mercoledì 30 settembre 2015

Scarti librari



E' arrivata (e passata) la radiosa coda settembrina dell'estate, con giornate fresche e piacevoli ed un po' di tempo libero da usare in casa, ed io ho deciso di mettermi all'opera per depurare la nostra libreria grande con lo spirito con cui si sgorga un lavandino intasato.
La libreria grande è la prima cosa che colpisce l'occhio entrando in casa nostra, ed occupa l'intera parete antistante la porta d'ingresso.
All'inizio, traslocando i rispettivi patrimoni librari nei giorni prima del matrimonio, avevamo cercato di disporli con qualche criterio base, ripromettendoci di "dare una sistemata in seguito". Inutile dire che tale sistemata non è mai avvenuta, e nel frattempo non abbiamo fatto altro che aggiungere nuovi acquisti fino a riempire tutto lo spazio disponibile, togliere libri per leggerli e rimetterli a posto appoggiandoli sopra gli altri ed usare la libreria anche per quaderni, fogli sciolti, pericolanti pile di cd, cartine per il trekking malpiegate e occasionali panni per spolverare dimenticati. Insomma, regnava il caos (e volete sapere qual è la cosa più sconcertante? Che in confronto alla libreria dello studio, questa sembrava ordinata. Ma una missione impossibile per volta).
Comunque, il punto è che stavamo esaurendo lo spazio, e questo significava che prima di riordinare suddividendo per letterature nazionali e settori diversi di saggistica, prima di spolverare gli scaffali, prima di timbrare tutti i volumi con il nostro ex libris componibile, prima di ogni altra operazione... era necessario liberarsi di alcuni libri.


 Ora, io sono una di quelle persone con la tendenza paganeggiante ad idolatrare i libri, ma ho dovuto ben presto rendermi conto che potevamo senza rimpianti fare a meno di qualche titolo nel nostro catalogo.
A cominciare dai doppioni, ad esempio i due dizionari di tedesco stessa edizione e stesso anno, o le due serie di opere di T. S. Eliot, perfettamente identiche, risalenti ad un periodo in cui da fidanzati ci eravamo fissati ed avevamo entrambi acquistato uno dopo l'altro i Quattro Quartetti, la Terra Desolata, Assassinio nella Cattedrale e via discorrendo (in effetti è stato immediatamente dopo quel periodo che abbiamo cominciato a guardare al futuro ed a cercare di coordinare gli acquisti librari).
Poi è stata la volta dell'Enciclopedia del Pensiero Filosofico e Scientifico in dodici volumi del Geymonat, appartenuta a mia madre (che era stata ben contenta di sbolognarcela), accettata da Damiano con l'entusiasmo di un giovane filosofo ancora "povero" di libri e ben presto risultata sorpassata, ingombrante e definitivamente poco consultabile. Stiamo ancora cercando, senza successo, di venderla su ebay, in ogni caso ha lasciato posto sugli scaffali migrando nel ripostiglio.
Poi una processione di robaccia di varia natura, detriti adolescenziali e acquisti poco oculati: fantasy di dubbio gusto, il manuale Risparmiare in casa (spoiler: il modo migliore di risparmiare è non comprare questo libro), l'orrendo Vita nel Vento, libretto per bambini vinto ad una pesca di beneficienza con raccapriccianti illustrazioni col verde vomito come colore dominante, l'utile pubblicazione Scuola in prospettiva (salvo che la prospettiva in questione è quella di due o tre decenni fa, visto che il prezioso volume era venduto al modico prezzo di 2000 lire),  parateologia d'accatto tipo Uno di noi è Dio la cui quarta di copertina riassume la cosiddetta "originale intuizione" dell'autore: "se uno di noi è Dio, anche noi siamo Dio". Imperdibile.
Ma soprattutto, un'intera serie di "libri di lettura" appartenuti a Damiano e risalenti agli anni della scuola media, che visti tutti insieme mi hanno fornito una specie di improvvisa illuminazione sul perché in Italia si legge molto poco: è probabile che una delle cause principali sia la tendenza di certi insegnanti a scegliere per i ragazzi, negli anni in cui prende forma il gusto adulto per la lettura, libri che tutto fanno venir voglia meno che di leggerli. Vederli mi ha fatto ricordare i miei libri di lettura delle medie (di cui mi sono sbarazzata tempo fa e che infatti non risultano all'appello), ed in particolare una deprimente antologia di racconti "attuali" di Vittorio Zucconi, piacevoli  da leggere come un elenco telefonico. Anche i professori di Damiano non scherzavano: il pezzo forte di questo piccolo museo di clamorosi errori didattici rilegati in brutte brossure è una raccolta intitolata Storie di Adolescenti, copertina color caco maturo con triste acquarello di bambinetti che giocano su un albero. 

Sottotitolo "26 racconti sul mestiere di crescere", proprio quello che l'adolescente medio cerca quando apre un libro (per non parlare di quel ventisei scritto in cifre). Contenuto, uno sconcertante elenco di racconti mischiati ad estratti di opere più lunghe: qualche pagina di Anna Frank (perché non far leggere invece tutto il Diario?), Bee Bee Pecora Nera di Kipling, perfetto per marchiare a fuoco nelle teste degli sventurati brufolosi dodicenni (che nulla sanno della poetica cupa, esotica e misteriosa di Kipling) che Kipling è un autore deprimente che parla di bambini maltrattati, parti di un Diario di una giovinetta non meglio identificato il cui picco emotivo è rappresentato dall'angoscia di un ricovero per appendicite, un racconto di Moravia brutto anche più della media dei racconti di Moravia (ah, Moravia, onnipresente nelle antologie delle medie, e non a caso accuratamente evitato da tutti in seguito!) e ciliegina sulla torta, estratti dell'ignobile Diario segreto di Adrian Mole, di tredici anni e tre quarti, ricco di quello che la curatrice dell'antologia definisce "scanzonato gergo giovanile" (probabilmente per l'uso scorretto dei congiuntivi) che ci regala brani di questo genere: "Sono andato a prendere il tè dalla nonna. Ero triste e abbattuto a causa del soggiorno di Pandora in Tunisia. La nonna mi ha chiesto se ero stitico. A momenti le dicevo qualcosa, ma come si fa a spiegare l'amore a una donna di settantasei anni che crede che è una parolaccia?" Ahah. Non vi state spisciando dal ridere anche voi? E' questo quello che ci vuole per diventare lettori appassionati! Uno proprio non vede l'ora di sapere come continua!
Potrei lanciarmi in una filippica sulla cattiva educazione alla lettura che si riceve alle medie, ma Damiano già mi dice "Non fare post troppo lunghi!"
Quindi, in conclusione: i nostri scarti librari sono stati regalati in giro, o nei casi più impresentabili riposti in una scatola destinata al mercatino dell'usato dell'Operazione Mato Grosso, che sarà ritirata provvidenzialmente il primo ottobre. Con i libri delle medie, invece, abbiamo rimpinguato la nostra riserva di carta per accendere il camino, visto che ormai arriva la brutta stagione. E voi, se li aveste ancora sottomano, che fareste ai vostri orridi "libri di lettura"?

mercoledì 23 settembre 2015

L'enigma del bidet

La diffusione geografica dei bidet è una prova inconfutabile della superiorità delle civiltà latine.
Pur essendo inventato in Francia, si è infatti diffuso soprattutto in Italia e Portogallo. Non esiste praticamente abitazione, da noi, che non sfoggi orgogliosamente questo araldo dell'igiene (anche se pare fosse in origine legato a bordelli e case di piacere, in cui davvero l'igiene era una questione vitale...ma questa è un'altra storia).




Ad ogni modo, il bidet ha ancora un lato misterioso: tutti lo hanno, pochi ne parlano. 
Ormai si parla di tutto, di sesso, di soldi, di violenza, persino di merda (sì, lo posso scrivere in piena libertà, senza che il correttore automatico-moralista me lo sottolinei!); ma il bidet rimane un tabù (...e infatti me lo sottolinea).

Volete sapere come combattere l'eiaculazione precoce? Nessun problema, cliccate qui o qui.
Volete sapere come fare soldi in poco tempo? Niente di più facile, cliccate qui o qui (oppure vendete rimedi contro l'eiaculazione precoce)

Ma volete sapere come si usa il bidet? Bene, allora troverete soltanto questa pagina di WikiHow, che però furbescamente evita di rispondere al quesito fondamentale, e cioè: DA CHE PARTE CI SI SIEDE SUL BIDET? Verso il muro o con le spalle al muro?

Forse voi lettori troverete stupida questa domanda, ma non appena porgerete il quesito a una persona di sesso opposto al vostro, vi accorgerete che il problema è reale. 
In effetti la questione si è imposta a noi, in tutta la sua forza, dopo il matrimonio. Abbiamo subito scoperto qualcosa che ci divideva profondamente! Sconcertati, abbiamo infine elaborato questa teoria: le donne per la maggioranza siedono sul bidet verso il muro, specialmente a causa della complessità di certe loro operazioni igieniche; mentre molti uomini, a causa di evidenti ostacoli fisici, preferiscono sedersi sul bidet con le spalle al muro.
Tuttavia la nostra teoria non è adeguatamente provata, ed ecco perché ci rivolgiamo a voi.

La nostra società oscurantista non affronta il problema di una delle operazioni basilari della nostra vita. Ma noi, i Marx dell'igiene intimo, i Freud della sanità genitale, lanciamo con onore questo sondaggio planetario volto a confermare o confutare la nostra teoria.

VOI, DA CHE PARTE VI SEDETE SUL BIDET? Verso il muro o con le spalle al muro?

Rispondete, la verità ha bisogno di voi.

domenica 6 settembre 2015

Il damianide in ambiente marino



Questo post sarà dedicato all'osservazione antropologica del damianide,  altresì noto come homo piandiscoensis, in un ambiente che non gli è connaturale e che egli percepisce come sostanzialmente ostile, quale quello marino. Come molti di voi sanno, il damianide è una varietà della specie homo caratterizzata da colorito latteo (ma tendente al rosso in corrispondenza della faccia), efelidi sparse su tutto il corpo e pelo fulvo. Ha dunque una tendenza fisiologica a rifuggire il sole, resa più profonda dalla refrattarietà psicologica a ripetere esperienze compiute nell'infanzia e che egli associa istintivamente all'ambiente costiero: interminabili rituali consistenti nel cospargere il corpo di creme solari protezione 75, dense come colla vinilica e disposte su strati rinnovati dopo ogni bagno, conseguenti impanature di sabbia in ogni remota piega della pelle e risultante impossibilità di condurre alcun tipo di vita sociale, da cui il ripiego su attività ispirate a Forrest Gump, tipo diventare il campione di ping pong della pineta.
Se siete coniugati ad un damianide, e coscienti dei suoi traumatici trascorsi, sarete psicologicamente preparati alla totale assenza di vacanze al mare nel corso della vostra vita matrimoniale.  
Non ci sarà da stupirsi tuttavia se il soggetto, dopo innumerevoli stagioni passate a denigrare l 'orrida ed incomprensibile abitudine di recarsi in prossimità delle coste, che ha così turbato gli anni del suo sviluppo, cambierà improvvisamente idea e suggerirà di affrontare addirittura un'intera settimana di mare in pieno agosto: queste repentine prese di posizione sprezzanti del rischio costituiscono infatti un'inconfondibile aspetto del carattere del damianide. 
Vediamo dunque cosa è ragionevole aspettarsi da una settimana al mare in compagnia di un esemplare del genere. (E' da notare che in occasione dell'ultimo breve soggiorno in località costiera, occorso addirittura prima del matrimonio, il soggetto del nostro studio costrinse l'intero gruppo di amici a trascorrere uno dei due giorni della vacanza  visitando grotte naturali svariate centinaia di metri sottoterra).
In sostanza, il soggetto pianificherà in modo più o meno esplicito il suo tempo in maniera da trascorrerne fisicamente sulla spiaggia una porzione limitatissima.  

Il primo espediente per evitare la spiaggia è restare in acqua per ore. Dal momento che questa soluzione pone un rimedio al fastidio della sabbia ma non a quello dell'ustione solare, della noia profonda o, a lungo andare, dell'ipotermia, il damianide si attrezzerà previdentemente dotandosi nel più vicino negozio di articoli sportivi di maschera, pinne e boccaglio per lo snorkeling nonché di tuta integrale nera per attività subacquee, che per inciso vanno ad occupare metà dello spazio in valigia. Così attrezzato, salutata sulla riva moglie ed amici, il soggetto scomparirà per intervalli di circa tre ore, ripresentandosi all'ora dell'insalata di riso. 

Piano più raffinato, nonché tutto sommato più utile alla sua vita sociale e coniugale è quello di incentivare il turismo. Se la destinazione prescelta è di particolare bellezza, come nel nostro caso, questa soluzione sarà più facile da improporre agli altri.
Un'esplorazione delle bellezze del Cilento, una puntata alla meravigliosa Maratea ed il gioco è fatto: un'intera giornata di mare senza andare al mare.

 Ma se il damianide è veramente un degno esponente della damianità, il colpo da maestro sarà trovare il modo di negare trionfalmente l'essenza stessa della vacanza al mare nel corso della vacanza al mare, per esempio dedicando una giornata a fare escursionismo in montagna, salendo fino a duemila metri per poi scendere ed incontrare i suoi compagni in spiaggia vestito di tutto punto per il trekking, con tanto di scarponi. 


Questi atteggiamenti di sotterranea contestazione di una vacanza da lui stesso programmata sono tipici della psicologia del nostro homo piandiscoensis. E' consigliabile lasciare che il soggetto esprima liberamente le sue eccentricità: la moglie è pertanto caldamente invitata a godersi tranquillamente la prima e probabilmente unica vacanza al mare della sua vita coniugale, non lasciandosi turbare da tali schemi di comportamento schizoide. Se è fortunata, riuscirà persino a trascinarlo in una gita in barca: è sufficiente argomentare che sul fondo della barca non c'è la sabbia.

 

mercoledì 12 agosto 2015

Il caldo non vincerà!



Da queste parti abbiamo avuto un luglio incredibilmente faticoso, tra impegni, scadenze e cose da preparare e portare a termine, così alieno dall'idea di vacanza che i bambini che passavano per la strada ad ore incongrue (ossia scolastiche) sembravano alieni sbarcati in villeggiatura fuori tempo. Magari ve ne siete accorti, visto che il blog è rimasto abbandonato. Tutto è coperto da una patina di polvere. At-chouuu! Ora facciamo un po' di pulizia.
Ma soprattutto abbiamo avuto un luglio caldo. Il più caldo da anni a questa parte a quanto sembra dai notiziari, sicuramente il più caldo che abbiamo mai trascorso qui in Via delle Cose Nuove.
Questa non è stata granché come Cosa Nuova. E' stata più che altro una specie di lungo incubo.
La nostra amata Casina è calda. Stanze piccole, cubatura ridotta. Non c'è solaio: le stanze del piano terreno hanno il soffitto che segue la curvatura del tetto. Quasi tutte le finestre rivolte da un solo lato, l'ovest, porta d'ingresso a vetri stile serra. Il modello ideale per diventare un piccolo fornetto arroventato a energia solare nelle lunghe ore dei pomeriggi estivi. 
Ma con indomito coraggio e grande disciplina noi abbiamo sempre combattuto coraggiosamente i calori estivi con astute tecniche che fin'ora avevano più o meno funzionato. Tende pesanti alle vetrate e gestione nazi della circolazione d'aria: tutto viene spalancato alla sera, con i listelli delle persiane orizzontali, le porte tenute aperte e la nostra unica finestra diversamente orientata (quella del bagno) incoraggiata con preghiere e suppliche perché crei corrente, e tutto viene chiuso ermeticamente al mattino per conservare la frescura della notte, stanze buie e tappate come barattoli di conserva, porte chiuse, trasferimento di tutte le attività che è possibile trasferire giù nella cucina, che è seminterrata. 
Niente di tutto questo ha funzionato quest'estate. La temperatura interna è presto sfuggita al nostro controllo. Troppa poca escursione termica tra il giorno e la notte impediva alla Casina di raffreddarsi, mentre di giorno venivano raggiunti e superati i 35° all'esterno.
Come se non bastasse avevamo la testa altrove, ed era un susseguirsi di errori fatali: uscire la sera verso il tramonto per qualche impegno dimenticandosi di aprire le finestre e perdendo così ore di prezioso raffreddamento (per non parlare dei gioiosi rientri a tarda sera quando toccava per conseguenza annaspare nel microclima tropicale della casa fino alle finestre ancora da spalancare, maledicendosi per la dimenticanza). O svegliarsi la mattina rendendosi conto che era già troppo caldo, che tutto avrebbe già dovuto essere chiuso da ore.
Potrei continuare a descrivervi le piacevolezze di un luglio caldo in una casa piccola e calda, ma dubito che ce ne sia bisogno. E poi diciamocelo: fino a non molti anni fa i nostri lugli erano mesi di vacanza da trascorrere al mare o in montagna. Non credo di essermi ancora abituata alla fine di questa sana e riposante abitudine. 
Anche quando dall'inesauribile casa dei miei suoceri è saltato fuori un ventilatore, il poveretto non ha potuto far altro che, sì e no, annullare l'effetto dei monitor dei nostri computer. Mai scritto con così tanti refusi in vita mia: le dita sudate dal calore del notebook scivolavano sui tasti. Due docce al giorno.  
Basta, siamo pronti a tutto. Idee bizzarre pronte ad essere vagliate. La prima: ghiaccio su una ciotola davanti al ventilatore. Dicono che funziona. Il nostro si è sciolto troppo presto per giudicare e non è che possiamo produrne quantità industriali. 

Il pratone di Vallombrosa
Ripieghiamo sul classico: fuga a Vallombrosa per tre ore di libertà. A Vallombrosa a frescheggiare d'estate arriva gente da Firenze e da Arezzo. Noi che stiamo tutto sommato a un tiro di schioppo (è proprio sulla montagna alle nostre spalle) e che d'inverno con le uscite scout siamo visitatori abituali, ci abbiamo messo un bel po' a far scattare la lampadina nei nostri cervelli instupiditi dal caldo. Così ci prendiamo libri e coperta da stendere in terra e saliamo a Vallombrosa. Inizialmente sono convinta che abbiamo sbagliato strada. Il grande pratone sotto l'abbazia, normalmente silenzioso e con temperatura da golfino anche col tempo splendido (siamo intorno ai 1000 metri) è secco sotto il sole impietoso, e gremito di una quantità di gente stupefacente. Sembra una spiaggia: c'è persino qualche venditore ambulante che, con le collanine tintinnanti, cerca instancabilmente di piazzare la sua mercanzia. Qualcuno ha addirittura il coraggio di fare il barbecue sull'apposita griglia e lo guardiamo straniti per il masochismo. Cerchiamo un pezzettino d'ombra libero, sotto gli alberi, ai margini del bosco. All'ombra, effettivamente si sta bene. C'è un refolo fresco che ci riconcilia col mondo e ci fa vedere la massa di gente che ci circonda per quella che è: disperati fratelli come noi in fuga dalla calura. Abbiamo un tremendo bisogno di sonno, per cui la nostra lettura dura circa cinque minuti prima che il fresco ci faccia crollare come balene spiaggiate, riversi e col filino di bava alla bocca. Gran bella dormita. Ma è già ora di rientrare. Argh.  
Ed ecco l'idea del secolo. Anni di scoutismo non sono trascorsi invano. E nemmeno anni di fidanzamento prima di possedere una casa. Una sera rientriamo da una cena godendoci la frescura notturna (ossia una temperatura che in altri periodi ci sembrerebbe soffocante ma che ora ci sta ritemprando) e la nostra voglia di rientrare nella casetta-forno è pari a zero. Rimarremmo nel nostro fazzoletto di giardino a leggere sotto la luce esterna per sempre, come vittime sacrificali offerte alle zanzare. O magari con un cuscino si schiaccia un bel sonnellino… Anzi... dormiamo in giardino!!!!! Cosa ce lo impedisce? Abbiamo una tenda two-seconds (che per chi non lo sapesse è un gioiellino che si monta da sé), e torce, isolanti etc. da riempirci scaffali interi, cosa stiamo aspettando? Si fa. Ci portiamo le lenzuola del nostro letto, cuscini, una bottiglia d'acqua, lo spray antizanzare. Notte perfetta. Al mattino emergiamo come barboni (ma barboni felici) sotto lo sguardo attonito della vicina (la siepe non è ancora abbastanza alta). 


Poi, folli d'entusiasmo, ripetiamo l'esperimento con un upgrade: tenda spalancata completamente e la zanzariera che normalmente pende sopra il nostro letto come un baldacchino sistemata a proteggerci dagli insetti. Una favola.
Io già progetto un upgrade ulteriore (dormire semplicemente sotto la zanzariera, appendendola ad un ramo del noce). Ma qualcuno lassù deve aver  colto il messaggio, perché è arrivato il temporale, ed abbiamo avuto una tregua.  
Ad ogni modo ora lo sappiamo. In fondo a che altro serve un giardino?

 

lunedì 6 luglio 2015

Doverosi aggiornamenti ecologisti

Carissimi,
siamo finalmente arrivati alla resa dei conti tra me e la mia amante vegetariana: la Compostiera.
Vi avevo già raccontato delle lungaggini burocratiche per averla, dei risibili vantaggi fiscali che non compensano lo sforzo di mantenerla, e della ripugnanza istintiva che genera in mia moglie l’avvicinarsi a qualcosa che contiene dei vermi.
E vi avevo lasciato così: «riguardo il concime, ancora non è pronto, dopo un anno e mezzo che compostiamo i rifiuti. Vedremo la prossima primavera».
Bene, questa primavera è infine arrivata. E io ho reclamato il mio concime. Ti ho nutrita per due anni, cara Compostiera, vediamo se anche tu contribuisci a farmi mangiare!

Munito di pala, mi sono così avvicinato all’apertura bassa della mia amatissima (oddio, detta così suona un po’ male), per raccogliere il prodotto del tempo e della natura. Ma avevo dei dubbi sulla riuscita di questa operazione: alcuni amici mi avevano detto che, dopo svariati tentativi per prelevare il concime in tal modo, avevano finito per rovesciare tutto il contenuto della compostiera sull’erba, prendendo poi il concime dall’alto del monte di rifiuti e rimettendo il resto dentro la Nostra.
La qual cosa mi faceva molta fatica, e pure un po’ schifo.
Invece, incredibilmente, tutto è filato liscio: a parte qualche guscio d’uovo ancora integro, in fondo alla compostiera c’era un bel concime neretto che si è lasciato prelevare senza troppi sforzi.

Baldanzoso, mi sono avvicinato al piccolo orto appena arato, per concimare a dovere l’area e poi piantarci le verdure. Ma allora il mio spirito scientifico ha avuto un sussulto: “se davvero vuoi vedere se il concime compostato funziona, devi usarlo solo in qualche punto dell’orto, e negli altri punti mettere solo il concime classico” (nel mio caso, pollina).

Così ho fatto, ed ecco il risultato. 


senza compost

con il compost


Sì, la seconda è una melanzana, non un baobab.

Non ci sono dubbi ormai… il compost funziona! Costa un po’ di fatica, ma alla fine ne vale la pena! Quest’anno abbiamo il miglior orto di sempre: siamo appena a luglio e già abbiamo superato il raccolto degli altri anni!! (rinfrescatevi la memoria qui).

La natura alimenta se stessa in un ciclo di morte, trasformazione, nuova vita. E l’uomo a volte è in grado di utilizzarla per i suoi scopi senza pervertirne la struttura di fondo. 

E senza troppi cattivi odori, aggiungiamo.


La storia d’amore, per ora, continua.

domenica 21 giugno 2015

Bere gli animali - ovvero filosofia, pratica e storia dell'Alchermes

Seguire una ricetta è un'operazione culturale. Soprattutto in Italia. Sarebbe un metodo da importare nelle scuole: ci si confronta con la storia, con la lingua, con la biologia, con i problemi dell'attualità. Vi racconto la mia esperienza in proposito. Tutto è iniziato quando, sfogliando il fondamentale "Libro della vera cucina toscana" di Petroni, io e Dile ci siamo imbattuti nella ricetta tradizionale dell'Alchermes. La scrivo subito, così coloro che sono arrivati in questo post perché cercavano la ricetta saranno presto accontentati (dopo però continuate a leggere, daiiiii).

ingredienti per circa 2 litri di Alchermes
- Alcol puro gr. 600
- Zucchero gr. 600
- Acqua di rose gr. 100
- Cocciniglia gr. 10
- Cannella gr. 10
- Coriandolo gr. 10
- Macis gr. 3
- 2 chiodi di garofano
- Anice stellato
- 10 granelli di cardamomo
- 1 Scorza d'arancia
- Mezza stecca di vaniglia

Tagliate a pezzetti la vaniglia e pestate nel mortaio tutte le restanti spezie. Mettete il tutto in un vaso di vetro con coperchio o in un bottiglione, quindi versate l'alcol e 300 grammi d'acqua. Tappate e lasciate in infusione per circa 2 settimane, scuotendo un paio di volte al giorno. Sciogliete a freddo lo zucchero in mezzo litro d'acqua e aggiungetelo agli altri ingredienti. Agitate bene e tenete in infusione ancora per una settimana. Passato questo tempo filtrate il liquore con un filtro di carta (io ho usato una garza) e infine aggiungete l'acqua di rose.

Detta così sembrerebbe quasi facile. Ma non appena decideste di cimentarvi nell'impresa, vi scontrereste con un problema: dove trovare, oggi, il macis (che è l'involucro della noce moscata), e il cardamomo, e l'anice stellato? Ma soprattutto, cosa diavolo è la cocciniglia??? 
Così comincia la nostra avventura culturale. 
(Intervallerò lo scritto con le foto della produzione del mio Alchermes, così forse vi annoiate meno!)

l'essenza dell'Alchermes

Bene, la cocciniglia è l'involucro essiccato di un insetto, il Kermes Vermilio, un parassita che si può trovare anche in alcune nostre piante, ma che oggi viene per lo più allevato in Messico, giacché prolifera nei fichi d'India e nelle piante grasse. È conosciuto e utilizzato sin dall'antichità come colorante naturale, soprattutto per i tessuti: in persiano e in sanscrito i termini "qirmizi" e "krmi-ja" significano sia il nome dell'insetto che il nome del colore, da cui il nostro "cremisi" (in inglese "crimson"). Addirittura, il termine latino medievale Kermes Vermilio, che è ancora oggi il nome scientifico dell'insetto, ha dato origine sia al termine Cremisi che a quello di un altro colore, il "Vermiglio": quindi Cremisi e Vermiglio, almeno in origine, designavano lo stesso colore, quello ottenuto dalla macerazione della cocciniglia!! (questo lo dico da daltonico contro tutti coloro che pensano che i due colori siano diversi: sono uguali, e anzi, se facessimo un'indagine approfondita, sono sicuro che scopriremmo che anche "rosso" e "verde" in origine erano la stessa cosa!!! ;)

tutti gli ingredienti sul tavolo da lavoro!


Ecco spiegato perché il nostro liquore si chiama Al-Kermes. Significa semplicemente "Il Cremisi". La radice "Al" indica la chiara provenienza araba del termine, come "Al-chimia", "Al-gebra", "Al-goritmo", e tra l'altro, "Al-col". Infatti, il nostro alcolico è arrivato in Italia attraverso la Spagna, importato dagli arabi probabilmente nell'VIII secolo. Poiché i musulmani (ufficialmente) non bevono alcolici, è possibile che il distillato fosse usato per lo più per scopi medicinali: questa sua origine si è forse mantenuta in Sicilia, dove l'Alchermes arrivò indipendentemente e direttamente dagli arabi nel X secolo, veniva tradotto con "Archemisi", e veniva usato per placare gli attacchi d'ansia dei bambini (i cosiddetti "vermi della paura", trattati con i "vermi" dell'Alchermes secondo un metodo che oggi definiremmo "omeopatico";)
Ma allora perché Petroni lo inserisce nel manuale della "vera" cucina toscana??
La risposta è che in effetti il successo globale dell'Alchermes è dovuto alla sua produzione fiorentina: a Firenze, a partire dal XIII secolo, prima le suore di Santa Maria de'Servi, e poi i frati domenicani di Santa Maria Novella, ne fecero il liquore più apprezzato dai Medici, che lo servivano ai loro invitati col pomposo nome di "Elisir di Lunga Vita" (o più prosaicamente "Rosolio"). Quando nel 1533 Caterina de'Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico, sposò Enrico II re di Francia, esportò l'Alchermes Oltralpe, dove ancora oggi è conosciuto come Liqueur de Medici (e nel mondo globalizzato come "Liqueur of the Medici").

...a morte!

Ma arriviamo ai nostri giorni. Dove possiamo reperire gli ingredienti per il nostro Elisir di Lunga Vita? Se per cardamomo, macis, anice stellato e simili è bastato andare in un'Erboristeria qualunque, per la cocciniglia è stato molto più difficile. Oggi infatti essa è stata sostituita con coloranti chimici, e nessuno quasi più la usa. Ma io ormai avevo una missione! Così sono andato nella patria dell'Alchermes, la bellissima e turisticissima farmacia di Santa Maria Novella: qui mi hanno detto che "sì, noi la cocciniglia la usiamo ancora nei nostri laboratori per produrre l'Alchermes, ma non la vendiamo al pubblico. Perché invece non compra direttamente il nostro buonissimo Alchermes??" No grazie, troppo facile e poco stimolante. "Per caso mi sapete indicare un posto a Firenze dove potrei trovare la cocciniglia?" "Mah, non saprei proprio, non ce l'ha più nessuno...". (Ma allora voi dove diamine la trovate??) Finalmente, proprio mentre stavo per desistere, arriva una voce dal retro bottega: "l'unico che può avercela è Bizzarri, in via della Condotta". Perfetto: ho un nome e un nuovo obiettivo! Arrivato in via della Condotta, proprio accanto a quel Palazzo della Signoria dove una volta vivevano i Medici, scopro uno dei pochi angoli di Firenze rimasti immuni alla marea omologante del mercato globale: la piccola e storica erboristeria Bizzarri. Varcando la soglia mi è sembrato di fare un passo non in avanti, ma indietro nel tempo: profumi, arredamenti e prodotti davvero "bizzarri" di epoche passate; e il negoziante che, sapute le mie intenzioni, estrae un volume polveroso da sotto il bancone, lo apre, e mi mostra orgoglioso una ricetta manoscritta dell'Alchermes, risalente a chissà quando, dichiarando: "L'abbiamo data noi questa ricetta al Petroni" (in effetti è uguale). Solo il prezzo della cocciniglia mi ha riportato alla scottante attualità!! 
Ma ormai ero a un passo dalla mèta e niente mi avrebbe fermato: avevo finalmente tutto il necessario, e potevo mettermi al lavoro!

...al macero!

Purtroppo ancora non siamo nell'era del web 5.0, quando potremo trasmettere gli odori e i sapori, per cui dovete fidarvi soltanto del colore delle ultime foto. Ma vi assicuro che l'Alchermes fatto in questo modo non ha niente a che vedere con i bottiglioni chimici che trovate nei supermercati. E poi, se non altro, è stata un'esperienza umanamente molto ricca! Anche dal punto di vista filosofico e di critica culturale, c'è un paradosso interessante sull'Alchermes: per fare l'Alchermes biologico, infatti, bisogna uccidere un animale. L'equivalenza banale tra l'animalismo e la cultura "bio" viene in questo caso smentita dall'esperienza: e, tra le due tendenze, io scelgo sicuramente la seconda. Ma se volete possiamo discuterne.... magari davanti a un bicchierino di Elisir di Lunga Vita!


giorno 1...
... giorno 21!




giovedì 4 giugno 2015

Un uomo vivo



Io leggo moltissimo, e se mi chiedeste qual è il mio libro preferito avrei qualche difficoltà a rispondere. Ma quando mi chiedono qual è il mio autore preferito sparo un nome prima ancora che si sia finito di pronunciare la domanda. Il mio autore preferito è Gilbert Keith Chesterton. Il 29 maggio era il suo compleanno: avrebbe compiuto 141 anni, ma è morto nel 1936.
Provo un amore così sconfinato per quest'uomo che mi riesce difficile parlarne. O meglio, mi è difficile esaurirne l'argomento nello spazio di un post sul blog. Eppure, Chesterton ha molto a che fare con questo blog. E io proverò a raccontare qualcosa di lui, così come viene. 
Chesterton è stato un uomo con la stazza di un pachiderma di medie dimensioni, alto oltre un metro e novanta e pesante 130 chili, capelli ricci e grandi baffi, scrittore, giornalista e polemista inglese. Aveva un sorriso sgangherato e contagioso, una vena polemica acutissima e implacabile, una mente brillante e indagatrice, una penna spiritosa, imprevedibile ed esplosiva come un fuoco artificiale. E la cosa più bella è che sposava queste caratteristiche ad un amore allegro e profondo per il mondo e per gli uomini, senza traccia di snobismo culturale, di intellettualismo o di disprezzo per alcun aspetto della vita. 
Aveva la poliedricità del genio e viveva con la felicità della persona più semplice del mondo. Si potrebbe riempire un libro solo di aneddoti su di lui. Conobbe la ragazza che diventò sua moglie a un ricevimento: le disse qualche generica frase su come fosse bella la luna quella sera. Lei, che si chiamava Frances e aveva i capelli rosso fiamma, ribatté recisamente che non sopportava la luna, né affermazioni di quel genere. Gilbert era già conquistato. Del resto fu sempre attratto da persone che la pensavano in modo molto diverso da lui.
Recitò come attore in un film (sfortunatamente mai prodotto!) nel 1914, a fianco di George Bernard Shaw (!). Il regista del film era Barrie, l'autore di Peter Pan(!!). E il film era un western (!!!) - purtroppo ce ne restano solo alcune esilaranti fotografie di scena. Shaw era un nemico-amico con cui non condivideva praticamente una sola opinione, un ateo puritano e astemio, magro come un chiodo. Gilbert, un grassissimo cattolico in pectore (si convertì ufficialmente solo nel 1922) grande estimatore della birra, era il suo opposto in tutto e i due amavano sfidarsi in duelli retorici aperti al pubblico, un pubblico ben felice di pagare per vedere e ascoltare le loro diatribe argutissime. Gilbert fu amico tutta la vita di persone dalle idee spesso diametralmente opposte alle sue, con le quali era in polemica continua ma che stimava e che lo stimavano profondamente. Scrisse un libro intitolato Eretici, che è una raccolta di saggi polemici contro alcuni dei più importanti intellettuali del suo tempo: e buona parte dei destinatari dei suoi strali nel libro erano suoi amici.  

Da sinistra, G. B. Shaw, H. Belloc e Gilbert

Dalle colonne dei numerosi giornali che fondò, diresse o ai quali semplicemente collaborò nel corso della sua vita, espresse la sua opinione su una miriade di argomenti di attualità, con uno sguardo così lucido e profondo sulla realtà che moltissimi di questi articoli sono attuali in maniera sconcertante ancora oggi, a un secolo di distanza. Si battè contro l'eugenetica in un'epoca in cui era un'opinione alla moda, un po' come oggi (ma almeno i contemporanei di Gilbert avevano l'attenuante di non aver mai visto il nazismo all'opera). Avversava il capitalismo e il socialismo e promuoveva il distributismo, una dottrina economico-sociale da lui stesso formulata insieme ad alcuni amici, il più importante dei quali, Hilaire Belloc fu come un fratello per Gilbert fino alla sua morte (i due erano legati da un'amicizia e da un sodalizio intellettuale così stretti che Bernard Shaw li definiva i "Chesterbelloc"). 
Ma scrisse anche di letteratura, con amore e acume. Per esempio, amava Dickens, e compose una serie di brevi saggi introduttivi alle sue opere che sono ancora oggi magnifici. Tra l'altro, se l'era goduta un mondo quando gli era stato richiesto di impersonare il giudice (Bernard Shaw era il presidente della giuria!) nel pubblico processo "letterario" che nel 1914 cercò di stabilire quale fosse la soluzione del Mistero di Edwin Drood, l'ultimo romanzo di Dickens, rimasto incompiuto per la morte dell'autore (Gilbert concluse il processo facendo arrestare tutti i presenti per oltraggio alla corte!).
E poi è stato un autore di narrativa magnifico, con un'inventiva ricca e una conoscenza dell'umano stupefacente. Ha scritto racconti su racconti, spesso polizieschi (un genere che amava molto e che lo divertiva tantissimo): i più famosi sono quelli incentrati sul prete detective Padre Brown, conosciuti anche in Italia. Ma la sua cifra, almeno per me, sono i romanzi, che per originalità, brillantezza e forza sono punti esclamativi nella mia storia di lettrice, da L'uomo che fu Giovedì a L'Osteria Volante a Il Napoleone di Notting Hill.
Fino a Uomovivo, che è il suo capolavoro e il suo manifesto. Ma anche la radice di questo blog. 
Uomovivo è la storia di una tranquilla realtà di provincia sconquassata dall'arrivo un uomo eccentrico che ama la sua vita riscoprendola sempre come nuova in tutti i suoi aspetti, sfrenato ed esuberante, ma anche molto saggio, nel penetrare come un ladro in casa sua, nell'arrivare come uno straniero nel suo stesso paese dopo aver fatto il giro del mondo e nel rapire per una fuga d'amore la sua stessa moglie.
E' facile accorgersi che il vero Uomovivo era proprio Gilbert. 
E anche in Via delle Cose Nuove vogliamo vivere con questo desiderio d'allegria e d'infinito nel cuore, che rende nuova, curiosa e bella ogni cosa - ogni minimo aspetto della vita.

 

martedì 26 maggio 2015

Pendolando



Ho pendolato quasi tutta la mia vita, cominciando prestissimo. Quando avevo undici anni la mia famiglia si è trasferita fuori Firenze, ed io sono diventata una pendolare in seconda media, per non lasciare la scuola che stavo frequentando. I lunghi viaggi in macchina (quasi un'ora all'andata e altrettanto al ritorno) con i miei genitori e, dopo qualche anno, anche con mia sorella, sono diventati parte integrante di una routine quotidiana che è continuata per più di un decennio, con itinerari studiati per ottimizzare gli spostamenti e strategie per accordare i nostri orari. Questi viaggi in macchina hanno segnato un'intera epoca della mia vita.
Quando mi sono sposata, però, sono entrata a far parte di un fenomeno sociale vero e proprio, ossia quello che accomuna la grande compagine dei Figli delle Ferrovie dello Stato. E che offre incomparabili occasioni di studio antropologico.
A dire il vero, il treno mi piace. Mi piace il rollio regolare del suo andare, che concilia la lettura, mi piace il rumore, tumtumtumtum, la campagna toscana che fugge dal finestrino, sempre la stessa ma diversa ogni giorno per via del tempo che cambia, dell'orario, delle stagioni. Mi piace sbirciare il retro delle case che affacciano sulla ferrovia, prima di Campo di Marte, con i panni stesi e le piante, e l'aria stropicciata e quotidiana. Naturalmente ci sono anche tutti gli aspetti brutti, sgradevoli e insopportabili che conosce benissimo chiunque prenda il treno con regolarità: la folla strabordante delle ore di punta, quando l'unica speranza di procacciarsi uno strapuntino per sedersi rimasto miracolosamente libero è riuscire, con calcoli complessi e un po' di fortuna, a fare in modo che la porta del vagone si fermi esattamente davanti a te e tu sia il primo a salire. Il caldo soffocante delle carrozze "climatizzate" e quindi con i finestrini sigillati, dove però di climatizzazione non c'è traccia e la temperatura interna ricorda quella di una serra per piante tropicali. D'altro canto, niente di meglio per la salute di una carrozza con la climatizzazione attiva e funzionante, e regolata sui -7°, soprattutto quando si sale belli sudati dopo una corsa per acchiappare il treno al volo e neanche uno straccio di golfino per riparare il collo. Ci sono i bagni sistematicamente guasti. Quelli delle stazioni invece sono a pagamento: un euro per prendersi la tua pipì. Che nessuno lo dica al water di casa mia o potrebbe cominciare ad avere strane manie di grandezza. Poi ci sono i ritardi lunghi, esasperanti, scanditi dalla voce sintetica dell'altoparlante che a intervalli regolari rilancia allungando il numero di minuti che ancora attendono tutti noi, inchiodati in questo particolare pezzo di binario tra Compiobbi e Firenze Rovezzano per ragioni sconosciute. L'impassibile altoparlante inserisce una variazione sul tema solo quando il ritardo supera i venti minuti, quando comincia a chiosare "Ci scusiamo per il disagio". Perché, si sa, fino a venti minuti il ritardo invece è un piacere.


L'altoparlante però è anche simpatico, in fondo. In stazione snocciola la sequela delle fermate con strane inflessioni altalenanti, ora affermative ora esclamative, e diventa una filastrocca di posti che non vediamo mai e che tutti ricordiamo esattamente in quel modo, in lunghi spezzoni: "Camucììa Cortona. TerOntola Cortona. Passignaano sul Trasimeno. Magione! Elleraccorciano! Perugia Universitàpperugia. Perugia Pontesangio Vanni. Bastììa! Assììsi! Spello!". L'altoparlante, inoltre, ha una fidanzata che si spaccia per anglofona e produce incomprensibili esternazioni  farfugliate, nelle quali compaiono irriconoscibili pronunce dei posti noti, tali da far sorgere il dubbio se si tratti davvero di quelli che pensiamo noi, come "Riigniianou Sularno Regiellou" o "Coumpiobee". 
Ma il meglio (e il peggio, come sempre) della vita pendolare è rappresentato dall'Umanità Pendolare, che ti circonda e ti accompagna ogni mattina e ogni sera. La signora con trentaquattro valigie che ti fissa indignata quando osi chiedere se puoi sederti, perché pensa chiaramente che la cappelliera sia un posto molto più adatto a te che alla sua preziosa trousse da viaggio Louis Vuitton. Il conversatore telefonico a cinquemila decibel, dei problemi del cui ufficio l'intero vagone è informato minuziosamente. La coppia di adolescenti che si intrattiene pomiciando con tale impegno che ci si chiede se passeranno allo stadio successivo. Lo studente angosciato che usa l'evidenziatore giallo sul libro con la violenza della disperazione, shhhuu, shhuuuu, shhuuu, e la versione serale furente e/o sconsolata che confida all'amico "quello st* mi ha bocciato per la terza volta". Il Senza Biglietto beccato senza biglietto che argomenta iroso che "...voialtri con tutti questi disservizi non vi vergognate a multarci come se fossimo dei delinquenti?" (risposta: "allora, ce l'ha o no un documento?"). Le colleghe che parlano di Quella. Ma sì, dai, Quella. Quella che l'altro giorno lo sai cosa ha fatto? Quella che io lo dicevo da sempre che. Quella che, cioè, ti rendi conto? Quella che dimmi te cosa dovevo rispondere io. Insomma, Quella. Non avete mai sentito parlare di Quella? Vuol dire che non prendete spesso il treno.  


Eppure, questa umanità pendolare mi piace come mi piace il treno. Chi legge, e vorresti chiedergli se il libro è bello. Chi è chino sullo smartphone, e vorresti dirgli che quel livello di Candy Crush è stato difficile anche per te. Le facce pallide di sonno della mattina, che scambiano sorrisi di comprensione tra perfetti sconosciuti, mentre i piedi si scansano per far posto a chi viene a sedertisi davanti. E al ritorno, nell'isola di luce gialla del vagone  che corre nella sera buia, tutti quei visi diversi eppure somiglianti nel misto di stanchezza, sollievo perché anche oggi è andata, impazienza per arrivare a casa, ciascuno accanto al proprio gemello riflesso nel finestrino. Tutti che, come me, oscillano sempre tra dentro e fuori la città, tra abitare e lavorare, tra casa e l'altro da casa, tra dove devo stare e dove voglio stare, come elastici continuamente tesi e rilasciati.
Quando la folla, lungo il binario e nel parcheggio che odora di asfalto, si disperde col brusio della giornata che finisce, saluto mentalmente i miei casuali compagni d'avventura, "A domani!", mentre il treno riparte tumtumtumtum verso Bastììa! Assììsi! Spello! e  sparisce nella notte.

domenica 10 maggio 2015

DEL LIMONE NON SI BUTTA VIA NIENTE!

...i nostri vecchi lo dicevano del maiale; ma ecco la versione "veggie"!

Come ormai saprete, assidui lettori, tre anni fa ci regalarono alcuni alberi
Il limone, tra questi, è quello che gode sicuramente di migliore salute: l'anno scorso ha avuto un po' di scompensi dovuti al cambio di vaso e a sbalzi termici, ma il 2015 è stato il suo anno. È pieno di frutti, e ha fronteggiato eroicamente anche l'uragano di marzo, subendo solo una lieve inclinazione tipo torre di Pisa; oggi si presenta così, in tutto il suo italico splendore: 
Insomma, siamo pieni di limoni, e se passate di qua coglietene pure uno!! 
Un mesetto fa ne abbiamo presi 10 tutti insieme, perché erano ormai maturissimi, e ci siamo ingegnati sul loro utilizzo. Così abbiamo scoperto che il limone è uno dei frutti più versatili del mondo! 
Certo, a meno di non amare le esperienze forti, non è adatto da mangiarsi crudo sul momento, sbucciandolo e via: ma forse proprio per questo l'umanità ne ha inventato mille usi diversi, facendolo salire sul primo posto nel podio degli agrumi – sopra la sua sorella arancia, che invece si dona così, senza pudore, al nostro palato.
Tra le miriadi di possibilità, noi abbiamo scelto queste, testate e approvate da Via delle Cose Nuove:

1- Con la buccia, abbiamo fatto il limoncello, scegliendo questa ricetta e aumentando soltanto la quantità di acqua (1,2 litri invece di 1). Mi raccomando, per una volta usate lo zucchero bianco (poco sano e poco bio), perché con lo zucchero di canna il sapore non è buono e buttate via tutto!

2- Con il succo di 3 limoni, abbiamo fatto il sorbetto al limone. Per farlo abbiamo usato la gelatiera dei Bondi senior – prima o poi vi parleremo anche di tutti i robot da cucina che mio padre compra compulsivamente e mia madre nasconde nei cassetti... finché il figlio non li prende per fare i suoi esperimenti e scriverne nei "blogge". Ecco la ricetta ripresa dall'introvabile manuale della Gelatiera "Gran Gelato" Girmi GL 12 («piccoli elettrodomestici, grandi prestazioni»).
succo di 3 limoni
250 grammi di zucchero
mezzo litro d'acqua
1 bianco d'uovo
1 cucchiaino di essenza di vaniglia (o mezzo grammo di vaniglina)
1 pizzico di sale
Fare uno sciroppo di acqua e zucchero. Togliere dal fuoco e aggiungere il succo dei limoni, l'essenza di vaniglia, un pizzico di sale e far raffreddare. Unire il tuorlo montato a neve e versare il tutto nella gelatiera "Gran Gelato" Girmi GL 12. Diffidate dalle imitazioni. E leccatevi le labbra.

3- Infine, con tutto il resto (compresi i semi e il bianco del limone, cioè la parte amara tra la polpa e la buccia), abbiamo fatto il detersivo fai da te per piatti, ispirandoci al fondamentale manuale "Pulire al naturale" dell'Associazione Uomini Casalinghi (se non ci credete, cliccate qui). Ecco la ricetta, adattatela alla vostra quantità di limoni: 
3 limoni
400 ml d'acqua
200 g di sale
100 ml di aceto bianco
Tagliate i limoni grossolanamente in pezzi e tritate tutto con un mixer da cucina (si vede comunque il lato virile di questa ricetta!). Fate bollire per 10 minuti la poltiglia insieme ad acqua e aceto, mescolando. Mettete il tutto, ancora caldo, in vasetti, così da formare il sottovuoto. Il detersivo si conserva per diversi mesi. Si può usare per lavare a mano, oppure anche in lavastoviglie (due cucchiai da minestra per ogni lavaggio, senza mescolarlo con altri detersivi). Ho fatto un test dal valore inconfutabile: ho usato il detersivo fai-da-te in lavastoviglie senza dirlo a Dile, e lei non si è accorta di niente! Piatti puliti e nessun cattivo odore! ;) 
Per cui, uomini, accendete il mixer e tritate ogni cosa come se non ci fosse un domani!



Ma prima, comprate un limone, che è bello, utile e resiste anche alle nostre incurie!