lunedì 24 novembre 2014

MANIFESTO PER I DIRITTI DEI (MARITI) DALTONICI

È giunto il momento di farci sentire. O almeno leggere.
Per troppo tempo la nostra violenta cultura policromista ha emarginato i daltonici, posizionando luci verdi accanto a luci rosse addirittura per controllare il traffico, avallando pubblici dileggi come la solita ironica domanda “ah sì, sei daltonico?? E DI CHE COLORE È QUESTA???”, costringendoci a elaborare stratagemmi di sopravvivenza tipo “mi hanno sempre detto che il cielo è blu, quindi se in quella maglietta c’è scritto “Above us only sky” sarà blu!!”, spingendoci addirittura – talvolta – a sbagliare colore appositamente, perché è quello che tutti si aspettano da te e tu non vuoi deludere il tuo gruppo di normo-vedenti. Color blinds, ci chiamano. Ma noi non siamo ciechi, siamo diversamente vedenti.

Nella futura società tollerante che auspichiamo si realizzi al più presto, anche grazie alla nostra progressiva emancipazione – di cui questa è soltanto la prima tappa –, molte dovranno essere le riforme egualitarie. Io comincio ad elencarne alcune che riguardano la vita coniugale, estratte dalla mia personale e drammatica esperienza.

1- I vestiti eleganti non potranno più avere colori ambigui (per colori ambigui si intendono almeno i seguenti: arancione, verde, marrone, blu, viola). Sappiamo tutti che le mogli vogliono essere adulate quando si vestono in maniera elegante. Anche un daltonico deve poter ottemperare a questo dovere senza fare figuracce, del tipo “Dile, ti sta benissimo quel vestitino arancione!!!” “Quale, amore?”, “Ma quello lì, proprio quello che stai indossando adesso!”, “è verde”. (Quest’ultima frase detta così, senza lasciar trasparire emozione alcuna, come se tu non fossi più un interlocutore degno del genere umano)

2- Le spie della macchina non potranno più avere luci rosse accanto a (o al posto di) luci verdi. Sapete perché sono così fissato col fare rifornimento di metano appena c’è un distributore? Perché NON VEDO LA SPIA DELLA RISERVA. È una luce che da verde diventa rossa. Cioè, per me, come se da grigia diventasse…. grigia.

3- Le lenzuola e le tovaglie dovranno essere tutte bianche. Ci ho pensato molto, ma questa è l’unica, estrema soluzione per non sbagliare mai. Quando tua moglie ti chiede di apparecchiare o di cambiare le lenzuola, tu potrai farlo in tranquillità, senza paura, fiero di essere un marito massaio moderno.

4- I trucchi dovranno aver scritto sopra il nome del proprio colore. Non basterà fare il cappuccio nero ad un mascara nero. Ci dovrà essere scritto NERO, chiaro e tondo. Senza ripensamenti, viaggi di ritorno, discussioni con le commesse divertite, e altre forme di malcelata daltofobia.

So che vi sembrerà poco, so che l’ambito coniugale non è il solo dove avvengono queste ingiustizie, ma considerate che sono molti più gli uomini daltonici delle donne daltoniche (per motivi genetici, dunque, la vita coniugale è grandemente esposta a questi rischi)… e soprattutto, da qualche parte il cambiamento deve iniziare.

Che la rivoluzione sbiadita abbia inizio.


venerdì 14 novembre 2014

Distruzione Creativa

Nella prima pagina c'è scritto: scrivi il tuo nome. Poi c'è scritto: scrivilo a lettere grosse. Scrivilo al contrario. Scrivilo di bianco. Scrivilo con mano leggera. Per essere un "Journal", ossia, letteralmente, un diario, non c'è male come inizio. 
 

Wreck This Journal di Keri Smith è un libro il cui scopo è essere creativamente… rovinato, o meglio ancora distrutto. Ogni pagina contiene un'istruzione, e le istruzioni sono le più varie, ma nonostante i gradi di potenziale distruttività siano diversi, nessuna lascerà il libriccino com'era prima. E così, si va da "usa questa pagina per fare un aeroplanino", a "disegna il contorno delle tue mani" a "getta nel compost questa pagina", a "metti questa pagina nella lavatrice, poi rincolla al suo posto ciò che ne resta", a "attacca qui a caso lo stralcio di una rivista" a "lega una cordicella al libro e sbattilo violentemente contro le pareti", a "fai la doccia col libro"… e via dicendo.
 

Wreck this Journal è stato scovato dalla sottoscritta in Internet e immediatamente acquistato online. E' arrivato a casa bello, liscio, intonso, compatto e si è presto deformato, gonfio di colore, di roba incollata, di pagine strappate e rimesse a posto, si è coperto di ammaccature per essere stato lanciato, sbattuto, portato a tracolla, bagnato e asciugato. L'ho portato al campo estivo e i ragazzi si sono messi seriamente d'impegno con  "chiedi ai tuoi amici di fare qualcosa di molto brutto a questa pagina", coinvolgendo tra le altre cose del sangue di pollo e una lumaca. 

Alcune istruzioni, per chi ha il vizio dello scarabocchio senza senso come me, sono fantastiche: per esempio l'ordine di scribacchiare sui margini e sul frontespizio, o di usare la pagina come un foglio per provare penne e pennarelli scarichi. Altre sono difficili da realizzare, al punto da richiedere una vera pianificazione, come "documenta il tempo che passa", "nascondi questa pagina nel giardino del tuo vicino". Alcune mettono persino alla prova l'entusiasmo stesso che abbiamo avuto, ingiungendo di regalare la pagina venuta meglio, per esempio.



La sfida vera, alla fine, non è tanto eseguire le istruzioni, ma  trasformare le esperienze più svariate proposte dal libro in atti creativi, che producano qualcosa di bello, persino di artistico, anche quando sembra impossibile, anche quando l'istruzione che ci viene data sembra priva di senso, o addirittura snervante o disgustosa.  Certo, è possibile solo a patto che l'assunto iniziale sia che vale la pena perdere del tempo per inseguire una bellezza originale. Solo così alla fine potremo dichiarare soddisfatti che il nostro Wreck This Journal è più bello una volta finito di quando era ancora intonso, appena estratto dalla scatola. 


Non dovremmo sforzarci di fare così di fronte a tutti gli imprevisti che il matrimonio - o la vita!- ci mette davanti? Lasciare tutto intonso non è un'opzione contemplabile. Se dobbiamo stare al gioco, che sia un gioco a cui scegliamo di partecipare fino in fondo, e senza perdere di vista il Senso.

venerdì 7 novembre 2014

Mi rifiuto!




Via delle Cose Nuove sorge in un piccolo comune attento alla sua immagine ecosostenibile, che ama immaginarsi in prima linea per una sempre più corretta gestione dei rifiuti, e giusto poche settimane dopo il nostro matrimonio abbiamo vissuto insieme ai nostri compatrioti l'introduzione della raccolta differenziata porta a porta. Come ogni famiglia locale siamo stati dotati di uno stock di sacchetti per l'immondizia in colori diversi, di una serie completa di brochures illustrative e di una speciale pattumiera richiudibile per l'umido.
Il sistema prevede che la spazzatura venga lasciata fuori dalla porta di casa, sul marciapiede, e raccolta dai netturbini intorno alle otto di ogni mattina. A seconda del giorno della settimana, si raccolgono tipologie diverse di rifiuto: lunedì e venerdì l'organico, in speciali sacchetti biodegradabili chiusi nell'apposita pattumiera per evitare scempi notturni da parte dei gatti (e magari di spiritosi vandali del compostabile), mercoledì e sabato l'indifferenziato in sacchetti neri, giovedì la carta in sacchi gialli. La raccolta di plastica, vetro e lattine continua ad essere invece a carico del cittadino, che deve gettarla nelle apposite campane, le quali sono a tutti gli effetti l'unico tipo di cassonetto rimasto sul territorio comunale. 

Ora, come un arguto osservatore non mancherà di notare, ci sono svariati aspetti misteriosi in questo sistema, e comunque tutto un mondo di eccentriche avventure a misura di marciapiede ad esso legato. 
Per cominciare: può succedere di trovarsi con montagne di rifiuti di un certo tipo (il cartone dopo un acquisto di mobili, l'organico dopo una cena tra amici, l'indifferenziato dopo un generale repulisti della stanza degli ospiti) quando ancora mancano giorni e giorni alla possibilità di liberarsene. Non si può certo mettere fuori il sacco sbagliato confidando nella compassione degli addetti alla raccolta (fatto una volta, per sbaglio, il tutto è risultato in un minacciosissimo cartello attaccato sul sacco esposto al ludibrio: IL MERCOLEDì SI RACCOGLIE ESCLUSIVAMENTE L'INDIFFERENZIATO!!!), quindi ci si rassegna a passare qualche giorno con i sacchetti chiusi tra i piedi o, presi dall'esasperazione, si compiono escursioni clandestine nei comuni limitrofi ancora dotati di cassonetti (il massimo della scorrettezza spazzaturifera!).
Inoltre inizialmente noi, come molti, abbiamo creduto che la raccolta di plastica, vetro e lattine, nota in breve come "multimateriale", mancasse all'appello del porta a porta solo perché sarebbe stata attivata in breve tempo, nel giorno provvidenzialmente lasciato libero nella settimana, cioè il martedì.
Tuttavia, oltre due anni dopo, continuiamo ad avere il martedì libero da raccolte e le campane funzionanti: nel frattempo ci siamo però spaventosamente impigriti, dato che la raccolta degli altri rifiuti funziona in genere egregiamente, e andare a buttare la plastica ci sembra uno sforzo titanico, direi quasi inaccettabile in un paese veramente civile, da rimandare finché si può. Ossia finché lo scomparto del multimateriale non diventa una torre pericolante di scatolette e bottiglie schiacciate, queste ultime sempre in procinto di decomprimersi dato che non vengono tappate a causa della raccolta separata dei tappi; oppure fino a che non comincia a puzzare. Perché sì, sappiamo che la raccolta multimateriale non dovrebbe puzzare, dato che gli oggetti vanno inseriti puliti, un po' come nelle foto del catalogo Ikea, dove i settecentoventi scomparti SORTERA per la raccolta differenziata contengono solo pulitissime bottiglie vintage , scintillanti lattine con colori intonati alle pareti della cucina, fiori freschi e gusci di noce. Nella vita reale, però, sciacquare velocemente un vasetto di yogurt prima di scaraventarlo nella pattumiera è il massimo che spesso ci si sente in grado di fare, e non si può certo pretendere di far fare ai tetrapack un giro in lavastoviglie prima di buttarli. Per non parlare delle vaschette in polistirolo che hanno contenuto del pesce. 
Ma andiamo oltre. Appurato che ancora non ci siamo evoluti alla raccolta porta a porta del multimateriale, la scelta della destinazione finale di ogni singolo oggetto è semplice? Non proprio, non in questa casa, almeno. Per cominciare, sono frequentissimi i dubbi originati dalle complesse regole illustrate nelle brochures consegnate due anni fa e tuttora esposte sulla lavagnetta della nostra cucina. C'è una sorta di sillabo del pattume, per lo più misterioso, per esempio niente custodie di cd nella plastica, niente scontrini nella carta, le posate in plastica vanno nell'indifferenziato, i piatti e i bicchieri di plastica invece possono accedere al multimateriale, ma solo qualora siano "privi di residui organici o liquidi", condizione invero frequentissima, chi non ha in casa mucchi di piatti e bicchieri di plastica puliti, da gettare via così, per il puro piacere di farlo? (abbiamo risolto questo particolare aspetto semplicemente smettendo di usare stoviglie in plastica anche quando ospitiamo cene numerose -in fondo abbiamo montagne di piatti in ceramica che fremono per essere usati, e quando l'usa e getta è una necessità inderogabile ci dotiamo di stoviglie biodegradabili in mater-bi). Il sillabo è poi soggetto ad interpretazioni controverse di noi poveri adepti, soprattutto per quanto riguarda i punti in cui il prezioso documento resta sul vago.
Damiano è ben deciso a gettare nel multimateriale qualsiasi cosa che sia di plastica e non compaia nella lista degli espliciti divieti di questa categoria, per esempio la pellicola unta che ricopre le vaschette in polistirolo, il cellophane che ha avvolto i panini e la copertura scivolosa delle riviste recapitate per posta. Io sono un po' più titubante, tendo a seguire le istruzioni che a volte compaiono direttamente sulla confezione più che quelle del sillabo comunale, e si originano discussioni filosofiche: ha più diritto a sentenziare sulla giusta destinazione di qualcosa chi  l'ha prodotta o chi la distruggerà? Per esempio, se la Coop garantisce che la copertura esterna della sua pasta sfoglia è destinata all'indifferenziato ma la Somma Brochure elenca come conferibile nel multimateriale una categoria genericamente etichettata come "buste in plastica", che si fa?
Più o meno va così. Io la butto nell'indifferenziato, fiduciosa che la Coop sappia quello che dice. Damiano la recupera e la sposta nel multimateriale. La mossa si rivela fatale perché era giusto l'oggetto che ci voleva per compromettere la stabilità della precaria montagnola di oggetti che cresce oltre il bordo e che collassa rovinosamente su se stessa. Seguono imprecazioni, sconcertanti scoperte (guarda qua, è pieno di cellophane, ma chi ce lo mette?!), faticosa raccolta delle lattine rotolate ovunque, chiusura del sacchetto, viaggio verso la campana. E poi… il ciclo ricomincia. O meglio, si ricicla.

Naturalmente, non finisce qui. Nella prossima puntata, le Avventure della Compostiera!