domenica 27 novembre 2016

After



 

Una mia alunna la scorsa primavera mi ha detto che il suo libro preferito era After, e quando le ho detto che non lo avevo mai letto mi ha risposto "Noo, prof! E' stupendo, non sa cosa si perde". Così, ligia al dovere professionale e spinta dalla curiosità, ho rimediato alla lacuna. Tra l'altro era un libro che avevo cominciato a vedere dappertutto, dalla biblioteca agli scaffali del supermercato, persino di quello minuscolo qui in paese. Cercando qualche informazione in rete, ho scoperto che il libro è il nuovo "fenomeno mondiale" dell'editoria (il che in effetti non mi stupisce, dato che lo ha letto persino la mia alunna, il che equivale a dire che è stato comprato anche da esponenti di quel percentile della popolazione che in linea di massima comprerebbero piuttosto che un libro un soprammobile a forma di cervo in plastica verde all'IKEA, magari in più esemplari). Le ragioni principali del successo, che include un film in produzione e milioni di copie vendute nel mondo, mi sarebbero rimaste oscure se prima di cominciare non mi fossi doviziosamente informata (a quanto pare nasce come fanfiction che trasfigura in personaggi letterari i membri degli osannatissimi One Direction), perché come forse qualcuno di voi, astuti seguaci del blog, avrà intuito, After è un libro talmente brutto che se lo avessi letto in forma cartacea e non in ebook avrei avuto scrupoli ad usarne i fogli per farne pallottole da infilare nei miei scarponi bagnati dopo un'uscita scout (voglio molto bene ai miei scarponi). E' un libro talmente brutto che non ho avuto il coraggio di dire alla mia studentessa chiaro e tondo quanto mi fosse non piaciuto. Forse devo ancora farmi le ossa nel mestiere di insegnante.
E' talmente brutto che esercita una specie di fascino perverso, la volontà di scoprire fino a che punto si può scavare già dopo che si è da tempo toccato il fondo della bruttezza, e da questo punto di vista il romanzo non vi deluderà, perché devo dire che il finale è orrendo perfino oltre l'immaginabile.

Se proprio volete sapere di cosa parla, cercherò di sintetizzare la trama in maniera semplice, comprensibile a chiunque: lui e lei, dai poco realistici nomi di Tessa e Hardin, sono studenti di college (ironia della sorte, studiano letteratura), si incontrano e sono attratti da una irresistibile passione in grado di vincere ogni ostacolo, come il fatto che lui sia il peggior stronzo mai comparso sulla terra e lei una deficiente patentata. Litigano, fanno pace, fanno sesso, litigano, fanno pace, fanno sesso, litigano, fanno pace, fanno sesso, rifanno sesso, rilitigano, fanno pace, fanno di nuovo sesso, litigano, fine. Ora, per rendere giustizia a questa complessa architettura narrativa, non omettiamo che in effetti l'intero romanzo può avere anche una seconda lettura, diciamo allegorica, un po' come la Divina Commedia o il Pilgrim Progress. Infatti, possiamo anche leggere l'opera come rappresentazione del fatale incontro tra la Stronzaggine e la Scempiaggine, che infiniti lutti addusse agli adolescenti e molte anzitempo all'Orco generose travolse alme di potenziali lettori.
Una cosa però può essere detta di positivo su After: è forse l'arma più utile in mano a quelli che sostengono che la famosa massima "L'importante è che i Giovani Leggano" è una solenne baggianata. "L'importante è che i Giovani Leggano" infatti è sostanzialmente il modo in cui ci autoconvinciamo che in fondo è persino una buona azione, da parte delle case editrici, pubblicare immondi escrementi editoriali, dato che pare che torme di giovani de-letturizzati si compiacciano nel pascersene con entusiasmo. Ebbene, no. Se davvero è Importante che i Giovani Leggano, che leggano il retro delle confezioni di Special K mentre fanno colazione, che leggano la guida tv, che leggano Topolino (e questa non era una battuta, Topolino può vantare soggettisti e sceneggiatori, per le sue storie, che in confronto alla povera Anna Todd, autrice di After, sono più o meno Shakespeare), ma che non leggano roba di questo genere.
Mi vengono i brividi a pensare che qualche giovane pulzella (purtroppo, il target di questo tipo di obbrobri romance è ovviamente femminile) potrebbe rovinarsi il gusto letterario e il piacere di leggere abituandosi a considerare normale  questo tipo di insulso ritmo narrativo incoerente, ripetitivo, piatto. Quattrocento pagine di paratassi in cui una frase subordinata è una specie di bestia rara, pagine e pagine di interminabili scambi tra i protagonisti in cui ogni battuta è costituita da un massimo di quattro parole (mi concentro sulla forma, di questi dialoghi, ma naturalmente c'è la nota dolente del contenuto, invariabilmente e atrocemente cretino). E che dire del trascorrere un intero volume in un allucinato, squallido orizzonte narrativo fatto di aule di college, dormitori di college, sedi di confraternite di college e locali notturni che scivolano come quinte teatrali intercambiabili dietro i due protagonisti sempre intenti a recitare la stessa scena (litigano, fanno pace, fanno sesso etc…) senza che sia possibile ravvisare nemmeno una lieve parvenza di vita reale? 
Le lezioni di letteratura nell'immaginario college di Tessa e Hardin: il professore entra, dice "Oggi parleremo di Orgoglio e Pregiudizio. Che ne pensate?" e gli alunni (Tessa e Hardin, gli altri sono comparse cartonate posizionate sulle varie sedie dell'aula) esprimono il loro "parere" (virgolette d'obbligo) sul libro: Elizabeth è troppo prevenuta, Darcy è uno stronzo. No, non è vero, Darcy è un eroe, tu sei uno stronzo. Ma che dici, sei frigida proprio come Elizabeth. No (Tessa piange), come osi, non è vero, sei perfido! Come ho potuto provare qualcosa per te? Interviene il professore: la lezione è finita, per la prossima volta quindici righe su "Darcy ed Elizabeth si sposano per amore?". 
Il duro guadagnarsi il pane col sudore della fronte nell'immaginaria città accademica di Tessa e Hardin: a Tessa serve un "lavoretto", quindi, fresca matricola con neanche un esame sul libretto, va a fare un colloquio per uno stage presso una casa editrice (svolgimento del colloquio: "Le piace leggere?" "Oh, sì, tanto!" "Che colpo di fortuna, incredibile! Lei è proprio il tipo di persona che stavamo cercando!"), viene seduta stante assunta, stipendiata, munita di ufficio privato , orario flessibile (la mattina deve andare ai suoi complessi corsi di letteratura, ricordiamocelo) e segretaria personale. Beh, che c'è? Non è la vostra esperienza di stage universitario? Siete proprio degli sfigati, allora! 
I rapporti familiari ed affettivi nelle immaginarie famiglie di Hardin e Tessa: lei viveva con la madre, donna puritana a tal punto da considerare non dico con disapprovazione, ma con crisi incontrollate di rabbia e panico il fatto che nel dormitorio della figlia si aggirino persone che hanno dei tatuaggi: appena fuori dal radar materno, Tessa si trasforma in una specie di ninfomane psicopatica. Lui odia il padre perché lo ha abbandonato con la madre lasciandoli in estrema povertà, praticamente al livello del rovistaggio nei cassonetti del supermercato, per non parlare del fatto che era un alcolizzato violento. Il padre in questione ha però avuto un inaspettato riscatto sociale, riciclandosi nella mezza età come rettore (!!) del college frequentato dal figlio.
E potrei continuare.

La Mente che ha creato tutto ciò.
Mi vengono i brividi a pensare che i giovani cervelli delle mie alunne già zoppicanti a scuola si anestetizzino ulteriormente sciroppandosi pagine e pagine di roba del genere. In un certo senso mi commuove pensare che la mia poverina lo trovasse avvincente: qualunque entusiasmo letterario mi vede solidale, ma quanto poco ha avuto dalla sua vita di lettore qualcuno che si emoziona per una cosa così? Quanto di più chiunque meriterebbe dalla vita che libri così brutti!
Ma c'è un dato che ho volutamente lasciato per ultimo e che mi impedisce di archiviare la storia come eclatante esempio di cattivo gusto adolescenziale. Ed è la portata catastrofica di diseducazione affettiva che il libro porta con sé. Celebrato come il trionfo "editoriale" di una grande passione che fa impazzire milioni di lettrici in tutto il mondo, il libro in fondo è l'agghiacciante cronaca di un rapporto disturbato e violento, in cui abbandonarsi alla "passione" significa permettere all'altro di abusare psicologicamente e fisicamente di noi. Così la cattiveria e l'abuso diventano "fascino magnetico", la sottomissione più beota "passione folle", l'ubriachezza molesta "libertà" ed il passare sul cadavere di chiunque intralci il raggiungimento immediato del nostro piacere "indipendenza".
Quindi, passi per la stupidità, la piattezza, la bruttezza stilistica, lo spreco di carta, l'insulto all'intelligenza del lettore. Quello che mi fa davvero infuriare è che questo rigurgito sia percepito come una storia "romantica", la storia di un "grande amore". Non è così. E nessuna, adolescente scervellata o meno che sia, merita che le venga detta una bugia del genere.

L'insulto finale.
PS: il post è già troppo lungo ma non posso omettere che sull'onda del successo di After sono stati ripubblicati con copertina simile e strillo "i romanzi più amati da Tessa e Hardin" Anna Karenina, Orgoglio e Pregiudizio e Cime tempestose. Qui un articolo di Top Girl alle prese con un'insolita svolta culturale nel suo palinsesto editoriale, che vi spiega che anche prima di After esistevano storie d'amore universali e magnifiche, insomma che la grande letteratura non è nata con Anna Todd come si potrebbe pensare, ma che qualcuno aveva già fatto qualche tentativo passabile prima del capolavoro immortale su Hardin e Tessa che consacra il genere per sempre, e che quindi si può dare una chance a questi prequel ottocenteschi di discreta fattura. No comment. Fate voi.

sabato 5 novembre 2016

Elogio della chiacchiera di paese


La chiacchiera è come la cacca: a nessuno piace, ma tutti la fanno.
È proprio un bisogno primario. Uno strumento di sopravvivenza.
E proprio così ve la voglio presentare, nella sua utilità sociale ed esistenziale. Mi perdonerà il sommo snob Martin Heidegger, che tanto la disprezzava: forse ricorderete le pagine di "Essere e Tempo" in cui la chiacchiera viene assunta ad archetipo della dimensione della spersonalizzazione, della perdita di responsabilità ("si dice", "si racconta", senza soggetto) e della perdita del contenuto (l'importante è che si discorra di qualcosa, non importa di cosa).
Peccato che Heidegger abbia finito per abbracciare la più grande spersonalizzazione del secolo scorso: il totalitarismo di massa; in cui il "si" impersonale è arrivato fino all'estremo del "si uccide".

Ma basta con i discorsi filosofici, qua si deve chiacchierare!!

Intendiamoci, non che voglia elogiare qualsiasi tipo di chiacchiera. C'è una chiacchiera tremenda, orribile tanto quanto affascinante, che consiste nel "parlar male di qualcuno che non c'è", nel demonizzare quello lì, sentendoci così parte di una "cerchia ristretta dei non esclusi". Questo tipo di chiacchiera assolve alla funzione di tutte le chiacchiere, su cui tornerò tra poco, che consiste nel voler instaurare un senso di comunità: tuttavia lo fa a discapito di qualcuno che da tale comunità viene escluso. Ne abbiamo molti esempi anche fuori dalla realtà di paese, e specialmente nelle piattaforme di messaggistica e sui social, in cui si può insultare a piacere e a distanza di sicurezza (qui, caro Martin, un po' di ragione ce l'avevi!;) 
Ma ci sono almeno altri due tipi di chiacchiera che hanno il pregio di tutte le chiacchiere senza il difetto della chiacchiera insultante. E queste non si possono replicare nel mondo del web. Le ho sperimentate vivendo in un piccolo paesello.
La prima forma di chiacchiera che voglio elogiare è la celeberrima chiacchiera sul tempo metereologico. In qualunque negozio di paese entriate, la prima cosa di cui sentirete parlare (o parlerete voi stessi), prima ancora di ciò che si vuole vendere o comprare, è che tempo fa. "UFF, calduccio oggi eh, Marcello?" "Eh sì, e siamo di già a novembre...  il solito pane cotto a legna?" oppure "Certo che con questa pioggia m'è preso un umido addosso... fammelo bello caldo il cappuccino, vai!"
Perché parliamo del tempo che fa? Perché molto difficilmente ci sarà un disaccordo! E perché non si crea il disaccordo? Perché il tempo metereologico non dipende da noi. Il giorno in cui gli uomini controlleranno il cielo, facendo anche di esso oggetto di mercato, smetteremo di parlare subito del tempo che fa, e perderemo uno dei nostri ultimi strumenti per costruire l'accordo umano, per sentirci tutti membri della stessa comunità: "quelli che stanno sotto il cielo".

Fortunatamente ci rimarrà una seconda forma di chiacchiera buona, la chiacchiera retorico-descrittiva, che nella mia mente prende subito le sembianze di una specifica vecchietta, di cui non so neanche il nome, in verità. Questa simpatica signora, ogni volta che passa davanti a casa nostra e mi trova all'esterno, mi chiede se sto facendo quello che sto facendo. Ad esempio, se sto tagliando l'erba in giardino, mi fa: "Hey, giovane, tagli l'erba?", "Eh sì!", faccio io. E fine. Io continuo e lei se ne va col sorriso. Oppure, se sono nei pressi della cassetta delle lettere: "Oggi c'è posta, eh?", "Eh, davvero, con queste bollette...." (rilancio per avere una reazione), "Mah...." E la cosa finisce. Non sono mai riuscito a scambiarci più di queste parole, giuro. Forse vi sembrerà che questa tipa sia molto curiosa, che voglia farsi gli affaracci degli altri per poi mettere in pratica il primo tipo di chiacchiera, e invece non è così. Ne ho avuto la prova due giorni fa (e questo mi ha spinto a scriverne). Stavo rientrando in casa, ho aperto il cancello, ho fatto due passi verso la porta, l'ho vista, le ho sorriso, e lei mi ha detto: "Che fai, RIENTRI IN CASA?" È stato il massimo, non ho neanche detto niente, perché non c'era possibilità di dire altro che "sì", e quindi era quasi inutile rispondere. Ma non è stato inutile fare la domanda.
Perché con queste chiacchiere povere, a prima vista inutili, semplici e banali, noi cerchiamo di anteporre a tutte le nostre avidità, a tutte le nostre diversità e parzialità, a tutti i nostri interessi in conflitto, un sentimento di appartenenza comune al mondo dei vivi. Al mondo di quelli che tagliano l'erba, pagano le bollette, escono e rientrano in casa. Cerchiamo di restaurare un senso di comunità attraverso quello che abbiamo di più umano: la comunicazione.