Io vado in piscina.
No, dai, così potrei
trarre in inganno i lettori. Ricominciamo.
Io non mi muovo.
Mai. Avete presente l'espressione "fare del moto"? Ebbene, io non lo
faccio.
MA, se e quando
sporadicamente riesco a trovare tempo e tempra morale sufficiente per fare
attività fisica, ecco, diciamo che vado in piscina (no, non metto nel conto le
camminate con zaini di venti chili sulle spalle con gli scout. Prima di tutto,
non sono iniziative personali, e poi sono meglio inquadrati nella categoria
"ascesi". Ne parlerò un'altra volta).
Damiano, fedele al
principio mens sana in corpore sano è un filosofo sportivo. Corre o fa esercizio
praticamente ogni giorno. E non per burletta, sul serio, e gli effetti si
vedono (naturalmente parlo dei cumuli di abbigliamento sportivo in poliestere
fradicio di sudore e olezzante che lo costringo a togliersi prima di entrare in
casa) (scherzo, amore, sei atletico e prestante più che mai).
Invece, per
chiarire, in un intero anno scolastico, io sono stata in piscina zero volte (è vero, pendolavo, era faticoso e
stavo fuori giornate intere. Però, insomma, zero
è un po' imbarazzante). Ma qualcosa devo pur dire quando mi chiedono che sport
faccio. E non è neanche del tutto falso. Finito l'anno scolastico ho comprato
una tesserina di ingressi al nuoto libero nella vicina piscina comunale e li ho
usati quasi tutti (beh, poi, hanno chiuso la piscina per la pausa estiva quindi
non è colpa mia). E l'anno prima, quando insegnavo vicina a casa, ci sono
andata con una certa regolarità (vi ricordo che la regolarità non implica una
frequenza alta. Per esempio, se corro la maratona una volta ogni dieci anni,
corro la maratona con regolarità. Con una regolarità decennale).
Ma il punto non è
quanto spesso io vada in piscina, quanto il fatto che andare in piscina mi
piace. E questo è strano.
Io e lo sport non
siamo mai stati amici. Prima di tutto in generale odio il sudore. Poi, come chi
mi conosce sa molto bene, non ho alcuna coordinazione. Sono il tipo di persona
che non prende mai una cosa al volo (per non parlare di quando sono io che provo
a lanciare una cosa al volo), e questo esclude qualsiasi gioco che implichi una
palla, dal ping pong al rugby. Non so se comincia a delinearsi davanti ai
vostri occhi un certo profilo. Tipo la ragazzina che alle medie veniva scelta
per ultima nelle ordalie che in palestra erano rappresentate dalla formazione
delle squadre. Ricordo quelle ore di educazione fisica come un'infinita teoria
di partite di pallavolo in cui non riuscivo mai a mandare la palla al di là
della rete. Non è un'iperbole. Non ho memoria di una sola battuta riuscita.
Perfino le mie amiche più care quando toccava a me alzavano gli occhi al cielo
e aspettavano la fine del malus
intrinseco costituito dalla mia presenza nella squadra. Il mio professore (che,
ora, con occhio professionale, non sono incline a valutare benevolmente -a quel
tempo, più semplicemente, desideravo di cuore la sua morte) mi veniva in soccorso con frasi su questa falsariga:
"oltre la rete, mi raccomando". Era un tipo flemmatico, ricordo.
Forse non riteneva che alcun suo intervento potesse avere un qualsivoglia effetto sul mondo
circostante. Giocavamo sempre maschi contro femmine e le femmine perdevano
sempre, ma questo non era sufficiente a spingerlo verso azzardi come, per
esempio, ripensare le squadre (non parliamo poi di cambiare gioco). Una volta
la mia amica Giovanna si ruppe un dito e lui deliberò che era meglio se stava
seduta per un po', fedele al principio universalmente noto che vuole che in
palestra, a scuola, il rimedio universale per ogni problematica,
dall'indisciplina alle lesioni gravi, sia "mettiti a sedere".
Mi rendo conto che
il flusso di coscienza mi ha portata molto lontana da dove volevo arrivare. La
piscina. Nuotare, ovvero un'attività fisica che mi piace davvero. Probabilmente
lo devo ai miei genitori che mi hanno fatto imparare a nuotare, e a nuotare bene,
quando ero ancora bambina. Vado sciolta e vado discretamente veloce, anche dopo
tanti anni. Insomma, so come si fa, il che non si può dire di… beh, qualsiasi
altro sport.
C'è anche
dell'altro. Non si suda, per esempio. E' difficile, anzi, quasi impossibile
farsi male a qualche arto. Si usa tutto il corpo, e questo è importante per chi
è sedentario come me.
Ma non è ancora
questo il punto. Credo che sia il fascino sottile della solitudine. Il nuoto è
uno sport solitario. Qualche cenno a chi condivide la nostra corsia. Ogni tanto
un braccio o un piede che si sfiorano quando ci si incrocia. Con la testa fuori,
c'è il rumore dell'acqua che copre quasi tutto. E sotto il pelo dell'acqua c'è
silenzio. Le piastrelle azzurre sfilano sotto di noi al ritmo delle bracciate.
Il corpo lavora ed è quasi un piacere ascoltarlo, il torace pieno d'aria tiene
a galla, le braccia scivolano, le gambe spingono, il cuore batte. Mi dice: hai
visto cosa so fare? E tu che mi tieni sempre incollato a una sedia! E poi,
mentre credevo di essere tutta concentrata sul corpo, ecco che invece sto
pensando. E in una forma diversa da quella usuale: sembra più facile mettere a
fuoco dietro gli occhialini un po' appannati, come se i pensieri, slegati da
troppe connessioni inutili, emergessero uno alla volta dalle profondità. Farò
così, parlerò a quella persona in questo modo, mi organizzerò in quella
maniera. Perché non ci avevo pensato prima? E vengono fuori nuove idee, chissà
da dove. Sui libri che leggo, sulle cose che studio. Cose da fare, da
rimasticare, da scrivere.
Quando l'ora è
terminata ed esco fuori sono stanca e un po' euforica. Ho fame. Ho voglia di
chiacchierare.
Ho fatto del moto,
in testa e fuori.
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