martedì 26 maggio 2015

Pendolando



Ho pendolato quasi tutta la mia vita, cominciando prestissimo. Quando avevo undici anni la mia famiglia si è trasferita fuori Firenze, ed io sono diventata una pendolare in seconda media, per non lasciare la scuola che stavo frequentando. I lunghi viaggi in macchina (quasi un'ora all'andata e altrettanto al ritorno) con i miei genitori e, dopo qualche anno, anche con mia sorella, sono diventati parte integrante di una routine quotidiana che è continuata per più di un decennio, con itinerari studiati per ottimizzare gli spostamenti e strategie per accordare i nostri orari. Questi viaggi in macchina hanno segnato un'intera epoca della mia vita.
Quando mi sono sposata, però, sono entrata a far parte di un fenomeno sociale vero e proprio, ossia quello che accomuna la grande compagine dei Figli delle Ferrovie dello Stato. E che offre incomparabili occasioni di studio antropologico.
A dire il vero, il treno mi piace. Mi piace il rollio regolare del suo andare, che concilia la lettura, mi piace il rumore, tumtumtumtum, la campagna toscana che fugge dal finestrino, sempre la stessa ma diversa ogni giorno per via del tempo che cambia, dell'orario, delle stagioni. Mi piace sbirciare il retro delle case che affacciano sulla ferrovia, prima di Campo di Marte, con i panni stesi e le piante, e l'aria stropicciata e quotidiana. Naturalmente ci sono anche tutti gli aspetti brutti, sgradevoli e insopportabili che conosce benissimo chiunque prenda il treno con regolarità: la folla strabordante delle ore di punta, quando l'unica speranza di procacciarsi uno strapuntino per sedersi rimasto miracolosamente libero è riuscire, con calcoli complessi e un po' di fortuna, a fare in modo che la porta del vagone si fermi esattamente davanti a te e tu sia il primo a salire. Il caldo soffocante delle carrozze "climatizzate" e quindi con i finestrini sigillati, dove però di climatizzazione non c'è traccia e la temperatura interna ricorda quella di una serra per piante tropicali. D'altro canto, niente di meglio per la salute di una carrozza con la climatizzazione attiva e funzionante, e regolata sui -7°, soprattutto quando si sale belli sudati dopo una corsa per acchiappare il treno al volo e neanche uno straccio di golfino per riparare il collo. Ci sono i bagni sistematicamente guasti. Quelli delle stazioni invece sono a pagamento: un euro per prendersi la tua pipì. Che nessuno lo dica al water di casa mia o potrebbe cominciare ad avere strane manie di grandezza. Poi ci sono i ritardi lunghi, esasperanti, scanditi dalla voce sintetica dell'altoparlante che a intervalli regolari rilancia allungando il numero di minuti che ancora attendono tutti noi, inchiodati in questo particolare pezzo di binario tra Compiobbi e Firenze Rovezzano per ragioni sconosciute. L'impassibile altoparlante inserisce una variazione sul tema solo quando il ritardo supera i venti minuti, quando comincia a chiosare "Ci scusiamo per il disagio". Perché, si sa, fino a venti minuti il ritardo invece è un piacere.


L'altoparlante però è anche simpatico, in fondo. In stazione snocciola la sequela delle fermate con strane inflessioni altalenanti, ora affermative ora esclamative, e diventa una filastrocca di posti che non vediamo mai e che tutti ricordiamo esattamente in quel modo, in lunghi spezzoni: "Camucììa Cortona. TerOntola Cortona. Passignaano sul Trasimeno. Magione! Elleraccorciano! Perugia Universitàpperugia. Perugia Pontesangio Vanni. Bastììa! Assììsi! Spello!". L'altoparlante, inoltre, ha una fidanzata che si spaccia per anglofona e produce incomprensibili esternazioni  farfugliate, nelle quali compaiono irriconoscibili pronunce dei posti noti, tali da far sorgere il dubbio se si tratti davvero di quelli che pensiamo noi, come "Riigniianou Sularno Regiellou" o "Coumpiobee". 
Ma il meglio (e il peggio, come sempre) della vita pendolare è rappresentato dall'Umanità Pendolare, che ti circonda e ti accompagna ogni mattina e ogni sera. La signora con trentaquattro valigie che ti fissa indignata quando osi chiedere se puoi sederti, perché pensa chiaramente che la cappelliera sia un posto molto più adatto a te che alla sua preziosa trousse da viaggio Louis Vuitton. Il conversatore telefonico a cinquemila decibel, dei problemi del cui ufficio l'intero vagone è informato minuziosamente. La coppia di adolescenti che si intrattiene pomiciando con tale impegno che ci si chiede se passeranno allo stadio successivo. Lo studente angosciato che usa l'evidenziatore giallo sul libro con la violenza della disperazione, shhhuu, shhuuuu, shhuuu, e la versione serale furente e/o sconsolata che confida all'amico "quello st* mi ha bocciato per la terza volta". Il Senza Biglietto beccato senza biglietto che argomenta iroso che "...voialtri con tutti questi disservizi non vi vergognate a multarci come se fossimo dei delinquenti?" (risposta: "allora, ce l'ha o no un documento?"). Le colleghe che parlano di Quella. Ma sì, dai, Quella. Quella che l'altro giorno lo sai cosa ha fatto? Quella che io lo dicevo da sempre che. Quella che, cioè, ti rendi conto? Quella che dimmi te cosa dovevo rispondere io. Insomma, Quella. Non avete mai sentito parlare di Quella? Vuol dire che non prendete spesso il treno.  


Eppure, questa umanità pendolare mi piace come mi piace il treno. Chi legge, e vorresti chiedergli se il libro è bello. Chi è chino sullo smartphone, e vorresti dirgli che quel livello di Candy Crush è stato difficile anche per te. Le facce pallide di sonno della mattina, che scambiano sorrisi di comprensione tra perfetti sconosciuti, mentre i piedi si scansano per far posto a chi viene a sedertisi davanti. E al ritorno, nell'isola di luce gialla del vagone  che corre nella sera buia, tutti quei visi diversi eppure somiglianti nel misto di stanchezza, sollievo perché anche oggi è andata, impazienza per arrivare a casa, ciascuno accanto al proprio gemello riflesso nel finestrino. Tutti che, come me, oscillano sempre tra dentro e fuori la città, tra abitare e lavorare, tra casa e l'altro da casa, tra dove devo stare e dove voglio stare, come elastici continuamente tesi e rilasciati.
Quando la folla, lungo il binario e nel parcheggio che odora di asfalto, si disperde col brusio della giornata che finisce, saluto mentalmente i miei casuali compagni d'avventura, "A domani!", mentre il treno riparte tumtumtumtum verso Bastììa! Assììsi! Spello! e  sparisce nella notte.

domenica 10 maggio 2015

DEL LIMONE NON SI BUTTA VIA NIENTE!

...i nostri vecchi lo dicevano del maiale; ma ecco la versione "veggie"!

Come ormai saprete, assidui lettori, tre anni fa ci regalarono alcuni alberi
Il limone, tra questi, è quello che gode sicuramente di migliore salute: l'anno scorso ha avuto un po' di scompensi dovuti al cambio di vaso e a sbalzi termici, ma il 2015 è stato il suo anno. È pieno di frutti, e ha fronteggiato eroicamente anche l'uragano di marzo, subendo solo una lieve inclinazione tipo torre di Pisa; oggi si presenta così, in tutto il suo italico splendore: 
Insomma, siamo pieni di limoni, e se passate di qua coglietene pure uno!! 
Un mesetto fa ne abbiamo presi 10 tutti insieme, perché erano ormai maturissimi, e ci siamo ingegnati sul loro utilizzo. Così abbiamo scoperto che il limone è uno dei frutti più versatili del mondo! 
Certo, a meno di non amare le esperienze forti, non è adatto da mangiarsi crudo sul momento, sbucciandolo e via: ma forse proprio per questo l'umanità ne ha inventato mille usi diversi, facendolo salire sul primo posto nel podio degli agrumi – sopra la sua sorella arancia, che invece si dona così, senza pudore, al nostro palato.
Tra le miriadi di possibilità, noi abbiamo scelto queste, testate e approvate da Via delle Cose Nuove:

1- Con la buccia, abbiamo fatto il limoncello, scegliendo questa ricetta e aumentando soltanto la quantità di acqua (1,2 litri invece di 1). Mi raccomando, per una volta usate lo zucchero bianco (poco sano e poco bio), perché con lo zucchero di canna il sapore non è buono e buttate via tutto!

2- Con il succo di 3 limoni, abbiamo fatto il sorbetto al limone. Per farlo abbiamo usato la gelatiera dei Bondi senior – prima o poi vi parleremo anche di tutti i robot da cucina che mio padre compra compulsivamente e mia madre nasconde nei cassetti... finché il figlio non li prende per fare i suoi esperimenti e scriverne nei "blogge". Ecco la ricetta ripresa dall'introvabile manuale della Gelatiera "Gran Gelato" Girmi GL 12 («piccoli elettrodomestici, grandi prestazioni»).
succo di 3 limoni
250 grammi di zucchero
mezzo litro d'acqua
1 bianco d'uovo
1 cucchiaino di essenza di vaniglia (o mezzo grammo di vaniglina)
1 pizzico di sale
Fare uno sciroppo di acqua e zucchero. Togliere dal fuoco e aggiungere il succo dei limoni, l'essenza di vaniglia, un pizzico di sale e far raffreddare. Unire il tuorlo montato a neve e versare il tutto nella gelatiera "Gran Gelato" Girmi GL 12. Diffidate dalle imitazioni. E leccatevi le labbra.

3- Infine, con tutto il resto (compresi i semi e il bianco del limone, cioè la parte amara tra la polpa e la buccia), abbiamo fatto il detersivo fai da te per piatti, ispirandoci al fondamentale manuale "Pulire al naturale" dell'Associazione Uomini Casalinghi (se non ci credete, cliccate qui). Ecco la ricetta, adattatela alla vostra quantità di limoni: 
3 limoni
400 ml d'acqua
200 g di sale
100 ml di aceto bianco
Tagliate i limoni grossolanamente in pezzi e tritate tutto con un mixer da cucina (si vede comunque il lato virile di questa ricetta!). Fate bollire per 10 minuti la poltiglia insieme ad acqua e aceto, mescolando. Mettete il tutto, ancora caldo, in vasetti, così da formare il sottovuoto. Il detersivo si conserva per diversi mesi. Si può usare per lavare a mano, oppure anche in lavastoviglie (due cucchiai da minestra per ogni lavaggio, senza mescolarlo con altri detersivi). Ho fatto un test dal valore inconfutabile: ho usato il detersivo fai-da-te in lavastoviglie senza dirlo a Dile, e lei non si è accorta di niente! Piatti puliti e nessun cattivo odore! ;) 
Per cui, uomini, accendete il mixer e tritate ogni cosa come se non ci fosse un domani!



Ma prima, comprate un limone, che è bello, utile e resiste anche alle nostre incurie!




giovedì 30 aprile 2015

Dieci!



Ormai festeggiamo un altro anniversario, a non molti giorni di distanza. Ma è difficile lasciar passare un giorno così senza una nota o un'osservazione. Senza guardare indietro. E ringraziare per i dettagli insignificanti che hanno finito per diventare determinanti. Per la Provvidenza, insomma.
 
Io andavo ancora a scuola. Avevamo stabilito la Fiera dell'Artigianato, che nelle mie meditazioni in proposito avevo approvato caldamente, classificandola come un contesto neutro e rumoroso, pieno di spunti per conversazioni vaghe e impersonali e poco romantico, insomma l'ideale.
Così all'uscita da scuola ho preso l'autobus per andare alla Fortezza.
Lui si è presentato con una mise d'effetto, camicia nera con risvolti del colletto viola e cravatta col disegno di un gatto. Siccome era in ritardo e io ingannavo il tempo leggendo Vita e Destino di Vasilij Grossman (scelto principalmente perché con le sue ottocento pagine mi pareva che mi desse un tono), mi ha fatto alzare lo sguardo suonando l'ocarina che si era portato (per darsi un tono a sua volta: ognuno sceglie i suoi metodi). Sullo sfondo c'era un passante che guardava la scena stranito.
-Scusa, sai, non trovavo un posto dove parcheggiare la macchina...
-Ah, tranquillo, avevi ancora un margine di ritardo di 750 pagine.
Mi sono alzata. Ci siamo baciati sulle guance, perché siamo amici, no?
Abbiamo varcato l'ingresso della Fiera, sotto l'imponente portale della Fortezza da Basso.
Non avevamo idea che sarebbero stati i primi passi di un cammino così lungo fatto l'uno a fianco dell'altra.
Il resto è storia.
E' successo tutto proprio dieci anni fa.

domenica 12 aprile 2015

Mantenere la propria sanità mentale preparando una colomba di Pasqua. Forse.



Ogni tanto, la nostra natura umana ci spinge a imbarcarci in grandi imprese. Imprese, lo sappiamo, molto superiori alle nostre forze, ma che ci portano a tirar fuori risorse insospettabili. E' il desiderio dell'ignoto, il fascino dello sfidare se stessi, il gusto di raggiungere traguardi che pochi hanno potuto vantare.
E' stato così che, alla vigilia di Pasqua, quest'anno, ho improvvidamente e improvvisamente deciso di cimentarmi nella preparazione di una colomba pasquale, da esibire e servire ai parenti in occasione della festa. Perché, andiamo, comprarla al supermercato siamo buoni tutti. Ma qualcuno ha mai provato a farla? Eh? Eh? 
Così, cerco una ricetta su internet e devo ridimensionare immediatamente i miei progetti. A quanto sembra, la colomba vera e propria è un dolce che deve attraversare qualcosa come quattordici fasi di lievitazione o giù di lì e si prepara in non meno di due-tre giorni di paziente sbattimento, mentre io ho avuto l'idea di questa gloriosa sfida alle mie possibilità culinarie alle due di pomeriggio del Sabato Santo. Ma non è mai troppo tardi, perché un noto sito di ricette propone molto opportunamente una versione adatta a chi non ha tempo da perdere, una colomba "veloce" che si può ottimisticamente sperare di realizzare in sole quattro lievitazioni e complessive diciassette ore di tempo, il che, considerando che ho a disposizione anche la mattina del giorno di Pasqua rende l'impresa possibile. E poi posso sempre dormire, nutrirmi e andare a fare la pipì nei tempi morti, rifletto. In preda a un delirio megalomane decido che, anzi, di colombe ne farò due, una per i miei e una per i suoceri. Si tratta solo di raddoppiare le dosi e suddividerle in due stampi. Bazzecole. 


Prima cosa, vado al supermercato. Sì, il sabato pomeriggio della vigilia di Pasqua. L'incursione risulta una sorta di ordalia purificatrice, una specie di attraversamento della Geenna, tra schiere di invasati dell'acquisto all'ultimo minuto (beh, come me).
Passo tra le merci scaraventate nei carrelli, sgomitando per superare il muro umano formato dalla coda al banco gastronomia e rosticceria (una signora sta urlando che per carità le tengano da parte uno degli arrosti, la fila, come il coro di una tragedia greca, le risponde con collettiva indignazione: signora, siamo tutti qui per questo!). Guardo con disprezzo le colombe infiocchettate che vengono saccheggiate dagli scaffali: troppo facile, se sapeste cosa mi propongo di fare io… Purtroppo qualche effetto del mio essermi mossa tardi lo subisco: la granella di zucchero per la guarnizione non si trova da nessuna parte. Riesco a recuperare gli stampi appositi da colomba, però, e poi uova (visto che prevedo di usare tutta la fornitura settimanale del GAS), farina forte, arance, mandorle e nocciole e vari altri ingredienti. Pur effettuando ogni acquisto di volata non riesco a emergere dal vischioso bagno di folla intenta al consumo sfrenato prima di un'ora intera, anche perché è necessario muoversi con cautela per non investire bambini impegnati in mostruosi capricci per ottenere l'uovo dei Bakugan ("Ce l'ho già quello dei Transformers!").
Una volta a casa, l'esperimento ha inizio. Damiano, con lungimiranza, tira fuori dallo stanzino una vecchia planetaria che io ho sempre rifiutato di usare per i miei dolci, che fosse per me impasterei sempre a mano. "Tanto non la uso", annuncio sprezzante. Dopo venti minuti, la planetaria sta lavorando a pieno regime e io mi chiedo con una certa impazienza per quale ragione non esista un livello velocità 6 per l'impasto ma la levetta arrivi solo fino a 5. Durante le lievitazioni, doso gli ingredienti che serviranno per lo stadio successivo e cerco di ripulire, ma ben presto la cucina si trasforma in un campo di battaglia. Senza contare che questo sistema effettivamente ottimizza i tempi, ma di andare in bagno o mangiare non se ne parla. Perdo una cosa tipo quaranta minuti per grattugiare la buccia delle arance e dei limoni, compulsando internet alla ricerca di un metodo per non far incastrare l'80% dei trucioli negli interstizi tra i fori della grattugia (per la cronaca, esiste ed è anche un ottimo metodo: stendere un pezzo di carta da forno sopra la grattugia e usarla così: rimane tutto sulla carta e si può poi agevolmente rovesciare da parte). Damiano a un certo punto è praticamente costretto a buttarmi fuori dalla cucina per cominciare a preparare una pizza veloce per noi e due nostri amici. Capisco, guardandomi allo specchio del bagno, che devo ritenere il suo intervento come un messaggio della provvidenza e rinuncio a impostare la preparazione del trito di mandorle per la glassa, rimandandolo a tempo indeterminato per farmi una doccia e non terrificare i presenti come l'Invasata della Cucina.
Dopo la cena, sbatto nel forno ancora tiepido per la pizza l'impasto alla sua terza lievitazione, che dovrebbe durare dodici ore, e ce ne andiamo tutti alla Messa della notte. E per un bel po' di tempo, l'attenzione è giustamente rivolta al Protagonista.


La mattina dopo, la sveglia suona, ma è come se parlasse e dicesse: "glassa!glassa!glassa!glassa!"
Obbedisco. Compiaciuta constato che il composto è lievitato fino a raggiungere dimensioni quasi inquietanti. Aggiungo l'uvetta, do un'ultima impastata a mano, compongo le due colombe nei rispettivi stampi e poi preparo una meravigliosa glassa a base di albumi, zucchero di canna e trito di mandorle e nocciole, che viene stesa sulla superficie delle mie due bambine. Ancora una lievitazione, l'ultima, mentre facciamo colazione. 


Poi la cottura in forno: e intanto mi arrovello sul problema che mi assilla da quando ho letto la ricetta la prima volta. Dice, una volta estratta la colomba dal forno, di farla raffreddare rovesciata, altrimenti potrebbe collassare al centro. Si possono usare appositi sostegni in polistirolo, dice, e come no. I famosi Sostegni in Polistirolo per far raffreddare le colombe pasquali, chiunque ne ha in ogni cassetto della cucina. Sbircio nei commenti alla ricetta alla ricerca di soluzioni, e con mio orrore crescente mi imbatto piuttosto in desolati "A me non è venuta bene" "Ma siamo sicuri che debba lievitare così tanto?" "L'uvetta mi fa schifo, non c'è una ricetta senza uvetta?" "Mi si è sgonfiata" "La crosta si rompe subito" e via dicendo. L'ansia sale, e quando estraggo le colombe, che sono magnifiche, gonfie e bruno dorate, ho praticamente il terrore di vederle sgonfiarsi come un palloncino bucato. Cerco maldestramente di piazzarle appoggiate a qualche pentola rovesciata quando un pezzo di crosta si stacca. Le urla isteriche richiamano Damiano che decreta che il Signore non  permetterà che la colomba si sgonfi dopo tanta fatica, e che in ogni caso è ora di andare perché i miei ci aspettano a pranzo da mia zia. Si rivela profetico perché non si è sgonfiata  né la colomba portata via ancora calda avvolta nell'alluminio, né quella lasciata a casa in attesa della cena dai suoi il giorno dopo. Erano buone. Entrambe. Morbide, con la crosta croccante.
Ma se mi chiedete se consiglio di farlo anche a voi, beh...


domenica 5 aprile 2015

Pasqua

 

 L'imperatore si rivolse ai cristiani dicendo: "Strani uomini… ditemi voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?"
Allora si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: "Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso.
Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacchè noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità."

(Vladimir Solov'ev, "Il Dialogo dell'Anticristo")

lunedì 16 marzo 2015

QUANDO IL VENTO ARRIVO'....

Il nostro piccolo borgo è stato uno dei più colpiti d’Italia dal recente “uragano” (sì, la velocità del vento era proprio da uragano: 160-170 km/h!).
Una sola notte di vento ha trasformato un paese del Terzo Millennio, all’avanguardia tecnologica, in una scenografia da far west: cartelli stradali piegati, tegole volanti, niente acqua né corrente elettrica, cimiteri vegetali al posto delle strade.

Il bilancio dei danni è stato ingente. Tra tutti gli interventi, quello più incisivo è stato l’abbattimento di ben 140 (140!) pini, lungo il nostro unico e poderoso viale. Adesso sembra una pista d’atterraggio, e ci vorranno anni prima che gli abitanti possano nuovamente frescheggiare all’ombra delle fronde nei giorni di calura estiva. (ecco una “cosa nuova” di una via!)

prima


dopo

Naturalmente lo spirito toscano non si lascia abbattere altrettanto facilmente: mentre ancora infuriava la tempesta, già c’erano le prime persone con il bagagliaio spalancato a fare il pieno di legna!! E altri hanno sublimato il dolore per il taglio dei pini contemplando i tronchi trasformarsi in cippato da caldaia, grazie al macchinario che era stato installato in piazza e che in breve tempo è divenuto un’attrazione popolare.

Insomma, è stata una settimana intensa, di quelle che rimarranno scolpite nella memoria individuale e collettiva. (Già mi vedo da vecchio a dire: “Ai miei tempi, quando venne qui’vvento pazzesco e buttò giù ognihosa….”)

Ma come abbiamo vissuto la notte buia e tempestosa tra le mura della nostra magione? 

Bene, dovete sapere che la nostra vicina ha un garage di lamiera la cui parete è addossata a una nostra parete di casa. Il vento, quella notte, si è incuneato nella serratura del portone del garage, facendola saltare (oppure la vicina non aveva chiuso il portone: qui ci sono diverse scuole di pensiero….). Fatto sta che dalle ore 4.20 casa nostra sembrava un castello infestato di fantasmi: le porte del garage, sbattendo a quella velocità, producevano un rumore assordante che rimbombava in tutte le stanze. Io mi sono svegliato e non ho più chiuso occhio (né orecchio). Diletta invece a un certo punto si è svegliata, e senza scomporsi più di tanto ha sentenziato: «domani bisogna dire alla vicina di casa che si ricordi di chiudere il garage, perché qui se tira un po’ di vento non si dorme….». Io ho cercato di farle capire che non era “un po’ di vento”, ma la fine del mondo, «guarda Dile che non ti rendi conto di che vento tira, è una cosa assurda…», ma lei imperterrita «sì ma insomma se avesse chiuso non sarebbe successo niente: domani glielo diciamo….» e si è rigirata nel letto continuando a mugugnare qualcosa e poi riaddormentandosi. Se non che, per tutta la notte, ha sognato di scavalcare la ringhiera e la rete, e di chiudere quel maledetto infernale portone!!

martedì 3 marzo 2015

Hobbit, battaglie, cinema. No.



Non l'ho ancora mai fatto. Ma prima o poi doveva venire il momento. Questo capitolo delle Recensioni di Dile è la recensione di un film. E' la recensione de Lo Hobbit -La Battaglia delle Cinque Armate. C'è qualche spoiler, siete avvisati. 




Breve premessa (lo giuro, breve). Sono una tolkieniana. Ma non una tolkieniana fanatica. Certo, dopo la lettura infantile de Lo Hobbit ho letto da preadolescente Il Signore degli Anelli e sperimentato tutti gli effetti dell'amore ossessivo che può dare una grandiosa esperienza di lettura a dodici anni: l'ho idolatrato, riletto autisticamente una quindicina di volte, bagnato di lacrime, citato a memoria, copiato sul diario (è una fonte inesauribile di frasi epiche), riesaminato dopo aver letto Il Silmarillion per maggiore consapevolezza, ho letto tutte le Appendici inclusa quella sul Calcolo degli Anni, ho imparato a scrivere in caratteri elfici, ho composto poesie di dubbio gusto sui boschi di Lothlòrien e via nerdeggiando: non mi sono fatta mancare nulla. La Signoredeglianellite giovanile è poi sfumata in un longevo amore e in una vivida ammirazione letteraria per Tolkien che dura tutt'ora.

Questo non mi ha impedito di apprezzare molto i film di Peter Jackson, anche nelle loro discrepanze dal libro, perché le ho percepite come ragionevoli scelte registiche, sempre o quasi giustificate per il bene dell'opera cinematografica. Dieci anni fa al cinema mi sono emozionata e commossa (mi ricordo ancora la fibrillazione di quando sono andata a vedere il primo della trilogia, con la mia amica Martina, dopo la scuola), e a casa ho appeso in camera poster del film. Insomma, non sono una talebana della trasposizione filologica quando si passa dai libri ai film.

Il problema è che Lo Hobbit è un libro lungo meno di un terzo de Il Signore degli Anelli, scritto in modo molto diverso e con intenti molto diversi. Trattarlo come materiale per una nuova trilogia epica ignorandone bellamente il carattere fiabesco, allungando il brodo per totalizzare un'altra decina di ore di film aggiungendo qua e là pezze tratte dalle Appendici del Signore degli Anelli o intere sottotrame create ex novo era un'operazione ad alto rischio. E io ero scettica, ma ho concesso a Jackson il beneficio del dubbio. E devo dire che ho trovato Un Viaggio Inaspettato più che passabile, gradevole e fedele al "sapore" peculiare del libro. Purtroppo, l'anno scorso La Desolazione di Smaug mi ha invece deluso: coinvolgimento e sospensione di incredulità zero.

E veniamo a noi. Le aspettative erano basse, davvero basse, e la visione de La Battaglia delle Cinque Armate non le ha smentite.
 Il problema non è neanche che è poco fedele, e nemmeno l'indegno allungamento di brodo (tanto per chiarirsi, la battaglia del titolo nel libro occupa un capitolo). Il problema sta nella qualità del materiale che è stato inserito per arrivare alla lunghezza voluta.

Risultati immagini per lo hobbit la battaglia delle cinque armate
"Tolkien, perdonami!"
Cominciamo da lei, perché può assurgere a simbolo di questo problema. Tauriel, l'elfa uscita dalla mente degli sceneggiatori e piazzata in mezzo alla trama con la grazia di una testata nucleare. Si stenta a credere come sia stato possibile creare un personaggio tanto detestabile senza ricevere in cambio assolutamente niente sul piano del pathos, del coinvolgimento emotivo dello spettatore, della profondità della trama. Tauriel è il male. Tauriel provoca l'ulcera. Tauriel origina nello spettatore la voglia di vederla MORTA. Avevo perso ogni speranza di accettare un personaggio femminile inserito perché mancano personaggi femminili (motivazione  di per sé assurda), con un nome orrendo, una personalità lagnosa e la simpatia di un calcolo renale, quando nel precedente film avevo assistito alla battuta sul contenuto dei pantaloni di Kili, improvviso precipitare del film in un baratro del kitsch che stenderebbe roba molto più valida di questa.  Ma niente è paragonabile all'orrido triangolo Legolas-Kili-Tauriel che ha modo di esplicitarsi compiutamente in questo film. Il trasporto dello spettatore è pari allo zero. Ogni singola scena wannabe-romantica tra l'elfa e il nano è ridicola, posticcia, insensata (il fatto che lui le arrivi circa all'ombelico non aiuta). Legolas geloso è quasi peggio. Non c'è un singolo momento di empatia che avvinca a questa sottotrama, le paturnie sentimentali del terzetto sono di una pochezza stroncante per qualsiasi volenteroso che desideri sinceramente seguirle mentre si dipana il resto della storia.  Non ci si possono neanche godere in santa pace le morti illustri del finale senza doversi sorbire Tauriel alias la Piaga da Decubito che blatera di cuore-amore-dolore. E nemmeno muore, alla fine: e dire che aspettavo a gloria la sua dipartita.

Altra storyline riempitiva, presa dalle Appendici del Signore degli Anelli, è lo scontro del Bianco Consiglio con Sauron, un tema che sarebbe anche interessante, se almeno avesse una qualche attinenza col resto del film. D'accordo, era un'ottima occasione per rivedere Cate Blanchett, Christopher Lee e Hugo Weaving con addosso gli abiti di scena. Ma se ne poteva tranquillamente fare a meno, anche perché l'epico scontro risulta noiosetto e persino farsesco quando Galadriel ha di nuovo l'attacco epilettico "I've got the Power" stile Compagnia dell'Anello, tranne che questa volta dura molto di più… e l'aspetto indemoniato è più repellente.

"Tò, il Cugino Dain. Era un po' che non ci si vedeva!"

Forse che ci si può consolare col resto? No. La battaglia vera e propria è confusa malgrado ci siano a disposizione due ore per spiegarla. L'arrivo "risolutivo" del Cugino Dain lascia attonito chiunque non abbia capito che Thorin lo ha mandato a chiamare tramite i corvi -ossia chiunque non lo sappia già. E comunque ci si limita a guardarsi in cagnesco per oltre un'ora prima che arrivino i Veri Cattivi, seguiti poi dagli Altri Veri Cattivi, che in ogni caso non è chiaro come vengano sbaragliati improvvisamente sul finale. Hanno tagliato il ritorno di Beorn (che già nel film precedente era stato sacrificato in modo indegno), quando sarebbe stato tanto meglio vedere il Mutapelle coinvolto nella lotta invece che, poniamo, l'intera gita fuoriporta di Legolas e Tauriel "a nord" completa di conversazione amena "qui hanno ucciso la mia mamma" (epico il vitreo sguardo da cernia che lei sfodera in risposta).

Insomma, è tutto da buttare? No, si salva qualcosa. Innanzitutto c'è la solita comicità più o meno involontaria ma accettabile e quasi simpatica che si faceva sentire anche nella trilogia del Signore degli Anelli. Per esempio, da tradizione, non manca una battuta epica di Legolas con sguardo serissimo rivolto all'orizzonte: "Questi pipistrelli sono allevati per un solo scopo. La guerra." (ma come si fa a non ridere?!). Altro dettaglio mitico è il fatto che l'esercito degli orchi sia dotato di enormi troll con una specie di cappellino a punta di pietra in testa, il cui solo scopo è di menare una craniata alle mura nemiche per poi stramazzare al suolo, ovviamente autostorditi. Ma LOL!

Restando più sul serio, naturalmente la fotografia, gli scenari, gli effetti speciali sono magnifici. Ma anche nella trama qualcosa di godibile c'è: a me è piaciuta la resa del personaggio di Bard e della sua storia, incluso il suo ruolo nelle lunghe contrattazioni prima della battaglia e la sua solitudine. Martin Freeman è un Bilbo magnifico, e il rapporto tra lui e Thorin è ben descritto e si evolve con delicatezza. E non è stato male vedere il lato avido, gelido e sprezzante degli elfi, ben impersonato da Thranduil: non tutti sono nobili d'animo e puri di intenti come la gente di Lòrien o di Gran Burrone.

Tutto questo, però, non basta a salvare il film, anzi, semmai accresce il fastidio per le mille occasioni perse: poteva essere un buon lavoro e non lo è stato. Come dice Kili a Tauriel dopo averle regalato un pregevole sasso, io so quello che provo. Ma nel mio caso, non è ammore.

Risultati immagini per bilbo baggins


giovedì 26 febbraio 2015

Un anno di cose nuove!



Il nostro blog compie un anno (siamo proprio scrausi e non abbiamo neanche ricordato il giorno giusto, ma vabbè).
Quando abbiamo cominciato a scriverlo avevamo solo un'idea vaga di quello che volevamo fare. Anzi, Dama si è convinto a intraprendere l'impresa solo quando ho escogitato un titolo "simpatico", perché, per chi non lo sapesse, il nome del blog suona molto simile al nostro indirizzo.
Non credevamo che qualcuno lo avrebbe letto a parte la cerchia dei nostri amici e parenti più stretti, ma in questo anno ha ricevuto oltre 6000 visite, e una fetta non indifferente di queste visite, nell'ordine di svariate centinaia, viene dall'estero. Di sicuro buonissima parte di questi visitatori stranieri sono capitati qui per caso, e alcuni hanno identità ben riconoscibili (amici all'estero che sappiamo che ci leggono), ma ci sono anche casi curiosi, per esempio qualcuno dalla Serbia che passa con regolarità ogni settimana...  ne approfittiamo per salutarlo: ciao, sconosciuto lettore serbo!
Il post che ha avuto più successo, con una certa sorpresa da parte nostra, è Asciugare i panni in forno, che continua ad avere almeno una decina di visite a settimana e ormai è anche uno dei primi risultati di Google se si digita questa chiave di ricerca. Anzi, a dire il vero le chiavi di ricerca per arrivare al nostro blog, a quanto ci comunica Blogspot, sono praticamente tutte una variazione sul tema dell'asciugare i panni in forno ("asciugare i vestiti nel forno", "asciugare panni forno", "panni nel forno", "asciugare il forno", "asciugare i pantaloni nel forno", "vestiti asciugati nel forno"… e potrei continuare). Probabilmente a giro per il web c'è un mucchio di gente che si ritrova con i panni bagnati e ricorre a Google, e sempre più spesso incappa nel nostro blog (rendendosi conto troppo tardi che non si tratta della soluzione che cercavano ma del resoconto di una mattinata tragicomica). Si può solo sperare che una volta approdati in Via delle Cose Nuove, questi visitatori privi di asciugatrice facciano un giretto sul blog e si incuriosiscano abbastanza da ritornare una volta risolto il problema dei panni bagnati.
Altri cavalli di battaglia sono stati Cucinare in lavastoviglie, Attenti al Canone e Cose Serie, ma quasi tutti i post hanno avuto un discreto successo, una volta pubblicizzati sul profilo facebook di Dama… perfino le verbosissime Recensioni di Dile.
Per quanto riguarda i commenti, invece, siamo ancora piuttosto scarsi, quindi che ne dite di lasciarci qui sotto un bel "Buon compleanno"? (Nota bene: il fatto di non poter mai leggere i commenti o i like lasciati su facebook a Dama, non avendo io un mio profilo, è stata la più forte tentazione ad aprirne uno a mia volta! Ma ricordatevi che se commentate su fb, nel blog non rimarrà traccia dei vostri preziosi interventi!)
E' stato bello farvi entrare nel nostro giardino tuttora privo di una siepe degna di questo nome, e darvi l'occasione di sbirciare in casa nostra. Cosa ci aspetta adesso? Usare la centrifuga come uno shaker? Fare la marmellata in lavatrice? (speriamo sinceramente che quest'ultima frase non diventi a sua volta un indice di ricerca gettonatissimo: NO, non abbiamo idea di come si faccia a fare la marmellata in lavatrice. Per ora).
Ad ogni modo ringraziamo tutti e ci rimettiamo al lavoro per un altro anno di Cose Nuove!

giovedì 12 febbraio 2015

ODE ALLA MAGLIA DELLA SALUTE


Tu vituperata, offesa, derisa, 
foriera di abbronzature anti-sesso
Tu, che del muratore sei divisa
(e lui difatti non ti cambia spesso)

Sappi che per me, da novembre a marzo,
sei scudo e protezione da ogni male.
Ti porto con sittanto orgoglio e sfarzo
che quasi sembri un abito regale.

Io Re della salute affronto il mondo
nessuno sa del mio intimo scudo
(a meno che non sfugga un po’ il colletto)

Ed anche se io sudo son giocondo,
perché la sera quando mi denudo,
ne metto un’altra, e fresco vado a letto.



domenica 1 febbraio 2015

Assi dell'asse




 Dama è diventato uno stiratore niente male, ormai. Appena sposati, coraggiosamente conscio del fatto che sarebbe stato ingiusto far ricadere interamente su di me l'incombenza, si era dedicato d'impegno alle sue prime sessioni di stiratura non avendo mai preso prima un ferro in mano in vita sua. Non si deve credere da queste mie parole che io fossi all'epoca un'artista dell'appretto (frase che, detta così, potrebbe far pensare che lo sia adesso, mentre la verità è che non ho mai usato l'appretto. Mai), ma avevo stirato già abbastanza da padroneggiare (più o meno) le camicie e i lenzuoli con gli angoli, ossia gli elementi più complessi del nostro bucato. Soprattutto avevo assorbito fino al midollo un modello di stiratura tipico di casa dei miei genitori, ovvero equamente suddiviso tra i coniugi e praticato in sessioni serali, di fronte a un film o comunque un intrattenimento visivo-uditivo di qualche genere, se possibile alternandosi all'asse. Questo modello prospera anche in casa nostra. Inizialmente un buon patto di ripartizione era stato ideato così: a Damiano, nel suo tirocinio del Ferro, per far pratica, spettava tutto il bucato riconducibile in ultima analisi a quadrilateri regolari (asciugamani, tovaglioli e tovagliette, federe, persino lenzuoli senza angoli), mentre io mi prendevo le forme irregolari, dalle magliette ai pantaloni, alle più temibili camicie e camicette ai lenzuoli con gli angoli.
Il fervore iniziale mi rendeva maniacale: stiravo finanche le mutande. Però ho preso presto la scivolosa strada dell'approssimazione, e già nel primo mese di matrimonio la biancheria intima è stata abbandonata alla sola piegatura. Poi è venuta la questione della roba da palestra di Damiano, ossia quantità ingenti di magliette e pantaloni di viscido poliestere, usate e lavate a getto continuo. Non volevo cedere, e in fondo mi seccava l'idea che lui esibisse in palestra una tenuta spiegazzata-non-ho-una-moglie-veramente-amorevole (cioè, prima che il sudore stendesse un velo pietoso su ogni mancanza, uniformando il suo stile a quello di tutti gli altri). Però lui resisteva decisamente all'idea di stirarsele da solo, predicandone la totale inutilità, ed è stato pericolosamente facile decidere che in fondo aveva diritto a scegliere lo spiegazzo, visto che siamo in un paese libero.  
Poi c'è la maglina di lana, un argomento così importante nella nostra vita matrimoniale che meriterebbe un post apposito - scritto da Dama, ovviamente, vista la grande passione che nutre nei confronti di questo indumento. Ebbene, la maglina di lana da indossare sotto gli altri indumenti d'inverno (altresì nota come maglia della salute in tutte le case di riposo del mondo) è costantemente presente, in molteplici esemplari, nei nostri bucati invernali, ed anche quella è scivolata con sorprendente rapidità da "stirato e piegato" a "un colpo e via" a "appallottoliamola e scaraventiamola nel cassetto".  
Ma veniamo all'aspetto audiovisivo della sessione di stiratura.
Nonostante sia un espediente che consigliamo a tutti, presenta alcuni problemini. 


Innanzitutto, tra chi è di turno all'asse e quindi sta in piedi e chi invece in quel momento è comodamente a sedere in poltrona, le esigenze di inclinazione dello schermo del computer sono diverse.
Di solito finisce che chi non sta stirando si adegua a vedere praticamente al negativo tutte le scene notturne o in generale buie, conscio che il privilegio di un'inclinazione ottimale spetta a chi sta lavorando. D'altra parte, chi stira non si può esattamente dire che guardi lo schermo: sono più che altro occhiate fugaci tra una passata e l'altra del ferro. Poi c'è il problema dell'audio. Come abbiamo avuto modo di raccontarvi è frequente che sul nostro schermo passino serie tv in lingua originale sottotitolate. E se l'inglese oxfordiano di Downton Abbey è comprensibile anche senza ausili quando si è chinati sul risvolto di una camicia che fa i capricci, non si può dire lo stesso per lo slang americano semiarticolato di Jim Caviezel, che in Person of Interest a stento muove le labbra recitando le sue tenebrose battute. Considerando il grado di suspense della recente stagione, ogni tentativo di stirare con il nostro amato Person a farci compagnia si risolve in un continuo: 
-Eh? Che ha detto, ho perso il sottotitolo…
-Aspetta, è troppo importante, non posso spiegarti ora…  
-Ma… 
-No, incredibile!
-Ma che succede? 
-Hai visto? Hai visto?!! 
-Cosa?! Stavo finendo la manica della tua camicia…
-Control ha ricevuto un messaggio da Samaritan che… 
-Che cosa?! 
-Pazzesco!
-Insomma, ho perso un passaggio, non capisco, manda indietro! 
-No, aspetta… 
-Dai, manda indietro!
-Dile, siamo ad un momento cruciale! E poi… ma cos'è questo odore strano? 
  
… sì. Era la manica.