lunedì 27 giugno 2016

Autobiografia di una zucchina

«Ciao,
io sono una zucchina.
Gli esseri umani ci concepiscono come il punto finale di un lungo processo naturale, perché ci mangiano; dal loro punto di vista, quindi, quella che sarebbe la tappa successiva del ciclo vitale della nostra pianta, ovvero il seme, rappresenta invece l'inizio.
Ed è proprio da lì che anche io inizierò la mia storia, uniformandomi al punto di vista del mio coltivatore (che ringrazio per lo spazio concessomi nel suo blog).

In principio era, anzi ero, il seme. Un seme grossetto, di forma ovale.
Damiano mi ha piantato nel terriccio, al caldo, dentro una bella serretta: il mio spazio vitale era un centimetro cubo di terra circondato da plastica nera, ma tutto sommato mi bastava.



Ogni tanto arrivava dell'umido, che io assorbivo lentamente. Quando mi sono sentita a mio agio, dopo un paio di settimane, mi sono aperta, e ho cominciato ad espandermi nel terriccio, che diventava sempre più angusto mano a mano che crescevo. Così Damiano mi ha travasato in uno spazio più grande. Quello che era stato il mio seme adesso sembrava la protuberanza di una mia foglia.




Scoprii la provenienza di quell'umidità. Un annaffiatoio regolarmente forniva a me e alle mie sorelle dell'acqua liquida! Facevamo più o meno una doccia al giorno (più di quanto si lavi Damiano, in effetti). Crescevo bene e sana, ma iniziavo a sentirmi davvero troppo stretta, e in più in quella serretta il caldo stava diventando insopportabile. Per fortuna, dopo altre due o tre settimane, mi hanno trasferita in campo aperto.



Aria pura!! Sole e pioggia!! Terreno in abbondanza, e pieno di elementi nutritivi!! Ero felicissima. Scoprii presto, però, anche gli svantaggi di quella vita libera: ero circondata da ciuffi d'erba che crescevano inesorabilmente, e le mie foglie, un tempo tanto belle e gentili, cominciavano a essere bucherellate dalle lumache affamate. Decisi di reagire, crescendo sempre di più: così avrei soffocato le pretese di quell'erbetta insipida, e le mie foglie sarebbero state troppo amare per quei vermi col guscio!


Trovai più pioggia che sole, e questo alla lunga mi spossava un po': per di più le docce della pioggia non erano pulite come quelle dell'annaffiatoio, e un paio di volte piovve così forte che la terra smossa mi sporcò tutte le foglie! Per fortuna il mio coltivatore qualche volta mi puliva, e strappava anche l'erba che opponeva resistenza.
Crescevo e crescevo, e piano piano il sole cominciava a scaldarmi per bene. C'erano ormai le condizioni per maturare: così, al principio di giugno, cominciai tiepidamente ad allungarmi, e dalla mia testa spuntò un ciuffo giallo che la mattina si apriva e nel pomeriggio si richiudeva. C'erano anche altri ciuffi gialli intorno a me, che facevano capolino tra il verde delle larghe foglie: Damiano li raccoglieva per friggerli, invece il mio rimase al suo posto finché...


... a metà giugno, Lui decise che ero abbastanza grande per essere colta. Ero la prima dell'orto, e mi guardava con sguardo rapito!! Mi prese e mi portò come un trofeo da Diletta, sgranando un sorriso radioso.


Pensavo di essere entrata nelle loro grazie, e invece mi rapirono e mi rinchiusero in frigo, dove ebbi uno shock termico! Capii che ci sarei rimasta poco: parlavano troppo di me. Dopo un paio d'ore mi hanno tirato fuori, e mi hanno chiesto di raccontarvi questa storia sotto minaccia di un coltello. Adesso la mia storia è finita, non so cosa accadrà, ma fino ad ora ho vissuto abbastanza bene. Queste, in effetti, potrebbero essere le mie ultime parole».

Esatto.

Nessun commento:

Posta un commento