domenica 25 dicembre 2016

Natale



Questo è forse il più grande dei misteri della grotta. E' evidente che, sebbene agli uomini sia stato detto di cercare l'inferno sotto la terra, in questo caso era il cielo che stava sotto la terra. In questa strana storia c'è come l'erompere del cielo. Questo è il paradosso della situazione: d'ora innanzi le idee più alte non potranno agire che dal basso.
(G. K. Chesterton)

domenica 27 novembre 2016

After



 

Una mia alunna la scorsa primavera mi ha detto che il suo libro preferito era After, e quando le ho detto che non lo avevo mai letto mi ha risposto "Noo, prof! E' stupendo, non sa cosa si perde". Così, ligia al dovere professionale e spinta dalla curiosità, ho rimediato alla lacuna. Tra l'altro era un libro che avevo cominciato a vedere dappertutto, dalla biblioteca agli scaffali del supermercato, persino di quello minuscolo qui in paese. Cercando qualche informazione in rete, ho scoperto che il libro è il nuovo "fenomeno mondiale" dell'editoria (il che in effetti non mi stupisce, dato che lo ha letto persino la mia alunna, il che equivale a dire che è stato comprato anche da esponenti di quel percentile della popolazione che in linea di massima comprerebbero piuttosto che un libro un soprammobile a forma di cervo in plastica verde all'IKEA, magari in più esemplari). Le ragioni principali del successo, che include un film in produzione e milioni di copie vendute nel mondo, mi sarebbero rimaste oscure se prima di cominciare non mi fossi doviziosamente informata (a quanto pare nasce come fanfiction che trasfigura in personaggi letterari i membri degli osannatissimi One Direction), perché come forse qualcuno di voi, astuti seguaci del blog, avrà intuito, After è un libro talmente brutto che se lo avessi letto in forma cartacea e non in ebook avrei avuto scrupoli ad usarne i fogli per farne pallottole da infilare nei miei scarponi bagnati dopo un'uscita scout (voglio molto bene ai miei scarponi). E' un libro talmente brutto che non ho avuto il coraggio di dire alla mia studentessa chiaro e tondo quanto mi fosse non piaciuto. Forse devo ancora farmi le ossa nel mestiere di insegnante.
E' talmente brutto che esercita una specie di fascino perverso, la volontà di scoprire fino a che punto si può scavare già dopo che si è da tempo toccato il fondo della bruttezza, e da questo punto di vista il romanzo non vi deluderà, perché devo dire che il finale è orrendo perfino oltre l'immaginabile.

Se proprio volete sapere di cosa parla, cercherò di sintetizzare la trama in maniera semplice, comprensibile a chiunque: lui e lei, dai poco realistici nomi di Tessa e Hardin, sono studenti di college (ironia della sorte, studiano letteratura), si incontrano e sono attratti da una irresistibile passione in grado di vincere ogni ostacolo, come il fatto che lui sia il peggior stronzo mai comparso sulla terra e lei una deficiente patentata. Litigano, fanno pace, fanno sesso, litigano, fanno pace, fanno sesso, litigano, fanno pace, fanno sesso, rifanno sesso, rilitigano, fanno pace, fanno di nuovo sesso, litigano, fine. Ora, per rendere giustizia a questa complessa architettura narrativa, non omettiamo che in effetti l'intero romanzo può avere anche una seconda lettura, diciamo allegorica, un po' come la Divina Commedia o il Pilgrim Progress. Infatti, possiamo anche leggere l'opera come rappresentazione del fatale incontro tra la Stronzaggine e la Scempiaggine, che infiniti lutti addusse agli adolescenti e molte anzitempo all'Orco generose travolse alme di potenziali lettori.
Una cosa però può essere detta di positivo su After: è forse l'arma più utile in mano a quelli che sostengono che la famosa massima "L'importante è che i Giovani Leggano" è una solenne baggianata. "L'importante è che i Giovani Leggano" infatti è sostanzialmente il modo in cui ci autoconvinciamo che in fondo è persino una buona azione, da parte delle case editrici, pubblicare immondi escrementi editoriali, dato che pare che torme di giovani de-letturizzati si compiacciano nel pascersene con entusiasmo. Ebbene, no. Se davvero è Importante che i Giovani Leggano, che leggano il retro delle confezioni di Special K mentre fanno colazione, che leggano la guida tv, che leggano Topolino (e questa non era una battuta, Topolino può vantare soggettisti e sceneggiatori, per le sue storie, che in confronto alla povera Anna Todd, autrice di After, sono più o meno Shakespeare), ma che non leggano roba di questo genere.
Mi vengono i brividi a pensare che qualche giovane pulzella (purtroppo, il target di questo tipo di obbrobri romance è ovviamente femminile) potrebbe rovinarsi il gusto letterario e il piacere di leggere abituandosi a considerare normale  questo tipo di insulso ritmo narrativo incoerente, ripetitivo, piatto. Quattrocento pagine di paratassi in cui una frase subordinata è una specie di bestia rara, pagine e pagine di interminabili scambi tra i protagonisti in cui ogni battuta è costituita da un massimo di quattro parole (mi concentro sulla forma, di questi dialoghi, ma naturalmente c'è la nota dolente del contenuto, invariabilmente e atrocemente cretino). E che dire del trascorrere un intero volume in un allucinato, squallido orizzonte narrativo fatto di aule di college, dormitori di college, sedi di confraternite di college e locali notturni che scivolano come quinte teatrali intercambiabili dietro i due protagonisti sempre intenti a recitare la stessa scena (litigano, fanno pace, fanno sesso etc…) senza che sia possibile ravvisare nemmeno una lieve parvenza di vita reale? 
Le lezioni di letteratura nell'immaginario college di Tessa e Hardin: il professore entra, dice "Oggi parleremo di Orgoglio e Pregiudizio. Che ne pensate?" e gli alunni (Tessa e Hardin, gli altri sono comparse cartonate posizionate sulle varie sedie dell'aula) esprimono il loro "parere" (virgolette d'obbligo) sul libro: Elizabeth è troppo prevenuta, Darcy è uno stronzo. No, non è vero, Darcy è un eroe, tu sei uno stronzo. Ma che dici, sei frigida proprio come Elizabeth. No (Tessa piange), come osi, non è vero, sei perfido! Come ho potuto provare qualcosa per te? Interviene il professore: la lezione è finita, per la prossima volta quindici righe su "Darcy ed Elizabeth si sposano per amore?". 
Il duro guadagnarsi il pane col sudore della fronte nell'immaginaria città accademica di Tessa e Hardin: a Tessa serve un "lavoretto", quindi, fresca matricola con neanche un esame sul libretto, va a fare un colloquio per uno stage presso una casa editrice (svolgimento del colloquio: "Le piace leggere?" "Oh, sì, tanto!" "Che colpo di fortuna, incredibile! Lei è proprio il tipo di persona che stavamo cercando!"), viene seduta stante assunta, stipendiata, munita di ufficio privato , orario flessibile (la mattina deve andare ai suoi complessi corsi di letteratura, ricordiamocelo) e segretaria personale. Beh, che c'è? Non è la vostra esperienza di stage universitario? Siete proprio degli sfigati, allora! 
I rapporti familiari ed affettivi nelle immaginarie famiglie di Hardin e Tessa: lei viveva con la madre, donna puritana a tal punto da considerare non dico con disapprovazione, ma con crisi incontrollate di rabbia e panico il fatto che nel dormitorio della figlia si aggirino persone che hanno dei tatuaggi: appena fuori dal radar materno, Tessa si trasforma in una specie di ninfomane psicopatica. Lui odia il padre perché lo ha abbandonato con la madre lasciandoli in estrema povertà, praticamente al livello del rovistaggio nei cassonetti del supermercato, per non parlare del fatto che era un alcolizzato violento. Il padre in questione ha però avuto un inaspettato riscatto sociale, riciclandosi nella mezza età come rettore (!!) del college frequentato dal figlio.
E potrei continuare.

La Mente che ha creato tutto ciò.
Mi vengono i brividi a pensare che i giovani cervelli delle mie alunne già zoppicanti a scuola si anestetizzino ulteriormente sciroppandosi pagine e pagine di roba del genere. In un certo senso mi commuove pensare che la mia poverina lo trovasse avvincente: qualunque entusiasmo letterario mi vede solidale, ma quanto poco ha avuto dalla sua vita di lettore qualcuno che si emoziona per una cosa così? Quanto di più chiunque meriterebbe dalla vita che libri così brutti!
Ma c'è un dato che ho volutamente lasciato per ultimo e che mi impedisce di archiviare la storia come eclatante esempio di cattivo gusto adolescenziale. Ed è la portata catastrofica di diseducazione affettiva che il libro porta con sé. Celebrato come il trionfo "editoriale" di una grande passione che fa impazzire milioni di lettrici in tutto il mondo, il libro in fondo è l'agghiacciante cronaca di un rapporto disturbato e violento, in cui abbandonarsi alla "passione" significa permettere all'altro di abusare psicologicamente e fisicamente di noi. Così la cattiveria e l'abuso diventano "fascino magnetico", la sottomissione più beota "passione folle", l'ubriachezza molesta "libertà" ed il passare sul cadavere di chiunque intralci il raggiungimento immediato del nostro piacere "indipendenza".
Quindi, passi per la stupidità, la piattezza, la bruttezza stilistica, lo spreco di carta, l'insulto all'intelligenza del lettore. Quello che mi fa davvero infuriare è che questo rigurgito sia percepito come una storia "romantica", la storia di un "grande amore". Non è così. E nessuna, adolescente scervellata o meno che sia, merita che le venga detta una bugia del genere.

L'insulto finale.
PS: il post è già troppo lungo ma non posso omettere che sull'onda del successo di After sono stati ripubblicati con copertina simile e strillo "i romanzi più amati da Tessa e Hardin" Anna Karenina, Orgoglio e Pregiudizio e Cime tempestose. Qui un articolo di Top Girl alle prese con un'insolita svolta culturale nel suo palinsesto editoriale, che vi spiega che anche prima di After esistevano storie d'amore universali e magnifiche, insomma che la grande letteratura non è nata con Anna Todd come si potrebbe pensare, ma che qualcuno aveva già fatto qualche tentativo passabile prima del capolavoro immortale su Hardin e Tessa che consacra il genere per sempre, e che quindi si può dare una chance a questi prequel ottocenteschi di discreta fattura. No comment. Fate voi.

sabato 5 novembre 2016

Elogio della chiacchiera di paese


La chiacchiera è come la cacca: a nessuno piace, ma tutti la fanno.
È proprio un bisogno primario. Uno strumento di sopravvivenza.
E proprio così ve la voglio presentare, nella sua utilità sociale ed esistenziale. Mi perdonerà il sommo snob Martin Heidegger, che tanto la disprezzava: forse ricorderete le pagine di "Essere e Tempo" in cui la chiacchiera viene assunta ad archetipo della dimensione della spersonalizzazione, della perdita di responsabilità ("si dice", "si racconta", senza soggetto) e della perdita del contenuto (l'importante è che si discorra di qualcosa, non importa di cosa).
Peccato che Heidegger abbia finito per abbracciare la più grande spersonalizzazione del secolo scorso: il totalitarismo di massa; in cui il "si" impersonale è arrivato fino all'estremo del "si uccide".

Ma basta con i discorsi filosofici, qua si deve chiacchierare!!

Intendiamoci, non che voglia elogiare qualsiasi tipo di chiacchiera. C'è una chiacchiera tremenda, orribile tanto quanto affascinante, che consiste nel "parlar male di qualcuno che non c'è", nel demonizzare quello lì, sentendoci così parte di una "cerchia ristretta dei non esclusi". Questo tipo di chiacchiera assolve alla funzione di tutte le chiacchiere, su cui tornerò tra poco, che consiste nel voler instaurare un senso di comunità: tuttavia lo fa a discapito di qualcuno che da tale comunità viene escluso. Ne abbiamo molti esempi anche fuori dalla realtà di paese, e specialmente nelle piattaforme di messaggistica e sui social, in cui si può insultare a piacere e a distanza di sicurezza (qui, caro Martin, un po' di ragione ce l'avevi!;) 
Ma ci sono almeno altri due tipi di chiacchiera che hanno il pregio di tutte le chiacchiere senza il difetto della chiacchiera insultante. E queste non si possono replicare nel mondo del web. Le ho sperimentate vivendo in un piccolo paesello.
La prima forma di chiacchiera che voglio elogiare è la celeberrima chiacchiera sul tempo metereologico. In qualunque negozio di paese entriate, la prima cosa di cui sentirete parlare (o parlerete voi stessi), prima ancora di ciò che si vuole vendere o comprare, è che tempo fa. "UFF, calduccio oggi eh, Marcello?" "Eh sì, e siamo di già a novembre...  il solito pane cotto a legna?" oppure "Certo che con questa pioggia m'è preso un umido addosso... fammelo bello caldo il cappuccino, vai!"
Perché parliamo del tempo che fa? Perché molto difficilmente ci sarà un disaccordo! E perché non si crea il disaccordo? Perché il tempo metereologico non dipende da noi. Il giorno in cui gli uomini controlleranno il cielo, facendo anche di esso oggetto di mercato, smetteremo di parlare subito del tempo che fa, e perderemo uno dei nostri ultimi strumenti per costruire l'accordo umano, per sentirci tutti membri della stessa comunità: "quelli che stanno sotto il cielo".

Fortunatamente ci rimarrà una seconda forma di chiacchiera buona, la chiacchiera retorico-descrittiva, che nella mia mente prende subito le sembianze di una specifica vecchietta, di cui non so neanche il nome, in verità. Questa simpatica signora, ogni volta che passa davanti a casa nostra e mi trova all'esterno, mi chiede se sto facendo quello che sto facendo. Ad esempio, se sto tagliando l'erba in giardino, mi fa: "Hey, giovane, tagli l'erba?", "Eh sì!", faccio io. E fine. Io continuo e lei se ne va col sorriso. Oppure, se sono nei pressi della cassetta delle lettere: "Oggi c'è posta, eh?", "Eh, davvero, con queste bollette...." (rilancio per avere una reazione), "Mah...." E la cosa finisce. Non sono mai riuscito a scambiarci più di queste parole, giuro. Forse vi sembrerà che questa tipa sia molto curiosa, che voglia farsi gli affaracci degli altri per poi mettere in pratica il primo tipo di chiacchiera, e invece non è così. Ne ho avuto la prova due giorni fa (e questo mi ha spinto a scriverne). Stavo rientrando in casa, ho aperto il cancello, ho fatto due passi verso la porta, l'ho vista, le ho sorriso, e lei mi ha detto: "Che fai, RIENTRI IN CASA?" È stato il massimo, non ho neanche detto niente, perché non c'era possibilità di dire altro che "sì", e quindi era quasi inutile rispondere. Ma non è stato inutile fare la domanda.
Perché con queste chiacchiere povere, a prima vista inutili, semplici e banali, noi cerchiamo di anteporre a tutte le nostre avidità, a tutte le nostre diversità e parzialità, a tutti i nostri interessi in conflitto, un sentimento di appartenenza comune al mondo dei vivi. Al mondo di quelli che tagliano l'erba, pagano le bollette, escono e rientrano in casa. Cerchiamo di restaurare un senso di comunità attraverso quello che abbiamo di più umano: la comunicazione.

giovedì 29 settembre 2016

Uomo barbuto, sempre piaciuto!

Nel mio passato da adolescente pieno di acne che neanche le palline da golf, spesso sognavo di avere la barba folta per nascondere quelle simpatiche pustolette – così avrei fatto la pallina da tennis.
E invece niente. 
Gli anni passavano e della barba neanche l'ombra.
Anche i brufoli passavano, e gli unici peli del volto rimanevano le sopracciglia e i capelli.
(...quelli ancora non sono passati, per fortuna!)

Certo, la cosa aveva i suoi lati positivi: non dovevo svegliarmi prima la mattina per farmi la barba; risparmiavo su rasoi e creme; non venivo scambiato per un fondamentalista islamico; i rimasugli di cibo non mi rimanevano attaccati ai peli come souvenirs gastronomici; e altre simili amenità.

Epperò... un po' di barba virile avrebbe giovato alla mia autostima. Al limite, non averla avrebbe dovuto essere una libera scelta, non una resa all'evidenza della natura. Mi voglio autodeterminare come uomo raso o uomo barbuto, questa è la libertà!

Immerso in simili deliri, il tempo passava e restavo assolutamente glabro; e anche piuttosto sereno, in fondo.
Ma poi, un giorno, è accaduto: la barba lunga è diventata UNA MODA.
La cosa è iniziata un paio di anni fa, toccando quest'anno dei vertici inarrivabili:


Hipster, nerd, indie, e pure cafoni: tutti barbuti, come cipressi al rovescio. A quel punto mi sono sentito davvero escluso dal novero dei maschi che contano. Mi sono impegnato a fondo, ho fatto confluire le mie energie vitali nel mento, ho invocato più volte Gandalf il Grigio... e dopo svariate settimane, ecco il risultato:

la foto ovviamente è grigia per il potere di Gandalf

Come potete vedere, non sono neanche riuscito a collegare la parte sinistra dei baffi con il timido pizzetto. 
Come se non bastasse, ieri Diletta mi ha detto che somiglio in maniera preoccupante all'agente Gordon, scompisciandosi dal ridere.

Era meglio quando avevo i brufoli.
Ora vado a farmi i baffi via. Tanto ci metto 30 secondi.





mercoledì 7 settembre 2016

IL NOSTRO ANIMALE DOMESTICO



Eccoci rientrati dalla pausa estiva!
Vi avevamo lasciati in compagnia di graziosi e simpatici animaletti brutalmente sterminati dalla mano dell'uomo (anzi della donna); e riapriamo con un tema analogo.

Oggi vi vorremmo parlare del nostro animaletto domestico stagionale, scoperto una calda sera di inizio luglio sul muro della cucina. (G)eccolo immortalato, dopo numerosi tentativi andati a vuoto:



volevo fargliene anche un'altra più da vicino, ma è scappato!

Sappiate che il geco è l'animale domestico perfetto. Non è ingombrante e impegnativo come cani e gatti, e neanche inutile come i pesci rossi. È schivo e ritroso, ma lavora nell'ombra: come ogni vero supereroe. 
In effetti ha i suoi superpoteri: ancora non si è ben capito come facciano le sue zampe ad aderire così facilmente e resistentemente ad ogni tipo di superficie, senza nessuna secrezione. Questa sua forza di adesione è molto più potente del suo stesso peso, tant'è che i gechi possono benissimo stare attaccati al soffitto. Chissà, forse se avessimo avuto anche noi umani questa capacità, non avremmo neanche creato i concetti di "sopra" e "sotto"!!



Sì, d'accordo, non dona molto affetto, non fa compagnia... ma forse preferite la compagnia delle zanzare?
Per noi che abbiamo la cucina praticamente sottoterra, e che le scorse estati eravamo assediati da insetti di tutte le fogge, il nostro gechetto è stato una benedizione! Certo, non è così potente da papparsi gli scarafaggi, però il resto se lo mangia di gusto. Un rimedio bio- ed eco-logico, assolutamente alla moda, contro i fastidi dell'estate.
La pubblicità per il commercio del geco sarebbe già pronta! Non fosse che il nostro sauro formato tascabile, come i suoi antenati preistorici oversize, è inavvicinabile, indomabile, indipendente. 
Infatti una sera se ne è andato, e non lo abbiamo più visto. 

Lo attenderemo il prossimo giugno, come un segno della provvidenza. 
Nel frattempo, buon rientro a tutti!




giovedì 28 luglio 2016

Invasione!



Un martedì sera torno tranquillamente a casa dopo essere stata a cena fuori con amiche che non vedevo da tempo. La giornata è stata afosa ma la sera è fresca e silenziosa, prima di rientrare annaffio l'orto e i vasi, seguendo diligente le istruzioni che mi ha lasciato Damiano, via per un convegno a Roma ancora per qualche giorno. Poi entro in casa, metto le ciabatte, appoggio la borsa, vado in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, accendo la luce…
Qui se fosse un film inserirei una musica da sorpresa orribile, stile Dario Argento.
Non c'era un pazzo armato d'ascia ad aspettarmi seduto al tavolo, ma l'acquaio e il piano cucina brulicavano di blatte. Brulicavano: finalmente ho compreso il reale, disgustoso significato del termine. Significa che ce ne erano molte, e che al mio urlo disumano hanno cominciato a muoversi come impazzite. In genere gli insetti non mi impressionano particolarmente (mentre non sopporto lombrichi e lumache), però vederne così tanti sul mio immacolato piano cucina mi ha quasi paralizzata. Poi, in un impeto di ribellione mi sono sfilata entrambe le ciabatte ed ho cominciato a menare fendenti assassini urlando come un'assatanata. Delle blatte uscite allo scoperto se ne sono salvate in poche, riuscendo, infide, a rinfilarsi nello scarico da cui erano venute, o sotto il battiscopa. Io ho continuato a urlettare per altri venti minuti circa, sola nella cucina piena di blatte morte. Poi ho chiamato due volte di seguito Damiano chiedendomi infuriata perché diamine non rispondesse al primo squillo alle due di notte. Quando finalmente si è svegliato abbiamo cominciato una conversazione  di questo tenore: 
Io: CI SONO LE BLATTE IN CUCINA, FAI QUALCOSA! 
Lui: Come? 
Io: NON MI HAI SENTITO? CI SONO LE BLATTE! MILIONI DI BLATTE! 
Lui: Calmati... 
Io: AAAAAAAAAH! CAMMINAVANO SUL NOSTRO PIANO TUTTE LE NOTTI E NOI NON LO SAPEVAMO! 
Lui: Dile… 
Io:…CI ABBIAMO CUCINATO, APPOGGIATO LE COSE, MI VIENE DA VOMITARE, SE PENSO CHE… AAAAAAAAAAAAH! 
Lui: Dile... 
Io: DOVE SEI QUANDO MI SERVI? CHE CAVOLO CI FAI A ROMA? A CHE MI SERVE UN MARITO SE NON E' QUI QUANDO CI SONO LE BLATTE E DEVO FARE LA NINJA DEGLI INSETTI DA SOLA?  RISOLVI IMMEDIATAMENTE IL PROBLEMA! 
Lui: Dile, sono a Roma e sono le due di notte! 
Io: QUESTI SONO AFFARI TUOI! LA PARITA' FRA I SESSI SI FERMA DI FRONTE ALLE BLATTE! QUELLE SONO UN TUO SPECIFICO DOVERE!!
Potrei continuare per un bel po', ad ogni modo alla fine è riuscito a convincermi ad andare a dormire e mi ha preso così sul serio che la mattina dopo aveva già contattato due ditte di disinfestazione prima che io emergessi dal coma in cui ero sprofondata verso l'alba. Ovviamente le maledette non si vedevano alla luce del sole. Avrei potuto convincermi di aver sognato tutto se i cadaveri tristemente sparsi delle mie vittime della notte precedente non fossero stati ancora spiaccicati ovunque. Così ho aspettato.
Poi, subito dopo pranzo, è arrivata la Squadra.
Guardateli, mentre camminano al rallentatore in soccorso di una giovane donna sola ed indifesa sulla strada assolata, trasportando la loro attrezzatura.
Li chiamerò i Quattro dell'Apocalisse.
Il Primo dell'Apocalisse è un gioviale signore di mezza età con la gamba ingessata e le stampelle, che sembra un pensionato aggregato per caso alla compagnia. Il suo ruolo principale, scoprirò presto, è dispensare saggi consigli ai suoi colleghi e a me. Lo chiameremo la Gamba, per ovvi motivi.
Il Secondo dell'Apocalisse, detto anche il Braccio, è quello che esegue gli ordini. Non pronuncia parola ma porta attrezzi, svita bulloni, apre confezioni di quella che spero sia una sostanza mortifera in grado di sterminare tutti gli insetti del pianeta, oppure rimane contro il muro con le braccia lungo i fianchi in attesa di ordini.
Il Terzo dell'apocalisse è il boss, il capo, la Mente. E' anche il portavoce, scelto con oculatezza: non si può dire che abbia uno specifico difetto di pronuncia, ma ne assomma tre o quattro assieme, tanto che capisco la metà di quello che dice e assentisco sperando di non aver appena accettato che la casa venga purificata col lanciafiamme. Ad ogni modo, ha spodestato Gamba, indebolito per via dell'infermità e della vecchiaia ed adesso detiene con fierezza il ruolo di Signore delle Blatte.
Il Quarto dell'Apocalisse è la Mascotte appena reclutata, un ragazzo tondo, ricciuto e su di giri che potrebbe avere sì e no vent'anni ed appare entusiasta della carriera che si è scelto (se sapeste quanto è costato l'intervento, probabilmente capireste il perché). Ad ogni modo la Mascotte ama il suo lavoro, ama aprire il pozzo nero per sversarci l'Anti-qualsiasi-forma-di-vita, ama maneggiare sostanze irritanti e soprattutto ama le blatte morte. Principalmente chiacchiera con me come se fossimo vecchi amici, oppure, se cerco di sfuggirgli, sento la sua voce che esclama "Accidenti, questa era davvero grossa!" oppure "Lo sa che per ogni blatta che si vede ce ne sono dieci che non si vedono? " oppure "Loro viaggiano nelle fogne, sa… hanno i loro speciali sottomarini… ci siamo capiti?" oppure, valutando la meravigliosa credenza antica intagliata di mia nonna, che è più o meno il mobile più bello che abbiamo in casa, con occhio esperto: "Un po' vecchiotta, questa, eh?"
Prima agiscono sul pozzetto delle acque chiare e quello delle acque scure. Poi, per sicurezza, vagolano per la casa con le scarpe sporche e l'attrezzatura a tracolla come in Ghostbusters, spruzzando ovunque una sostanza misteriosa, che effettivamente, come mi hanno garantito, non lascia tracce sui muri ma in compenso rende l'aria irrespirabile, fa bruciare gli occhi e danneggia il cotto ("E' meglio se mi viene dietro e asciuga le goccioline", mi biascica la Mente, ed io, più depressa che mai, obbedisco).
Alla fine se ne vanno, giulivi, lasciandosi alle spalle una Casina oppressa da gas puteolenti e sporca oltre ogni dire. Qua e là, in cucina, blatte uscite allo scoperto agonizzano muovendo debolmente le zampette. Fa un caldo opprimente ed io abbandono questo scenario di morte e desolazione che un tempo era casa mia, chiudendo bene tutto per creare l'effetto camera a gas, e me ne vado in piscina a nuotare furiosamente per oltre un'ora, cercando di dimenticare i miei affanni. Rientro a casa il tempo di fare un fagotto da profuga e spalancare tutte le finestre in modo da rendere nuovamente l'ambiente abitabile per gli esseri umani, poi me ne vado a lagnarmi e dormire dai miei genitori.
Il giorno dopo, di prima mattina (beh, più o meno) sono tornata. Durante la notte il vento ha soffiato, la temperatura è calata di almeno dieci gradi e questo semplifica notevolmente il lavoro da ditta delle pulizie che mi aspetta. Ovviamente mi concentro sulla cucina, presa da uno zelo purificatore: non ci sono solo le blatte morte che mi preoccupano, ma anche l'esposizione di tutto ciò che usiamo per cucinare e mangiare a prodotti che ammazzano insetti sull'istante, quindi, ne deduco, non propriamente salubri. Mi ci vogliono sei ore per pulire tutte le superfici, lavare ogni singolo piatto, pentolino, vassoio, pezzo di stoviglia contenuto nella cucina, mandando a più riprese la lavastoviglie, staccare il battiscopa e pulirlo con la sistola in giardino (un giorno in cui vorrete davvero disgustarvi, alzate il battiscopa del vostro piano cucina: è sempre una grande scoperta quello che si trova dietro), sfoderare il divano e i cuscini, spolverare, spazzare e infine pulire il pavimento variamente istoriato dalle gore bianche del prodotto spray. Poi passo alle altre stanze della casa, caricando la lavatrice di lenzuoli, asciugamani, accappatoi, buttando gli spazzolini da denti e i rotoli di carta igienica incominciati, mentre l'aspirapolvere ulula e tutti i pavimenti vengono cenciati.
Obnubilata dalla stanchezza, a sera recupero Damiano alla stazione, di ritorno da Roma, e la campagna militare contro le blatte si conclude mangiando pizza da asporto direttamente nel cartone.
Abbiamo vinto?
Lo spero, o credo che la prossima volta opterò per un più comodo e semplice trasloco.

lunedì 18 luglio 2016

LibRidine


 

Ho scoperto che esiste una sorta di gergo editoriale che definisce "lettori forti"  persone che leggono 10 o più libri ogni dodici mesi. Ho quindi appreso di essere una lettrice "forte", anzi, probabilmente fortissima, dal momento che, escludendo quello che leggo per studio o per lavoro, mi attesto sulla cinquantina di libri letti per piacere o interesse personale ogni anno (ma so di gente che viaggia tranquillamente sul centinaio, quindi in effetti c'è di peggio). Lettore forte somiglia  a "forte bevitore", non trovate? Ed in effetti penso che a molti sia capitato almeno una volta di provare la… libRidine, la sensazione più o meno marcata che in questo momento potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale, la tua famiglia potrebbe convertirsi in blocco al pastafarianesimo, la rete fognaria potrebbe venir deviata dal Comune nel tuo prato e tutte le tue unghie potrebbero incarnirsi… tutto ok, basta che ti lascino leggere in pace. O il brivido di piacere che corre su per la schiena quando si ha in mano un libro a lungo atteso o cercato. O, talvolta (soprattutto se fuori il tempo è brutto e gli impegni pressano), la struggente impressione che la vita sarebbe molto migliore se potesse consistere esclusivamente in una lunga teoria di letture, preferibilmente a letto, nutrendosi di tè e biscotti. O il piacere perverso (anche la libridine ha le sue perversioni) che si prova singhiozzando sconsolati su qualche passaggio particolarmente commovente o desolante, magari un bel Dickens che, in piena forma, sta facendo morire qualche suo personaggio tenero e indifeso, tipo il piccolo Paul Dombey (ops, spoiler, ma è bene saperlo: i bambini malaticci, in Dickens, tendenzialmente durano poco). O l'irrefrenabile istinto a possedere un determinato libro. Anche se lo si è già letto e riletto, anche se la libreria comincia ad avere seri problemi di spazio, ci sono libri che si devono avere. Soprattutto in quella nuova bellissima edizione speciale limitata commentata illustrata rilegata blasonata. O l'insensata tentazione di non scendere alla nostra stazione dal treno perché preferiremmo finire il capitolo. O il prendere in considerazione la possibilità di non scendere affatto, continuare fino a Foligno e finire direttamente il libro.

Ma scendiamo sul pratico. Quali sono le quotidiane avventure coniugali di una lettrice forte? Ebbene, nel mio caso il marito è un finto lettore forte, una sorta di impostore. Ora, non fraintendetemi. Damiano consuma una gran quantità annua di libri. Ma non legge davvero: studia, con la matita in mano e l'odiosa tentazione di fare, nella pagina bianca in fondo, elenchi di numeri di pagina circolettati per rimandi che potrebbero essere utili o interessanti in qualche articolo o approfondimento. Va da sé che legge quasi esclusivamente saggi. Divora la saggistica come patatine.
Ed è spaventosamente lento nella lettura "personale". Butta via il tempo libero in mille altri modi, è una persona irritantemente socievole, partecipa alla vita della comunità locale, ricopre incarichi di responsabilità in due o tre realtà diverse, suona in tre distinti gruppi musicali, va in palestra e a correre, cura l'orto e sta all'aperto, insomma si fa distrarre da una quantità di futili cose quando potrebbe stare a casa appollaiato su una sedia o seduto sul pavimento della cucina a leggere, mantenendo una raffinata aria malsana e pallida e la consistenza muscolare di un'ostrica, come faccio io. Gioventù sprecata!
Poiché due sposi dovrebbero condividere tutto, io sono sempre molto felice di esporgli dettagliati resoconti di qualsiasi cosa stia leggendo, conditi di esortazioni ad abbeverarsi lui stesso alla fonte di cotanto appagamento culturale. Ma se riesco a fargli iniziare effettivamente un libro che ho già letto e amato, in realtà sperimento presto la dolorosa agonia di vederlo avanzare lentissimamente, distrarsi in continuazione, e finisco per assillarlo con "dove sei arrivato? Come va? Ti piace? Ti è piaciuto quando…?"
Talvolta albeggia nella mia mente il dubbio che forse sono leggermente insopportabile, giusto un tantino. Ma, ahimè, che volete farci? La pena di non poter condividere col mio diletto sposo le emozioni della libridine non mi dà tregua.
A forza di arrovellarmi, mi rendo conto che la soluzione l'avevo già scovata anni fa, quando eravamo ancora fidanzati, in effetti. Lettura condivisa ad alta voce. Lui sembra prestarsi volentieri. E il ritmo posso dettarlo io. Resta da capire se quando leggo mi ascolta...