mercoledì 25 giugno 2014

Kristin figlia di Lavrans

(Dopo il grande successo di Attenti al Can(on)e, una bella recensione, per far precipitare il picco di interesse!)
Sigrid Undset
Con Agnes Grey parlavo dell'amaro in bocca lasciatomi dalla rilettura di un romanzo la cui protagonista (o meglio, la cui autrice) non ama tutta la realtà. Ebbene, l'autrice di Kristin figlia di Lavrans ama tutta la realtà. Il suo libro, infatti, è uno dei più belli che abbia letto di recente. Una sorpresa assoluta. Non ne avete mai sentito parlare? In effetti, in Italia non è propriamente notissimo. Kristin Lavransdatter fruttò alla sua autrice, la norvegese Sigrid Undset, il premio Nobel nel 1928, ed in Norvegia è molto noto… anzi, negli ultimi anni è stato ulteriormente riscoperto, grazie anche ad un film diventato parte del patrimonio nazionale. Ci sono addirittura musei dedicati a Kristin, e "giornate di Kristin" a Jorundgaard, il villaggio dove è ambientata una buona parte della sua storia. 

E' un lungo romanzo, di oltre seicento pagine, incentrato sulla vita di una donna norvegese nel XIV secolo, dall'infanzia alla vecchiaia. L'affresco del medioevo scandinavo è semplicemente perfetto: la Undset era figlia di un noto archeologo, ed ha voluto fortemente ricostruire una realtà materiale precisa in tutti i suoi dettagli. I romanzi che parlino di Medioevo senza anacronismi sono più unici che rari, non solo per il pregiudizio che ancora riguarda quest'epoca storica, ma anche per la difficoltà di abbandonare il nostro sguardo postmoderno per descrivere una realtà ai più sconosciuta quanto una cultura esotica...  Invece, con una vividezza impressionante, Kristin viene posta dalla sua autrice in un mondo vivo, vero, brulicante, con i suoi stili di vita, le sue scoperte, le convinzioni, i costumi. Si tratta di un mondo dove all'antica cultura pagana comincia a sostituirsi la concezione cristiana dell'esistenza, e, cosa che mi ha colpita particolarmente, di un mondo molto più in comunione con il continente europeo di quanto forse ci immagineremmo per queste vaste lande nordiche: la Norvegia è a pieno titolo parte della circolazione di prodotti, di arte, di cultura, di idee che rappresentava l'Europa medioevale, prima del forte affermarsi degli stati nazionali. E' un Medioevo non "pruriginoso", ovvero non dipinto con lo stile tipico di certi romanzi, che basano buona parte del loro fascino sulla curiosità che il lettore ha di scoprire chissà che "orrori", ma sensato, realistico, sincero nella descrizione delle durezze della vita come delle gioie, della cultura ancestrale come di quella nascente, con personaggi così veri e vivi che li comprendiamo profondamente: denotano il profondo sguardo sulla persona di cui è capace l'autrice.

Sullo sfondo affascinante del Regno di Norvegia e della nutrita schiera di personaggi, legati da complesse relazioni familiari, consortili, politiche, si staglia la figura della protagonista. Il romanzo è la storia della sua vita, delle esperienze che attraversa dalla giovinezza alla vecchiaia, l'amore, le infelicità, le stagioni della maternità e della maturità. La complessità di questo personaggio splendido si specchia nei rapporti di cui è intessuta la sua vita, multiformi e sfaccettati: il padre, la madre, il fidanzato e poi amico per la vita Simon, il marito Erlend, i figli... ognuno di essi rappresenta un aspetto della crescita fisica, morale e spirituale di Kristin.

E' un romanzo lungo e ricchissimo, troppo per parlarne esaurientemente in un post. Mi limito ad annotare alcuni elementi che secondo me aiutano ad inquadrare l'opera nel suo insieme: si tratta anche degli elementi che più mi hanno colpita durante la lettura.
Il monumento di Kristin a Sel, in Norvegia
Il primo è certamente questo: il matrimonio della protagonista con Erlend. Kristin ed Erlend si sposano per amore, forzando in qualche modo la mano della famiglia di lei, che non è d'accordo. Desiderano stare insieme con tutta l'intensità di una passione romantica in piena regola, che non si preoccupa di infrangere regole sociali e morali, perché più forte di qualsiasi rimorso. Si ameranno tutta la vita, e nonostante questo, il matrimonio sarà molto travagliato, segnato da delusioni e infelicità, oltre che dalle durezze dell'esistenza. Non c'è niente di idealizzato nel loro rapporto, anzi, spesso si ha l'impressione che, malgrado il loro reciproco amore, sarebbero stati più felici l'uno senza l'altra: anche loro se ne rendono conto pienamente. Il racconto del loro matrimonio è tuttavia splendido, un inno alla commovente capacità di un uomo e una donna di aggrapparsi l'uno all'altra riconoscendo un vincolo che, poiché scelto liberamente, è più forte delle loro debolezze, dei loro peccati, anche del logorio del tempo che ci cambia. Né Kristin né Erlend sono dei santi, tutt'altro: spesso, nel corso della loro vita si fanno del male con le loro stesse mani, ma al fondo di ogni momento del loro matrimonio, è vivo, bruciante, a volte doloroso ma limpido il ricordo, la consapevolezza della loro scelta comune, del loro impegno reciproco, dell'amore che li ha portati, ancora giovani, a scegliersi l'un l'altra a dispetto di tutto: e poiché in quella scelta hanno scommesso se stessi, nessuno dei due è disposto a non assumersene ogni responsabilità.
Il secondo aspetto è la percezione del tempo che passa, delle età della vita che si susseguono, delle situazioni che cambiano. Per ogni tempo dell'esistenza c'è una lotta, una dignità, un intero universo di valori simbolici che, grado per grado, la protagonista medita e assimila. Kristin, come tutti, è inscritta in un succedersi di generazioni, cui è legata dalla parentela, ma anche dalle amicizie. Si muove tra il rispetto e l'amore che la lega al padre, il modello morale da cui è irresistibilmente attratta ma al quale non riesce a conformarsi, e che illumina e accende tutto l'universo dell'infanzia e della giovinezza; e l'attaccamento viscerale ai suoi figli, che ha portato in grembo, cresciuto ed educato, e che pure sono altro da sé, bambini e poi giovani uomini che compiono le loro scelte, allontanandosi, sperdendosi nel "mondo", vivendo insomma le loro vite. Le stagioni della vita donano e portano via, e Kristin impara a ricevere e lasciare andare, nella sempre più chiara consapevolezza che nulla è davvero "nostro", tutto ci è dato e ne dovremo rendere conto.
Il terzo aspetto, il più fondamentale: la grazia. Fondamentalmente, Kristin figlia di Lavrans è un romanzo sulla grazia, che accompagna la lotta della vita e illumina di una luce di senso ogni suo aspetto, anche quelli più desolati e sordidi. Dicevo, a proposito di Agnes Grey, che il suo è un mondo dove un destino immutabile separa il bene dal male, i buoni dai corrotti: un mondo  a tinte forti, che non lascia spazio per un'ambiguità morale in nessuno dei personaggi. Questo ha indubbiamente il suo fascino, ma sarebbe difficile obiettare che non stia qui la sua principale debolezza. Il mondo di Kristin, da questo punto di vista, è un mondo incredibilmente più realistico: le scelte sbagliate, il bene, il male, il peccato, la redenzione, la speranza di bene, la generosità, la stoltezza si agitano in ciascuno dei personaggi, ed agitano il mondo e la storia. E' questo che dà al romanzo il suo ampio respiro, e al tempo stesso la sua modernità. Da notare che non stiamo parlando di un universo che non ha o ha smarrito il senso del bene e del male, o in cui in fondo tutto questo è indifferente: ci si muove in un'epoca di fortissima religiosità, di aspri contrasti e di alti afflati personali, sociali, politici, in cui bene e male sono tutt'altro che indifferenti. Tuttavia, con i poli opposti del peccato e della grazia fa i conti il cuore di ogni uomo e di ogni donna, e nulla è mai davvero perduto o disprezzabile fino all'ultimo istante: perché il mondo è un campo di battaglia, ma già redento, ed in esso si agita il desiderio, la nostalgia della bellezza, di una misericordia che possa supplire quando manca la forza morale, la volontà, l'energia. E' questo che sperimenta Kristin nella sua vita, e che alla fine ci fa chiudere il libro dicendo che sì, si è trattato di una vita degna di essere vissuta.
(Dile)


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