e ai sigari, fa sicuramente meno male alla salute del corpo: non si fuma la carta, non si inala il fumo, i polmoni e i bronchi non vengono intossicati. Insomma, «se il tabacco può far morire, aiuta però a vivere». E rispetto alle droghe, fa sicuramente meno alla salute del cervello, pur donando una piacevole sensazione di evasione. «Ai giovani che fossero tentati dalle droghe, un suggerimento: provate la pipa. Vi può dare tutto quello che cercate nella droga, e senza pericolo: un “viaggio” delizioso, ma sereno e privo di rischi».

-       La pipa è contestatrice ma rilassante. Certo, segue certi trend, come quello del bricolage e del fai-da-te (ci sono un sacco di begli aggeggini da poter comprare per pulirla, lucidarla, ripararla…), ma nella sua sostanza è un vigoroso grido di protesta contro la frenesia, la massificazione, l’artificialità, la superficialità del nostro tempo. Fumare la pipa «significa partecipare, sia pure inconsciamente, a un rito che risale alle età primitive, perpetuare il culto del fuoco. È interiorizzazione. Ha il passo, il ritmo dell’uomo e non il moto artificiosamente accelerato della macchina. Nella pipa c’è il simbolo dei rapporti dell’uomo con gli elementi primordiali e le sue radici. C’è spiritualità: il fumo ha sempre fatto parte di tutte le religioni, ha sempre rappresentato il viaggio dello spirito umano verso il cielo, verso la divinità». Fumare la pipa induce a meditare, a prendersi del tempo per pensare, a indugiare sul senso della vita, dell’esserci, del fumare stesso.
Perché il pensiero è la sublimazione eterea della mente, come il fumo del tabacco.

Perciò prendetevi del tempo per fumare la pipa, e ne guadagnerete in profondità e qualità della vita (anche se forse non in durata). ;)




mercoledì 30 agosto 2017

LA SUBLIME LEGGEREZZA DELLA SETTIMANA ENIGMISTICA

EDIPEO ENCICLOPEDICO: Quante copie in più della Settimana Enigmistica vengono vendute d'estate, rispetto all'inverno? 

Nessuno lo sa, in effetti, perché la redazione della Rivista che Vanta Innumerevoli Tentativi di Imitazione è enigmatica essa stessa....  ma secondo me siamo sul doppio!

Mi baso su quello che accade a me stesso: come inizia l'estate inizio a comprare LA rivista ogni giovedì, mentre nelle altre stagioni lo faccio solo nei rari momenti di vero relax, quando la mia mente non è assillata dal "invece dei cruciverba, dovresti fare..."
Anzi, potrei dire che la mia estate inizia psicologicamente proprio quando compro la prima Settimana Enigmistica con lo spirito del "adesso la inizio subito, e al diavolo tutto il resto"!
Dile ride tantissimo per questa mia mania estiva, soprattutto perché le ricorda il mio babbo. (Al quale io e mio fratello abbiamo persino regalato l'abbonamento annuale, una volta). Mi ricordo che da bambino, nei rari momenti in cui mio babbo non si occupava dei cruciverba senza schema – armato rigorosamente di matita gommata in fondo – io mi lanciavo sull'unisci-i-puntini o colora-gli-spazi; crescendo, sono passato alle Parole Crociate Facilitate, poi su su fino al Grande Schema per Tutti, da risolvere con fratello e genitori... e oggi anche io sono in grado di portare la Sacra Matita Gommata, affrontando i temibili attacchi di Bartezzaghi, Calcabrina e gli altri manigoldi.

Il fascino della Settimana Enigmistica è innegabile, a partire dalla copertina, con quel font vintage, un po' fascio ma sempre con garbo! Se confrontate il primo del nostro Periodico (anno 1932) con l'ultimo, noterete che la differenza maggiore sta nella presenza del sito internet – scritto piccolissimo – in quello più recente ...e nel prezzo, ovviamente.





Bisogna anzi dire che la foto integrata nel cruciverba era un'idea stupenda, molto più bella del semplice riquadro odierno! Per il resto, sembra che niente sia cambiato da quasi un secolo fa. E proprio qui sta la forza della Rivista di Enigmistica Prima per Fondazione e Diffusione. Nel suo fascino retrò, privo di fronzoli e di pubblicità, quasi tutto in bianco e nero, con quelle barzellette da Italia anni 50, quando i mariti erano in carriera e le donne andavano in corriera; con i Concorsi a Premi, come il leggendario "QUESITO CON LA SUSI", che al solo leggerlo pare rievocare i programmi di Mike Buongiorno...

La Settimana Enigmistica unisce le famiglie, è un ponte tra le generazioni, un collante nazional-popolare.

A chi mi dice, ridendo, che questo passatempo stride un po' con la mia allure filosofeggiante, rispondo che invece la filosofia – per come la vivo io – è un po' come fare un cruciverba, con i concetti al posto delle parole: si connettono idee al posto di termini, si intrecciano argomenti invece che vocaboli.... si può dire persino che si uniscono i puntini con i connettori logici, invece che con tratti di penna; e similmente, si riempiono gli spazi vuoti con contenuti di senso.
Ma mi tengo buona questa idea della filosofia come cruci-logoi per qualche altra volta (e non su questo blog, promesso)!

Per adesso, preferisco dedicarmi alle Cornici Concentriche e a qualche buon Rebus... in attesa del prossimo numero. L'ultimo dell'estate!

martedì 8 agosto 2017

Moto? Nuoto!


Io vado in piscina. 
No, dai, così potrei trarre in inganno i lettori. Ricominciamo. 
Io non mi muovo. Mai. Avete presente l'espressione "fare del moto"? Ebbene, io non lo faccio. 
MA, se e quando sporadicamente riesco a trovare tempo e tempra morale sufficiente per fare attività fisica, ecco, diciamo che vado in piscina (no, non metto nel conto le camminate con zaini di venti chili sulle spalle con gli scout. Prima di tutto, non sono iniziative personali, e poi sono meglio inquadrati nella categoria "ascesi". Ne parlerò un'altra volta). 
Damiano, fedele al principio mens sana in corpore sano  è un filosofo sportivo. Corre o fa esercizio praticamente ogni giorno. E non per burletta, sul serio, e gli effetti si vedono (naturalmente parlo dei cumuli di abbigliamento sportivo in poliestere fradicio di sudore e olezzante che lo costringo a togliersi prima di entrare in casa) (scherzo, amore, sei atletico e prestante più che mai). 
Invece, per chiarire, in un intero anno scolastico, io sono stata in piscina zero volte (è vero, pendolavo, era faticoso e stavo fuori giornate intere. Però, insomma, zero è un po' imbarazzante). Ma qualcosa devo pur dire quando mi chiedono che sport faccio. E non è neanche del tutto falso. Finito l'anno scolastico ho comprato una tesserina di ingressi al nuoto libero nella vicina piscina comunale e li ho usati quasi tutti (beh, poi, hanno chiuso la piscina per la pausa estiva quindi non è colpa mia). E l'anno prima, quando insegnavo vicina a casa, ci sono andata con una certa regolarità (vi ricordo che la regolarità non implica una frequenza alta. Per esempio, se corro la maratona una volta ogni dieci anni, corro la maratona con regolarità. Con una regolarità decennale). 
Ma il punto non è quanto spesso io vada in piscina, quanto il fatto che andare in piscina mi piace. E questo è strano.  

Io e lo sport non siamo mai stati amici. Prima di tutto in generale odio il sudore. Poi, come chi mi conosce sa molto bene, non ho alcuna coordinazione. Sono il tipo di persona che non prende mai una cosa al volo (per non parlare di quando sono io che provo a lanciare una cosa al volo), e questo esclude qualsiasi gioco che implichi una palla, dal ping pong al rugby. Non so se comincia a delinearsi davanti ai vostri occhi un certo profilo. Tipo la ragazzina che alle medie veniva scelta per ultima nelle ordalie che in palestra erano rappresentate dalla formazione delle squadre. Ricordo quelle ore di educazione fisica come un'infinita teoria di partite di pallavolo in cui non riuscivo mai a mandare la palla al di là della rete. Non è un'iperbole. Non ho memoria di una sola battuta riuscita. Perfino le mie amiche più care quando toccava a me alzavano gli occhi al cielo e aspettavano la fine del malus intrinseco costituito dalla mia presenza nella squadra. Il mio professore (che, ora, con occhio professionale, non sono incline a valutare benevolmente -a quel tempo, più semplicemente, desideravo di cuore la sua morte) mi veniva in soccorso con frasi su questa falsariga: "oltre la rete, mi raccomando". Era un tipo flemmatico, ricordo. Forse non riteneva che alcun suo intervento potesse  avere un qualsivoglia effetto sul mondo circostante. Giocavamo sempre maschi contro femmine e le femmine perdevano sempre, ma questo non era sufficiente a spingerlo verso azzardi come, per esempio, ripensare le squadre (non parliamo poi di cambiare gioco). Una volta la mia amica Giovanna si ruppe un dito e lui deliberò che era meglio se stava seduta per un po', fedele al principio universalmente noto che vuole che in palestra, a scuola, il rimedio universale per ogni problematica, dall'indisciplina alle lesioni gravi, sia "mettiti a sedere".  

Mi rendo conto che il flusso di coscienza mi ha portata molto lontana da dove volevo arrivare. La piscina. Nuotare, ovvero un'attività fisica che mi piace davvero. Probabilmente lo devo ai miei genitori che mi hanno fatto imparare a nuotare, e a nuotare bene, quando ero ancora bambina. Vado sciolta e vado discretamente veloce, anche dopo tanti anni. Insomma, so come si fa, il che non si può dire di… beh, qualsiasi altro sport. 
C'è anche dell'altro. Non si suda, per esempio. E' difficile, anzi, quasi impossibile farsi male a qualche arto. Si usa tutto il corpo, e questo è importante per chi è sedentario come me. 
Ma non è ancora questo il punto. Credo che sia il fascino sottile della solitudine. Il nuoto è uno sport solitario. Qualche cenno a chi condivide la nostra corsia. Ogni tanto un braccio o un piede che si sfiorano quando ci si incrocia. Con la testa fuori, c'è il rumore dell'acqua che copre quasi tutto. E sotto il pelo dell'acqua c'è silenzio. Le piastrelle azzurre sfilano sotto di noi al ritmo delle bracciate. Il corpo lavora ed è quasi un piacere ascoltarlo, il torace pieno d'aria tiene a galla, le braccia scivolano, le gambe spingono, il cuore batte. Mi dice: hai visto cosa so fare? E tu che mi tieni sempre incollato a una sedia! E poi, mentre credevo di essere tutta concentrata sul corpo, ecco che invece sto pensando. E in una forma diversa da quella usuale: sembra più facile mettere a fuoco dietro gli occhialini un po' appannati, come se i pensieri, slegati da troppe connessioni inutili, emergessero uno alla volta dalle profondità. Farò così, parlerò a quella persona in questo modo, mi organizzerò in quella maniera. Perché non ci avevo pensato prima? E vengono fuori nuove idee, chissà da dove. Sui libri che leggo, sulle cose che studio. Cose da fare, da rimasticare, da scrivere. 
Quando l'ora è terminata ed esco fuori sono stanca e un po' euforica. Ho fame. Ho voglia di chiacchierare.  
Ho fatto del moto, in testa e fuori.

martedì 11 luglio 2017

SOTTO CASA. Il mio amico Testimone di Geova.

Sono ormai diversi anni che, a cadenza bisettimanale, frequento – anzi, “vengo frequentato” da – un Testimone di Geova. Per rispetto della privacy, lo chiameremo “Y”, anche se lui preferirebbe sicuramente “G”. 
(Questa la capiranno in pochi…;)

Per la verità, Y veniva a trovarmi già prima che mi sposassi con Diletta, ma poi è entrato nel mio corredo nuziale: e così Dile pazientemente sopporta alcune nostre chiacchierate, e ancora più pazientemente dice a Y che non sono in casa, cosa che capita la maggior parte delle volte… e che la maggior parte delle volte è vera (tranne in un paio di casi, lo confesso!)

Facendo un po’ di conti, conosco quindi Y da almeno sette anni. Ecco il primo punto interrogativo gigante: perché continua a venire? Ormai ha usato tutte le sue armi a disposizione, credo, eppure non è riuscito a convertirmi alla sua caus…alla sua chiesa. E allora perché continua? A volte penso che ci siano dei punti premio che spettano ai TdG che convertono più persone, ma anche in questo caso non avrebbe senso continuare a perdere tempo (e potenziali punti) con i recidivi. Cos’è, valgo più punti perché insegno in una Facoltà Teologica?

Alla fine preferisco darmi questa risposta: Y continua a venire perché tra noi si è instaurato un rapporto di reciproca stima, e di dialogo franco. Provando a mettermi nei suoi panni, non dev’essere facile incassare tutte quelle porte sbattute, tutte quelle bestemmie in diretta, tutte quei “cortesi” rifiuti che pur legittimamentissimamente riceve nel suo instancabile proselitismo; alla lunga sfianca il corpo e lo spirito. E d’altra parte, dev’essere persino “troppo facile” imbambolare semplici e ingenue pie vecchiette che ti aprono la porta in spirito di cristiana carità e fiducia verso il prossimo, ma che non hanno il necessario bagaglio critico per vagliare idee e credenze diverse da quelle della propria tradizione. Circa questi ultimi casi, mi piace pensare che Y abbia sviluppato un certo senso di noia, un comprensibile sgomento per l’ignoranza religiosa in cui versa la maggioranza dei “cattolici”, e forse pure un po’ di senso di colpa nell’approfittare in tal modo dell’impreparazione e dell’evangelica semplicità di spirito altrui.
Insomma, forse in me ha trovato pane per i suoi denti. Conosco abbastanza la Bibbia (soprattutto passi che non rientrano nel repertorio classico dei TdG), cerco di argomentare la mia posizione, e non mi manca la faccia tosta di fare le pulci alle posizioni degli altri, anzi nel farlo provo un perverso piacere: quest’ultima non è una virtù cristiana, in effetti. Ma tutti abbiamo i nostri vizi.

Devo dire che ho imparato tantissimo parlando con Y. Non tanto sulla Scrittura – anche se diverse volte ho approfondito dei temi per poterne discutere con maggiore competenza, e di questo lo ringrazio – , quanto soprattutto su ciò in cui credono i Testimoni di Geova. Chi non ha mai davvero parlato con loro, facendo loro domande e scavando a fondo nelle questioni, è pieno di pregiudizi nei loro confronti. Lo dico perché anche io ero così. Invece adesso i pregiudizi si sono trasformati in giudizi, e questo è sempre un bene. Adesso che li conosco ho dei buoni argomenti per nutrire un profondo scetticismo nei confronti del loro iperletteralismo che sovente rinnega se stesso; posso sostenere con convinzione l’idea che i TdG abbiano mancato il senso profondo della rivoluzione etico-religiosa operata dal cristianesimo nei confronti del giudaismo, una rivoluzione che marca tutta la cultura occidentale col segno indelebile della libertà; e soprattutto posso dire con cognizione di causa che i TdG non hanno chiaro che Cristo ha istituito una Chiesa – una comunità di credenti – e non una Scrittura: senza la Chiesa, infatti, non ci sarebbe stato nessun Vangelo.
So meglio cosa mi divide da loro, che non è un istintivo rifiuto del diverso, e neanche una pretestuosa critica della loro "misteriosa" organizzazione politico-religiosa, quanto un meditato distacco da certe precise concezioni teologiche e antropologiche. Ad esempio, la credenza letterale nel numero dei 144.000 che comporrebbero il “consiglio” celeste del Cristo Re al momento del suo ritorno sulla Terra, quando governerà come capo politico su tutti i risorti nella carne (cioè i salvati che non rientrano nei 144.000 “eletti”) – credenza veramente risibile, come in generale risibile qualsiasi interpretazione letterale dell’Apocalisse, che ne misconosce il grandissimo valore letterario (e politico e teologico) rintracciabile nella sua simbologia mistica. Oppure l’esegesi del versetto “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18), che i TdG interpretano come se la prima parte si riferisse a Simon Pietro, mentre la seconda, chissà perché, a Gesù stesso. Cioè Gesù, in un chiaro momento di schizofrenia verbale, avrebbe detto: “Tu (Simone) sei Pietro, ma su questa pietra (me stesso) edificherò la mia chiesa. Non farti strane idee solo perché ti ho appena detto che voglio che ti chiami proprio Pietro! L’ho fatto così per prenderti un po’ in giro!” Geniale.
Eravate a conoscenza di queste cose sui TdG? Presumo di no, e invece sono preziose per conoscerli meglio. Ce ne sarebbero molte altre, ma non intendo qui deriderli superficialmente, o essere troppo semplicistico nel riportarne le dottrine. Volevo solo fornire degli esempi di ciò che ho imparato da questa esperienza arricchente.

Io, d’altro canto, spero di aver lasciato a Y l’impressione positiva che si può essere cattolici senza essere religiosamente ignoranti, senza essere preclusi al dialogo, e soprattutto senza essere considerati come membri di un gregge di pecore stupide (quando non in malafede) guidate da un malvagio pastore vestito di bianco che fa loro credere cose assurde, pagane e anti-cristiane. Perché è così che i TdG considerano i cattolici, e i loro dogmi della Trinità e dell’Eucaristia.
Spero di avergli fatto almeno capire che l’interpretazione cattolica della Bibbia non è più problematica della loro, né meno onesta.


Y è un omone di buon cuore, dalle mani grandi e dallo sguardo puro e fraterno, amico sincero della verità. Io credo non l’abbia trovata, lui sì. Ma su una cosa, in fondo, siamo entrambi d’accordo (anche se lui lo ammetterà meno facilmente di me): il Dio che guarda i cuori saprà giudicare meglio di tutti noi.

domenica 16 aprile 2017

Pasqua





O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere
il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto.  
Di questa notte è stato scritto:  
"La notte splenderà come il giorno,  
e sarà fonte di luce per la mia delizia"  
(Liturgia della Veglia Pasquale) 


"La sua risurrezione dalla morte è il grido che Egli vuole far risentire nell'animo di ognuno di noi: la positività dell'essere delle cose, quella ragionevolezza ultima per cui ciò che nasce non nasce per essere distrutto."
(Luigi Giussani)

sabato 8 aprile 2017

Qualcuno ci ha plagiato



Era la vigilia di Natale e Damiano si è assentato con non so bene quale scusa (sono facile da ingannare, lui ha molti impegni di varia natura, e io non ho voglia di ricordarli, quindi capita spesso che sappia solo vagamente dove sia). Quando è tornato, aveva un trasportino, e nel trasportino c'era un gatto nero e piccolo che miagolava a pieni polmoni e un cuscinetto verde su cui spiccava una bella cacca.
Così un gatto è entrato in casa nostra e la prima gioia di padroncina che ho sperimentato è stata pulire il gatto dai suoi stessi escrementi (provateci voi a dividere un trasportino con i vostri bisogni senza sporcarvi durante un viaggio in macchina) e mettere in lavatrice il cuscino verde (che è diventato un oggetto odiato, non lo ha mai più degnato di uno sguardo né ci si è mai seduto sopra o accanto).
Era magro magro e spelacchiato, nero, con grandi occhi gialli e piuttosto scombussolato per il lungo viaggio in macchina (a dire il vero anche Damiano dopo oltre un'ora alla guida con sottofondo di gemiti strazianti non sembrava al massimo della forma). Si è ripreso piuttosto in fretta, comunque, e ha cominciato a esplorare la nostra cucina dando presto segni di compiacimento. Lo abbiamo chiamato Fusibile, per via dei suoi rumorosi effetti sonori, che emette quasi non-stop.


Ora, se già avete un gatto, o lo avete mai avuto, probabilmente quello che sto per dirvi non vi stupirà, ma se non siete mai stati a stretto contatto con un esemplare felino prendete nota: questi animali fanno il lavaggio del cervello. Voi vi illudete: "ora lo abitueremo a vivere secondo le nostre regole in casa nostra"… e poi in men che non si dica vi rendete conto che siete diventati inquilini della casa del vostro gatto, e siete stati voi ad adattarvi al suo stile di vita.
Così la nostra vita è diventata una vita connotata dalla Gatteria prima ancora che potessimo accorgercene, e siamo anche noi Umani Gattizzati che nutrono, ospitano e curano un gatto ricevendone in cambio il permesso di accarezzarlo, omaggiarlo e complimentarsi con lui per la sua bellezza, la sua morbidezza e le sue zampe soffici.
Sono passati tre mesi e Fusibile è un gatto già grandicello, di carattere spiccatamente socievole, piuttosto elegante e affettuoso, e come più o meno tutti i gatti ci considera con il benevolente sguardo che bisogna riservare agli schiavi addetti a soddisfare le sue esigenze fondamentali, secondarie e voluttuarie. Ci remunera con una gran profusione di fusa e, ora che la bella stagione sta tornando, con occasionali e ambiti premi come la mezza cavalletta morta sul nostro letto o le lucertole consegnate con orgoglio dopo averle torturate in modo elaborato davanti ai nostri occhi.
Ecco alcune cose che abbiamo imparato nei tre mesi della nostra convivenza. Alcune di queste, come noterete, sono segni inequivocabili del plagio che abbiamo subito.

-Natale. 

Quando Fusibile è arrivato, la casa era addobbata per Natale. Fusibile ha amato il Natale. Era irresistibilmente attratto dal nostro presepe, e dopo tanta fatica (vi ricordo che io sono una presepista seria!) non tolleravo di vederlo devastato anzitempo, quindi l'ho salvaguardato ferocemente per quindici giorni. L'albero, invece, che era in cucina vicino al caminetto, abbiamo dovuto lasciarlo al suo dominio, e continuo ancora oggi, ad aprile, a trovare palline dorate e rosse rotolate sotto i più svariati mobili della casa. In generale Fusibile ha usato l'albero come palestra e giungla privata, fissandoci come una pantera in miniatura dalle fronde, salvo precipitare quando i rami di plastica collassavano sotto il suo peso, rischiando di impiccarsi ai festoni di lucine. Anche le ceste di regali ricevuti o da consegnare hanno riscosso un grande interesse, visto l'alacre impeto con cui si è dedicato a rovinare pacchetti, annusare barattoli e nascondere oggetti nel mucchio per poi tirarli fuori.
-I Filini 
Non lo sapevate? Sapevatelo. Non c'è nulla di bello, appagante e intensamente interessante come dare la caccia ai Filini.  E il bello è che si tratta di un'attività molto versatile: lacci delle scarpe (mentre qualcuno cerca di allacciarle, ovvio), cavi del computer, festoni di capelli d'angelo sotto natale, gomitoli del cestino di maglia della sottoscritta (che si è rassegnata a fare la maglia clandestinamente, lavorando dentro una borsa o sotto una coperta), spago per legare il pollo ("ehi, aspetta! Qui c'è anche di meglio, un pollo crudo!"), e in senso lato calzini mentre vengono infilati e carta igienica, tra l'altro disponibile su un apposito supporto che facilita la meravigliosa attività di srotolarla.
- Le Buste di carta. 
Noi sciocchi umani non avevamo compreso che le Buste di Carta sono la più meravigliosa invenzione al mondo dopo i Filini. Fanno un rumore magnifico e poi ti ci puoi nascondere dentro e puoi addirittura aggredire un nemico che dall'esterno ti stuzzica senza vederlo, o in alternativa le buste di carta hanno dei manici, e basta strappare a morsi una delle due estremità per trasformarle in Filini. 


-La Poltrona di Vimini. 
Un tempo avevamo una seggiola di vimini che, munita di due cuscini da sedia dell'Ikea era diventata una comoda e pratica poltrona, poco ingombrante e leggera da spostare. Ebbene, la poltrona adesso è di Fusibile, che la usa per una buona percentuale della sua quota di diciotto ore di sonno giornaliere. Il cuscino era di un delicato color avorio, ora è grigiastro con intarsi di pelucchi neri, e fa ambient. Se commettiamo l'errore di appoggiare qualcosa sulla poltrona, lui, seccato per la nostra incompetente sbadataggine rimedia sbattendola giù senza troppi complimenti. Quindi abbiamo imparato che sulla poltrona non si può appoggiare più nulla. Neppure il nostro sedere. 
-Le unghie. 
In casa ci sono ben due grattatoie, che Fusibile ignora con sovrano disprezzo facendosi le unghie su ogni superficie allettante tranne quella delle grattatoie. Una delle due è posizionata strategicamente sullo spigolo di un divano, e lui usa solo ed esclusivamente lo spigolo scoperto. Mi pare ovvio. Quindi la fodera del nostro divano è ormai bucata in più punti e l'impagliatura delle sedie si sta riducendo in condizioni pietose -almeno su quelle, speriamo di aver risolto il problema usando un dissuasore (un deodorante che spruzza un odore a lui sgradevole). Ma naturalmente noi accettiamo con lieta mestizia tutto ciò, perché in fondo E' Nella Sua Natura.
-Fare altro 
A volte noi umani ci distraiamo e ci dedichiamo a baggianate come leggere, scrivere, lavorare o in generale non dedicare tutta la nostra attenzione, le nostre energie e la nostra inventiva a compiacere il gatto, trascurando così il nostro fondamentale dovere. Il povero Fusibile deve quindi benevolmente correggerci e ricordarci le nostre mansioni, utilizzando metodi indiretti e sottili come sedersi sul libro che stiamo leggendo o mettersi in posa sul tema che sto correggendo o mordere l'estremità della penna che si muove o dare la caccia alle interessantissime dieci dita umane che scrivono velocemente al computer, sono così rapide e affascinanti, e poi fanno un bel rumorino e insomma la conseguenza è chejuhklseiaeuhlfikuGFdd

ddddddGGGGGGGGGGGGGEUIL èì840M' M

E con questo direi che è tutto. 

"Va bene, fotografami e godi della mia Bellezza"