domenica 25 ottobre 2015

RACCOGLIERING. Il nuovissimissimo sport dell'Autunno

Nonostante abitiamo in un paese di campagna, io e Dile spesso cerchiamo relax in una casa ancora più rustica in una campagna ancora più isolata. I lignaggi nobiliari romagnoli della mia consorte, infatti, hanno lasciato in eredità alla generazione presente un vecchio casolare, abitato un tempo dai contadini che lavoravano per i signori Garagnani. 
Magari Dile, che è più poetica di me, saprà raccontarvi in un apposito post dell’unicità di questo luogo, dei suoi silenzi carichi di voci antiche, dei suoi tramonti che tingono il cielo di speranza, o semplicemente delle finestre della casa – tutte diverse tra loro – costruite da umili artigiani dell’esistenza, e da cui spiffera ancora l’aria fresca della vita…
Varano

Per adesso, quello che mi interessa dirvi è che il casolare è situato in mezzo ai campi nei pressi di Zocca: forse questo nome non vi suona nuovo, giacché stiamo parlando del paese natìo di Vasco Rossi. L’economia di questo piccolo borgo dell’appennino modenese si basa in effetti su due elementi: i pellegrinaggi rockettari verso la patria del Blasco nazionale, e le castagne.
Oggi vi parleremo di questo secondo importante business (se siete fan di Vasco ci spiace, rifatevi con questo articolo!).

L’ultima volta che siamo andati a Zocca, infatti, era il primo weekend di ottobre, cioè il primo weekend della gloriosa “festa della castagna” 2015! Le strade del paese, complice anche il bel tempo, si sono riempite di gente e di bancarelle varie, tra cui ovviamente quelle a tema: castagne e marroni di diversi tipi e dimensioni – contrassegnati dal marchio “Castagna di Zocca”, garanzia di assoluta tipicità! – , cotte su enormi bracieri messi a terra nelle piazze, oppure trasformate nelle fogge più molteplici: dolci di castagne, birra alla castagna, e perfino una buonissima pizza di farina di castagne (condita con ricotta, patate e porcini! Yumme!).
Era una festa bellissima, si respirava un’atmosfera di socialità allegra e genuina.

Festa della castagna 2015

Eppure, a un certo punto, abbiamo pensato a quelle poche castagne rimaste nel bosco, da sole, abbandonate ai margini della festa, che avrebbero tanto desiderato scoppiettare su un fuoco vivace e accompagnarsi con del buon vino rosso. 
Così siamo tornati al nostro casolare solitario, abbiamo messo gli scarponi e… “e siete andati a raccogliere castagne”, direte voi. E invece no, cari lettori, vi sbagliate di grosso! 
Noi non siamo andati semplicemente a “raccogliere castagne” – lemma insipido, desueto, medievale. Noi ci siamo invece dedicati alla nuovissima attività dell’uomo post-moderno, ecologico e biofriend, “glocale”, sempre e ovunque a chilometri zero dalla propria felicità, desideroso di trasformare in trend ogni sua iniziativa.
Si sa, il modo più semplice per creare nuove mode è cambiare nome a cose vecchie. Lo abbiamo visto con i fuseaux, che sapevano tanto di mamme casalinghe anni Ottanta, roba stantia; ma noi li ritiriamo fuori dagli scatoloni e li chiamiamo leggins, ed ecco che ritrovano tutto il loro colore, la loro modernità, perfino il loro potenziale erotico!
Questo vale non solo per gli oggetti, ma anche per le attività: non si va al mare a “vedere i fondali”, ma a fare snorkeling (sì, lo so, ci sono cascato anche io!); non si va a “camminare in montagna”, ma a fare trekking; non si va a “cena da qualcuno dividendo le spese”, ma a fare social eating. Vedete come suona meglio, più cool, più ggiusto, più essenziale, rapido a dirsi e bello a farsi? 
Bene, il problema è che però ultimamente l’aggiunta della desinenza -ing per trasformare ogni cosa in una tendenza ha passato il limite, la si trova ovunque, perfino in fondo a parole italiane. Ecco perciò che i “percorsi avventura” nelle foreste diventano albering, e il raccogliere cibi spontanei nel bosco, udite udite, foraging. 
Esatto, noi a Zocca non siamo andati a raccogliere noci, mele selvatiche e castagne, no signori, siamo andati a fare foraging.
Sì, lo sappiamo che il termine può essere pronunciato anche all’inglese, ma suona davvero trooooppo italiano per non riderci su. Il “foraging” consiste appunto nell’andare per boschi in cerca di piante e frutti commestibili non coltivati: è naturalmente presentato come un’attività social, che ci rimette in contatto con la natura e con i nostri antenati raccoglitori, che ci porta a rivivere consapevolmente la nostra appartenenza all’ecosistema, che ci fa mangiare “puro e bio”. Naturalmente il tutto deve presentarsi come una cosa seria, figuriamoci; e allora ecco chiamare in causa la scienza dell’alimurgia, ovvero lo studio delle piante selvatiche commestibili utilizzate durante i periodi di carestia.
Cara nonna, tu che eri inconsapevolmente laureata honoris causa in alimurgia, che durante la vendemmia ti nutrivi di erbe selvatiche colte sul posto, che ti facevi gli unguenti con i fiori perché da bambina avevi imparato così, che sapevi cosa voleva dire avere poco da mangiare e sudare sulla terra, che non avevi dubbi sul valore dell’agricoltura; perdona loro, quando sostengono di poter ridurre la fame nel mondo con i frutti selvatici, quando pretendono di insegnare al mondo l’olio di iperico come l’ultimo ritrovato dei bioecorimedi naturali, e perdonali quando andranno al Decathlon a comprarsi i vestiti adatti nel reparto wooding.
Perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Pensano di “fare foraging”.
Invece stanno semplicemente raccogliendo roba da mangiare nel bosco.

Come noi.






mercoledì 14 ottobre 2015

Inside out!


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Avete visto Inside Out? Se la risposta è no, rimediate subito.
E' uno dei migliori film d'animazione della Pixar, e se questo non vi dice nulla allora diciamo semplicemente che è un bellissimo film. Veramente. Intelligente, arguto, sorprendentemente originale e visionario. Che non ha paura di porsi grandi domande e propone veri virtuosismi metaforici, in una trama che si sviluppa senza perdere un colpo, piena di umorismo ma senza rinunciare alla profondità e con una serie di trovate di straordinaria intelligenza narrativa. Quindi andate a vederlo, se non l'avete fatto, e ve lo scrivo adesso perché da ora in poi si parte con gli spoiler.

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Inside Out è un film che parla delle emozioni che abitano la testa ( o forse sarebbe meglio dire il cuore) degli uomini. In particolare, le emozioni che abitano nella testa di Riley, una bambina di undici anni. Sono Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, e si alternano al comando della consolle della sua mente, sotto la leadership indiscussa di Gioia, che sembra essere il tratto principale della personalità di una ragazzina con una famiglia affettuosa ed una vita piena e felice. Ogni esperienza che Riley vive viene immagazzinata nella sua memoria sotto forma di una scintillante sfera che ha il colore dell'emozione  prevalente nel momento in cui l'ha vissuta. Per la maggior parte, quindi, l'archivio labirintico  della sua memoria a lungo termine è tappezzato di ricordi del brillante giallo oro di Gioia. Non mancano sfere verdi per Disgusto, bravissima ad evitare, come commenta Gioia, che Riley venga avvelenata fisicamente o socialmente, rosse per Rabbia, molto bravo a far rispettare i diritti di Riley, e violette per Paura, esperto nel tenerla fuori pericolo. Poi ci sono le sfere blu di Tristezza: ed ecco il grande interrogativo del film: a cosa serve la tristezza? All'inizio non riusciamo a capirlo, esattamente come Gioia, che, gentilmente ma con fermezza, fa di tutto per tenere Tristezza il più possibile lontano dalla consolle che governa gli stati d'animo di Riley. Per Gioia, il bene di Riley dipende esclusivamente dal mantenerla in un mood ottimista e positivo, perchè affronti con allegria e dinamismo ogni avvenimento, ed il suo sistema ha funzionato così bene durante l'infanzia spensierata che le altre quattro Emozioni che coabitano la testa della ragazzina riconoscono a Gioia un'indiscussa autorità. 

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Eppure, la novità di un trasloco che sradica Riley dai luoghi dov'è cresciuta e dalla vita che ha determinato gli aspetti fondamentali della sua personalità è sufficiente per mettere in crisi questa gestione. Lo squallore dei sobborghi di una metropoli come San Francisco, la nuova scuola, l'allontanamento dagli amici di sempre, una serie di cambiamenti difficili da affrontare tutti insieme rendono impossibile arginare l'intervento di Tristezza, e l'ostinazione di Gioia a mantenere la collega lontana dalla consolle operativa finisce per creare un disastro: lei stessa e Tristezza vengono scaraventate lontano dal Quartier Generale, nei labirinti della memoria a lungo termine, mentre al comando rimangono Rabbia, Paura e Disgusto, spaventati e disorientati dall'improvvisa responsabilità, che tentano senza alcun successo di simulare la presenza di Gioia alla consolle, finendo per far reagire Riley in modo sempre più inconsulto.
Alle vicende esterne, sceneggiate con tempi comici perfetti (indimenticabile la scena della cena in famiglia, dove vediamo interagire anche le emozioni dei genitori di Riley, in un crescendo di incomprensioni esilarante) fanno da contrappunto le vicende "interne", ovvero il viaggio che Gioia e Tristezza devono intraprendere per riuscire a tornare al Quartier Generale, e che le costringe ad attraversare tutta la mente di Riley. E' qui che il film dà il meglio di sé, rivelando una potenza immaginifica ed una raffigurazione davvero efficace dei meccanismi della mente. Camminando con loro scopriamo che fine fanno gli amici immaginari che popolavano la nostra infanzia, come funziona la produzione dei sogni (è un vero e proprio studio cinematografico dove si lavora su copioni scritti rimaneggiando ed alterando le esperienze della giornata), come mai certi motivetti ci entrano nella testa per non uscirne più e ci troviamo a canticchiarli tra i denti nei momenti più assurdi, cos'è veramente il Subconscio, come funziona l'elaborazione del pensiero astratto (una sequenza quasi avulsa dal resto del film e semplicemente memorabile).

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Ma soprattutto, diventa a poco a poco chiaro, a Gioia ed anche a noi, che la Tristezza fa parte della vita e che crescere significa imparare a conoscerla. Che senza Tristezza non si può sviluppare la compassione nei confronti degli altri, ma soprattutto la necessità vitale di chiedere aiuto a chi ci vuole bene quando serve e capire che non ogni cosa può essere fronteggiata da soli. Così è proprio Tristezza che, con l'incoraggiamento di Gioia, alla fine rimedia con semplicità ai disastri che nel frattempo stanno accadendo all'"esterno" grazie all'inesperienza di Rabbia, Paura e Disgusto e riconcilia Riley con la nuova vita che, volente o nolente, deve condurre lontana dai luoghi dov'è cresciuta. Sfogandosi con il pianto in un abbraccio pieno di affetto con i suoi genitori, Riley lascia simbolicamente l'infanzia, mentre i ricordi fondamentali che l'avevano caratterizzata si tingono delicatamente di malinconia, ed entra in una nuova fase della sua vita, fatta di esperienze più complesse e sfumate.

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Il film incanta per la sua attenzione al dettaglio e propone una visione intessuta di consapevole e delicato ottimismo, incentrata sull'importanza di accogliere ogni aspetto della vita nella certezza che tutto volge sempre al bene quando camminiamo accanto a persone che ci amano, e che questo aspetto è molto più determinante dell'allegria (che comunque non guasta) per essere davvero felici.
Fa ridere, fa piangere, fa pensare, sorprende e meraviglia, interroga e propone risposte. Ed è visivamente una gioia per gli occhi. Ad un film non si può chiedere di più, per quanto mi riguarda è il migliore dell'anno, ed entra nell'empireo dei miei  favoriti di sempre. Io l'ho già visto quattro volte. E voi?