lunedì 16 marzo 2015

QUANDO IL VENTO ARRIVO'....

Il nostro piccolo borgo è stato uno dei più colpiti d’Italia dal recente “uragano” (sì, la velocità del vento era proprio da uragano: 160-170 km/h!).
Una sola notte di vento ha trasformato un paese del Terzo Millennio, all’avanguardia tecnologica, in una scenografia da far west: cartelli stradali piegati, tegole volanti, niente acqua né corrente elettrica, cimiteri vegetali al posto delle strade.

Il bilancio dei danni è stato ingente. Tra tutti gli interventi, quello più incisivo è stato l’abbattimento di ben 140 (140!) pini, lungo il nostro unico e poderoso viale. Adesso sembra una pista d’atterraggio, e ci vorranno anni prima che gli abitanti possano nuovamente frescheggiare all’ombra delle fronde nei giorni di calura estiva. (ecco una “cosa nuova” di una via!)

prima


dopo

Naturalmente lo spirito toscano non si lascia abbattere altrettanto facilmente: mentre ancora infuriava la tempesta, già c’erano le prime persone con il bagagliaio spalancato a fare il pieno di legna!! E altri hanno sublimato il dolore per il taglio dei pini contemplando i tronchi trasformarsi in cippato da caldaia, grazie al macchinario che era stato installato in piazza e che in breve tempo è divenuto un’attrazione popolare.

Insomma, è stata una settimana intensa, di quelle che rimarranno scolpite nella memoria individuale e collettiva. (Già mi vedo da vecchio a dire: “Ai miei tempi, quando venne qui’vvento pazzesco e buttò giù ognihosa….”)

Ma come abbiamo vissuto la notte buia e tempestosa tra le mura della nostra magione? 

Bene, dovete sapere che la nostra vicina ha un garage di lamiera la cui parete è addossata a una nostra parete di casa. Il vento, quella notte, si è incuneato nella serratura del portone del garage, facendola saltare (oppure la vicina non aveva chiuso il portone: qui ci sono diverse scuole di pensiero….). Fatto sta che dalle ore 4.20 casa nostra sembrava un castello infestato di fantasmi: le porte del garage, sbattendo a quella velocità, producevano un rumore assordante che rimbombava in tutte le stanze. Io mi sono svegliato e non ho più chiuso occhio (né orecchio). Diletta invece a un certo punto si è svegliata, e senza scomporsi più di tanto ha sentenziato: «domani bisogna dire alla vicina di casa che si ricordi di chiudere il garage, perché qui se tira un po’ di vento non si dorme….». Io ho cercato di farle capire che non era “un po’ di vento”, ma la fine del mondo, «guarda Dile che non ti rendi conto di che vento tira, è una cosa assurda…», ma lei imperterrita «sì ma insomma se avesse chiuso non sarebbe successo niente: domani glielo diciamo….» e si è rigirata nel letto continuando a mugugnare qualcosa e poi riaddormentandosi. Se non che, per tutta la notte, ha sognato di scavalcare la ringhiera e la rete, e di chiudere quel maledetto infernale portone!!

martedì 3 marzo 2015

Hobbit, battaglie, cinema. No.



Non l'ho ancora mai fatto. Ma prima o poi doveva venire il momento. Questo capitolo delle Recensioni di Dile è la recensione di un film. E' la recensione de Lo Hobbit -La Battaglia delle Cinque Armate. C'è qualche spoiler, siete avvisati. 




Breve premessa (lo giuro, breve). Sono una tolkieniana. Ma non una tolkieniana fanatica. Certo, dopo la lettura infantile de Lo Hobbit ho letto da preadolescente Il Signore degli Anelli e sperimentato tutti gli effetti dell'amore ossessivo che può dare una grandiosa esperienza di lettura a dodici anni: l'ho idolatrato, riletto autisticamente una quindicina di volte, bagnato di lacrime, citato a memoria, copiato sul diario (è una fonte inesauribile di frasi epiche), riesaminato dopo aver letto Il Silmarillion per maggiore consapevolezza, ho letto tutte le Appendici inclusa quella sul Calcolo degli Anni, ho imparato a scrivere in caratteri elfici, ho composto poesie di dubbio gusto sui boschi di Lothlòrien e via nerdeggiando: non mi sono fatta mancare nulla. La Signoredeglianellite giovanile è poi sfumata in un longevo amore e in una vivida ammirazione letteraria per Tolkien che dura tutt'ora.

Questo non mi ha impedito di apprezzare molto i film di Peter Jackson, anche nelle loro discrepanze dal libro, perché le ho percepite come ragionevoli scelte registiche, sempre o quasi giustificate per il bene dell'opera cinematografica. Dieci anni fa al cinema mi sono emozionata e commossa (mi ricordo ancora la fibrillazione di quando sono andata a vedere il primo della trilogia, con la mia amica Martina, dopo la scuola), e a casa ho appeso in camera poster del film. Insomma, non sono una talebana della trasposizione filologica quando si passa dai libri ai film.

Il problema è che Lo Hobbit è un libro lungo meno di un terzo de Il Signore degli Anelli, scritto in modo molto diverso e con intenti molto diversi. Trattarlo come materiale per una nuova trilogia epica ignorandone bellamente il carattere fiabesco, allungando il brodo per totalizzare un'altra decina di ore di film aggiungendo qua e là pezze tratte dalle Appendici del Signore degli Anelli o intere sottotrame create ex novo era un'operazione ad alto rischio. E io ero scettica, ma ho concesso a Jackson il beneficio del dubbio. E devo dire che ho trovato Un Viaggio Inaspettato più che passabile, gradevole e fedele al "sapore" peculiare del libro. Purtroppo, l'anno scorso La Desolazione di Smaug mi ha invece deluso: coinvolgimento e sospensione di incredulità zero.

E veniamo a noi. Le aspettative erano basse, davvero basse, e la visione de La Battaglia delle Cinque Armate non le ha smentite.
 Il problema non è neanche che è poco fedele, e nemmeno l'indegno allungamento di brodo (tanto per chiarirsi, la battaglia del titolo nel libro occupa un capitolo). Il problema sta nella qualità del materiale che è stato inserito per arrivare alla lunghezza voluta.

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"Tolkien, perdonami!"
Cominciamo da lei, perché può assurgere a simbolo di questo problema. Tauriel, l'elfa uscita dalla mente degli sceneggiatori e piazzata in mezzo alla trama con la grazia di una testata nucleare. Si stenta a credere come sia stato possibile creare un personaggio tanto detestabile senza ricevere in cambio assolutamente niente sul piano del pathos, del coinvolgimento emotivo dello spettatore, della profondità della trama. Tauriel è il male. Tauriel provoca l'ulcera. Tauriel origina nello spettatore la voglia di vederla MORTA. Avevo perso ogni speranza di accettare un personaggio femminile inserito perché mancano personaggi femminili (motivazione  di per sé assurda), con un nome orrendo, una personalità lagnosa e la simpatia di un calcolo renale, quando nel precedente film avevo assistito alla battuta sul contenuto dei pantaloni di Kili, improvviso precipitare del film in un baratro del kitsch che stenderebbe roba molto più valida di questa.  Ma niente è paragonabile all'orrido triangolo Legolas-Kili-Tauriel che ha modo di esplicitarsi compiutamente in questo film. Il trasporto dello spettatore è pari allo zero. Ogni singola scena wannabe-romantica tra l'elfa e il nano è ridicola, posticcia, insensata (il fatto che lui le arrivi circa all'ombelico non aiuta). Legolas geloso è quasi peggio. Non c'è un singolo momento di empatia che avvinca a questa sottotrama, le paturnie sentimentali del terzetto sono di una pochezza stroncante per qualsiasi volenteroso che desideri sinceramente seguirle mentre si dipana il resto della storia.  Non ci si possono neanche godere in santa pace le morti illustri del finale senza doversi sorbire Tauriel alias la Piaga da Decubito che blatera di cuore-amore-dolore. E nemmeno muore, alla fine: e dire che aspettavo a gloria la sua dipartita.

Altra storyline riempitiva, presa dalle Appendici del Signore degli Anelli, è lo scontro del Bianco Consiglio con Sauron, un tema che sarebbe anche interessante, se almeno avesse una qualche attinenza col resto del film. D'accordo, era un'ottima occasione per rivedere Cate Blanchett, Christopher Lee e Hugo Weaving con addosso gli abiti di scena. Ma se ne poteva tranquillamente fare a meno, anche perché l'epico scontro risulta noiosetto e persino farsesco quando Galadriel ha di nuovo l'attacco epilettico "I've got the Power" stile Compagnia dell'Anello, tranne che questa volta dura molto di più… e l'aspetto indemoniato è più repellente.

"Tò, il Cugino Dain. Era un po' che non ci si vedeva!"

Forse che ci si può consolare col resto? No. La battaglia vera e propria è confusa malgrado ci siano a disposizione due ore per spiegarla. L'arrivo "risolutivo" del Cugino Dain lascia attonito chiunque non abbia capito che Thorin lo ha mandato a chiamare tramite i corvi -ossia chiunque non lo sappia già. E comunque ci si limita a guardarsi in cagnesco per oltre un'ora prima che arrivino i Veri Cattivi, seguiti poi dagli Altri Veri Cattivi, che in ogni caso non è chiaro come vengano sbaragliati improvvisamente sul finale. Hanno tagliato il ritorno di Beorn (che già nel film precedente era stato sacrificato in modo indegno), quando sarebbe stato tanto meglio vedere il Mutapelle coinvolto nella lotta invece che, poniamo, l'intera gita fuoriporta di Legolas e Tauriel "a nord" completa di conversazione amena "qui hanno ucciso la mia mamma" (epico il vitreo sguardo da cernia che lei sfodera in risposta).

Insomma, è tutto da buttare? No, si salva qualcosa. Innanzitutto c'è la solita comicità più o meno involontaria ma accettabile e quasi simpatica che si faceva sentire anche nella trilogia del Signore degli Anelli. Per esempio, da tradizione, non manca una battuta epica di Legolas con sguardo serissimo rivolto all'orizzonte: "Questi pipistrelli sono allevati per un solo scopo. La guerra." (ma come si fa a non ridere?!). Altro dettaglio mitico è il fatto che l'esercito degli orchi sia dotato di enormi troll con una specie di cappellino a punta di pietra in testa, il cui solo scopo è di menare una craniata alle mura nemiche per poi stramazzare al suolo, ovviamente autostorditi. Ma LOL!

Restando più sul serio, naturalmente la fotografia, gli scenari, gli effetti speciali sono magnifici. Ma anche nella trama qualcosa di godibile c'è: a me è piaciuta la resa del personaggio di Bard e della sua storia, incluso il suo ruolo nelle lunghe contrattazioni prima della battaglia e la sua solitudine. Martin Freeman è un Bilbo magnifico, e il rapporto tra lui e Thorin è ben descritto e si evolve con delicatezza. E non è stato male vedere il lato avido, gelido e sprezzante degli elfi, ben impersonato da Thranduil: non tutti sono nobili d'animo e puri di intenti come la gente di Lòrien o di Gran Burrone.

Tutto questo, però, non basta a salvare il film, anzi, semmai accresce il fastidio per le mille occasioni perse: poteva essere un buon lavoro e non lo è stato. Come dice Kili a Tauriel dopo averle regalato un pregevole sasso, io so quello che provo. Ma nel mio caso, non è ammore.

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giovedì 26 febbraio 2015

Un anno di cose nuove!



Il nostro blog compie un anno (siamo proprio scrausi e non abbiamo neanche ricordato il giorno giusto, ma vabbè).
Quando abbiamo cominciato a scriverlo avevamo solo un'idea vaga di quello che volevamo fare. Anzi, Dama si è convinto a intraprendere l'impresa solo quando ho escogitato un titolo "simpatico", perché, per chi non lo sapesse, il nome del blog suona molto simile al nostro indirizzo.
Non credevamo che qualcuno lo avrebbe letto a parte la cerchia dei nostri amici e parenti più stretti, ma in questo anno ha ricevuto oltre 6000 visite, e una fetta non indifferente di queste visite, nell'ordine di svariate centinaia, viene dall'estero. Di sicuro buonissima parte di questi visitatori stranieri sono capitati qui per caso, e alcuni hanno identità ben riconoscibili (amici all'estero che sappiamo che ci leggono), ma ci sono anche casi curiosi, per esempio qualcuno dalla Serbia che passa con regolarità ogni settimana...  ne approfittiamo per salutarlo: ciao, sconosciuto lettore serbo!
Il post che ha avuto più successo, con una certa sorpresa da parte nostra, è Asciugare i panni in forno, che continua ad avere almeno una decina di visite a settimana e ormai è anche uno dei primi risultati di Google se si digita questa chiave di ricerca. Anzi, a dire il vero le chiavi di ricerca per arrivare al nostro blog, a quanto ci comunica Blogspot, sono praticamente tutte una variazione sul tema dell'asciugare i panni in forno ("asciugare i vestiti nel forno", "asciugare panni forno", "panni nel forno", "asciugare il forno", "asciugare i pantaloni nel forno", "vestiti asciugati nel forno"… e potrei continuare). Probabilmente a giro per il web c'è un mucchio di gente che si ritrova con i panni bagnati e ricorre a Google, e sempre più spesso incappa nel nostro blog (rendendosi conto troppo tardi che non si tratta della soluzione che cercavano ma del resoconto di una mattinata tragicomica). Si può solo sperare che una volta approdati in Via delle Cose Nuove, questi visitatori privi di asciugatrice facciano un giretto sul blog e si incuriosiscano abbastanza da ritornare una volta risolto il problema dei panni bagnati.
Altri cavalli di battaglia sono stati Cucinare in lavastoviglie, Attenti al Canone e Cose Serie, ma quasi tutti i post hanno avuto un discreto successo, una volta pubblicizzati sul profilo facebook di Dama… perfino le verbosissime Recensioni di Dile.
Per quanto riguarda i commenti, invece, siamo ancora piuttosto scarsi, quindi che ne dite di lasciarci qui sotto un bel "Buon compleanno"? (Nota bene: il fatto di non poter mai leggere i commenti o i like lasciati su facebook a Dama, non avendo io un mio profilo, è stata la più forte tentazione ad aprirne uno a mia volta! Ma ricordatevi che se commentate su fb, nel blog non rimarrà traccia dei vostri preziosi interventi!)
E' stato bello farvi entrare nel nostro giardino tuttora privo di una siepe degna di questo nome, e darvi l'occasione di sbirciare in casa nostra. Cosa ci aspetta adesso? Usare la centrifuga come uno shaker? Fare la marmellata in lavatrice? (speriamo sinceramente che quest'ultima frase non diventi a sua volta un indice di ricerca gettonatissimo: NO, non abbiamo idea di come si faccia a fare la marmellata in lavatrice. Per ora).
Ad ogni modo ringraziamo tutti e ci rimettiamo al lavoro per un altro anno di Cose Nuove!

giovedì 12 febbraio 2015

ODE ALLA MAGLIA DELLA SALUTE


Tu vituperata, offesa, derisa, 
foriera di abbronzature anti-sesso
Tu, che del muratore sei divisa
(e lui difatti non ti cambia spesso)

Sappi che per me, da novembre a marzo,
sei scudo e protezione da ogni male.
Ti porto con sittanto orgoglio e sfarzo
che quasi sembri un abito regale.

Io Re della salute affronto il mondo
nessuno sa del mio intimo scudo
(a meno che non sfugga un po’ il colletto)

Ed anche se io sudo son giocondo,
perché la sera quando mi denudo,
ne metto un’altra, e fresco vado a letto.



domenica 1 febbraio 2015

Assi dell'asse




 Dama è diventato uno stiratore niente male, ormai. Appena sposati, coraggiosamente conscio del fatto che sarebbe stato ingiusto far ricadere interamente su di me l'incombenza, si era dedicato d'impegno alle sue prime sessioni di stiratura non avendo mai preso prima un ferro in mano in vita sua. Non si deve credere da queste mie parole che io fossi all'epoca un'artista dell'appretto (frase che, detta così, potrebbe far pensare che lo sia adesso, mentre la verità è che non ho mai usato l'appretto. Mai), ma avevo stirato già abbastanza da padroneggiare (più o meno) le camicie e i lenzuoli con gli angoli, ossia gli elementi più complessi del nostro bucato. Soprattutto avevo assorbito fino al midollo un modello di stiratura tipico di casa dei miei genitori, ovvero equamente suddiviso tra i coniugi e praticato in sessioni serali, di fronte a un film o comunque un intrattenimento visivo-uditivo di qualche genere, se possibile alternandosi all'asse. Questo modello prospera anche in casa nostra. Inizialmente un buon patto di ripartizione era stato ideato così: a Damiano, nel suo tirocinio del Ferro, per far pratica, spettava tutto il bucato riconducibile in ultima analisi a quadrilateri regolari (asciugamani, tovaglioli e tovagliette, federe, persino lenzuoli senza angoli), mentre io mi prendevo le forme irregolari, dalle magliette ai pantaloni, alle più temibili camicie e camicette ai lenzuoli con gli angoli.
Il fervore iniziale mi rendeva maniacale: stiravo finanche le mutande. Però ho preso presto la scivolosa strada dell'approssimazione, e già nel primo mese di matrimonio la biancheria intima è stata abbandonata alla sola piegatura. Poi è venuta la questione della roba da palestra di Damiano, ossia quantità ingenti di magliette e pantaloni di viscido poliestere, usate e lavate a getto continuo. Non volevo cedere, e in fondo mi seccava l'idea che lui esibisse in palestra una tenuta spiegazzata-non-ho-una-moglie-veramente-amorevole (cioè, prima che il sudore stendesse un velo pietoso su ogni mancanza, uniformando il suo stile a quello di tutti gli altri). Però lui resisteva decisamente all'idea di stirarsele da solo, predicandone la totale inutilità, ed è stato pericolosamente facile decidere che in fondo aveva diritto a scegliere lo spiegazzo, visto che siamo in un paese libero.  
Poi c'è la maglina di lana, un argomento così importante nella nostra vita matrimoniale che meriterebbe un post apposito - scritto da Dama, ovviamente, vista la grande passione che nutre nei confronti di questo indumento. Ebbene, la maglina di lana da indossare sotto gli altri indumenti d'inverno (altresì nota come maglia della salute in tutte le case di riposo del mondo) è costantemente presente, in molteplici esemplari, nei nostri bucati invernali, ed anche quella è scivolata con sorprendente rapidità da "stirato e piegato" a "un colpo e via" a "appallottoliamola e scaraventiamola nel cassetto".  
Ma veniamo all'aspetto audiovisivo della sessione di stiratura.
Nonostante sia un espediente che consigliamo a tutti, presenta alcuni problemini. 


Innanzitutto, tra chi è di turno all'asse e quindi sta in piedi e chi invece in quel momento è comodamente a sedere in poltrona, le esigenze di inclinazione dello schermo del computer sono diverse.
Di solito finisce che chi non sta stirando si adegua a vedere praticamente al negativo tutte le scene notturne o in generale buie, conscio che il privilegio di un'inclinazione ottimale spetta a chi sta lavorando. D'altra parte, chi stira non si può esattamente dire che guardi lo schermo: sono più che altro occhiate fugaci tra una passata e l'altra del ferro. Poi c'è il problema dell'audio. Come abbiamo avuto modo di raccontarvi è frequente che sul nostro schermo passino serie tv in lingua originale sottotitolate. E se l'inglese oxfordiano di Downton Abbey è comprensibile anche senza ausili quando si è chinati sul risvolto di una camicia che fa i capricci, non si può dire lo stesso per lo slang americano semiarticolato di Jim Caviezel, che in Person of Interest a stento muove le labbra recitando le sue tenebrose battute. Considerando il grado di suspense della recente stagione, ogni tentativo di stirare con il nostro amato Person a farci compagnia si risolve in un continuo: 
-Eh? Che ha detto, ho perso il sottotitolo…
-Aspetta, è troppo importante, non posso spiegarti ora…  
-Ma… 
-No, incredibile!
-Ma che succede? 
-Hai visto? Hai visto?!! 
-Cosa?! Stavo finendo la manica della tua camicia…
-Control ha ricevuto un messaggio da Samaritan che… 
-Che cosa?! 
-Pazzesco!
-Insomma, ho perso un passaggio, non capisco, manda indietro! 
-No, aspetta… 
-Dai, manda indietro!
-Dile, siamo ad un momento cruciale! E poi… ma cos'è questo odore strano? 
  
… sì. Era la manica. 


lunedì 19 gennaio 2015

Composti e puliti!


Fin da quando abitiamo insieme, la nostra moderna coscienza ecologista – e la nostra tendenza a complicarci la vita – ci hanno suggerito di riusare gli scarti vegetali per produrre l’eco-dado in polvere (un giorno ve ne parleremo). Tutto andava a meraviglia, le nostre minestrine profumavano di giustizia ambientale, e ci sentivamo soddisfatti come se avessimo salvato il pianeta da un’imminente disastro apocalittico..
Ma poi, un giorno, è arrivata lei, la mia grassissima amante di plastica: si chiama Compostiera.
Quando l’ho vista, non ho resistito: ho voluto subito che un esemplare di siffatta bellezza e utilità troneggiasse nel nostro giardino. Così, baldanzoso, ho fatto richiesta al comune. Mi sembrava che la compostiera condensasse in sé numerosi privilegi, e nessun effetto collaterale: avremmo avuto uno sconto sulla tassa della nettezza, avremmo potuto buttare direttamente gli scarti vegetali senza accumularli in casa (quindi senza cattivi odori in cucina), e avremmo avuto il concime per l’orto gratis. La natura alimentava se stessa. Era una poesia.
Cosa potevo chiedere di più? Dile era un po’ scettica – forse anche gelosa – ma piano piano si è arresa al mio entusiasmo travolgente. Compostiera sia. 

È allora che sono iniziati i problemi: prima di tutto, la Compostiera non arrivava mai. Finché al comune non fossero giunte un numero minimo di richieste, non avrebbe fatto domanda alla cooperativa incaricata. E dalla domanda ufficiale alla consegna effettiva sarebbe passato altro tempo. Interminabili mesi tra me e la mia amatissima. 
Non potevo certo resistere. 
Ho così agito all’italiana, smuovendo conoscenze e attaccandomi insistentemente alla cornetta, reclamando il mio “diritto ad avere la Compostiera, perché a quelli del comune fa comodo che i cittadini non ce l’abbiano, così guadagnano di più dalla tassa sulla nettezza”. Sporco capitalismo, pulitissimi rifiuti compostabili.

Quando poi finalmente Lei è arrivata, si è presentato il secondo problema: ho scoperto che non mangia di tutto, anzi è piuttosto viziata, e vegetariana. Bisogna stare attenti a non buttarci troppi rifiuti acidi (ad esempio le bucce di agrumi), e soprattutto non bisogna buttarci nessun rifiuto animale, perché sarebbe causa di cattivi odori e attacchi famelici di cani e gatti.
Beh, mi sono detto, è normale, stupido io a non averci pensato! Non bisogna abbattersi, anzi la soluzione è semplice: basta gettare i rifiuti animali in un sacchetto a parte, che sarà raccolto nel giorno apposito.
Solo che ne consumiamo pochissimi, e dopo la seconda volta in cui ci siamo scordati di mettere fuori della porta il sacchetto con ossa di carne e pelle di pesce….. beh lo ammetto, è finito tutto nel sacco dell’indifferenziato. E da quel giorno non abbiamo più smesso di fare così, salvo rarissime eccezioni!

Va bene, continuavo a ripetermi, abbiamo ceduto da una parte, ma dall’altra abbiamo guadagnato: paghiamo meno tasse, e abbiamo il concime gratis. Riguardo le tasse, sappiate che lo sconto è di circa 10 euro ALL’ANNO. Riguardo il concime, ancora non è pronto, dopo un anno e mezzo che compostiamo i rifiuti. Vedremo la prossima primavera.

In più si sono aggiunti due problemi: il primo è che la cooperativa che fornisce le compostiere viene periodicamente ad accertarsi che i cittadini ne facciano buon uso, altrimenti le tolgono. Noi abbiamo appena risicato la sufficienza, perché a loro dire i nostri rifiuti sono poco umidi.
Il secondo è che Dile non si avvicina alla compostiera perché ha un terrore irrazionale di vermi e lumache, per cui c’è una zona del giardino che per lei è off-limits (…e tocca sempre a me andare a buttare l’organico!!). 

Così, questo è il risultato: mia moglie mi rinfaccia la scelta, e guarda alla sua rivale in amore con distacco e timore…  e la Compostiera, dal canto suo, soffre di secchezza.

Non ci si capisce niente con queste donne.




domenica 11 gennaio 2015

In-Saponiamoci!



Tra tutti e due abbiamo una bella compagine di parenti, amici e conoscenti di cui è giusto e bello ricordarsi al momento dei regali di Natale. Fatti due conti, abbiamo scelto presto la strada del fai da te. In Via delle Cose Nuove, infatti, voglia di sperimentare e creatività sono quasi illimitate, mentre altri tipi di risorse… no.
Così, dopo  aver affrontato in passato la produzione a livelli industriali di biscotti e cioccolatini, quest'anno abbiamo deciso di provare qualcosa di più sofisticato sulla via dell'autoproduzione, e di saponificare in casa. L'obiettivo era arrivare ad avere tante belle saponette 100% handmade, fatte in casa partendo da zero, con ingredienti naturali e con una procedura sufficientemente semplice da essere alla portata di due principianti assoluti.
Parte quindi la caccia all'informazione online (c'è un fascinoso e complesso mondo di gente che saponifica in casa autoproducendosi ogni singolo prodotto detergente che usa, dalla saponetta al detersivo per i panni al disincrostante per il calcare: tutto da scoprire, e non crediate che sia composto esclusivamente da allegri fricchettoni) e agli strumenti adeguati. Per produrre un sapone terra terra, diciamo senza alcuna pretesa, da inesperti totali, sono sufficienti tre ingredienti alla portata di tutti: olio d'oliva, acqua distillata (quella per il ferro da stiro) e soda caustica. 


Poi ci vuole tutto un armamentario di utensili vasto ma reperibile in casa (eccezion fatta per il termometro per alimenti, che non essendo cultori dell'haute cuisine abbiamo dovuto acquistare) e per finire strumenti di protezione visto che si maneggia una sostanza corrosiva e si provocano un paio di reazioni chimiche. 
La millantata potenziale pericolosità di queste procedure ovviamente ci aveva eccitato molto, quindi, quando ci siamo messi all'opera, una sera di dicembre nella nostra cucina, abbiamo indossato occhialoni da sci, mascherine antismog, grembiuli e guanti di plastica con la solennità di due scienziati a lavoro in un laboratorio a rischio di contaminazione e probabilmente con l'intima convinzione di sembrarlo davvero (le foto, purtroppo, smentiscono).  



Abbiamo versato a cucchiaiate la soda nell'acqua con grandi aspettative, ma tutto quello che è successo è che la temperatura è rapidamente salita a causa della reazione chimica, arrivando verso i 70° per poi cominciare lentamente a scendere. Niente degno di nota nemmeno nel successivo, cauto travaso della soluzione caustica ottenuta nell'olio. Frulliamo il tutto ottenendo una bella crema pasticciera di aspetto gustoso, aggiungiamo un po' di lavanda per non sembrare degli assoluti inesperti e coliamo il tutto negli stampi approntati per l'occasione: due contenitori in tetrapack riciclati, a cui avevamo tolto la parte superiore.
Il sapone è stato a nanna nei suoi stampi, ben avvolto da una coperta, per un paio di giorni, poi abbiamo sformato le mattonelle ottenute e le abbiamo tagliate in tante belle saponette d'aspetto molto rustico, che hanno subito un processo di impacchettamento degno di una bottega artigianale, con tanto di etichetta, disegno e avvertenze (il sapone fatto così deve stagionare almeno un paio di mesi, ma non avevamo avuto l'intelligenza di prepararlo in tempo perché arrivasse al Natale pronto all'uso, per cui invece di un "consumare entro", le persone che lo hanno ricevuto in regalo si sono ritrovate con un "non consumare prima di"). 
Ci siamo divertiti davvero, il nostro lavoro è stato apprezzato, e considerata la semplicità del processo consigliamo a tutti di mettersi alla prova. 
Con la ricetta che vi passiamo qui sotto si può ottenere un sapone veramente semplice e naturale al 100%. E saponificazione sia!


Ecco l'occorrente e gli ingredienti.
Per lavorare: 
-un termometro per alimenti
-bilancia elettronica
-una caraffa di vetro resistente al calore (a imboccatura larga)
-un contenitore di plastica
-un mestolo
-un cucchiaio di plastica
-una pentola di acciaio
-un frullatore a immersione
-stampi: in tetrapack, in silicone per dolci o ghiaccioli, scatole rivestite di carta forno etc…
-una vecchia coperta
-pellicola trasparente
Per proteggersi (ironia a parte è importante, la soda può essere molto pericolosa): 
-occhiali
-mascherina
-guanti
-grembiule
-carta di giornale per il piano di lavoro
Per il sapone: 
-1kg d'olio di oliva
-128 g di soda caustica
-300 g di acqua distillata


 Ecco come fare.
1. Proteggere se stessi e il piano di lavoro.
2. Pesare con la massima precisione tutti gli ingredienti: l'olio direttamente nella pentola, l'acqua distillata direttamente nella brocca, la soda caustica nel contenitore di plastica.
3. Mettere la brocca che contiene l'acqua dentro il lavello per limitare i danni in caso di incidenti e versare con estrema attenzione, a cucchiaiate, la soda dentro l'acqua, mescolando poi per scioglierla completamente. Attenzione, la temperatura sale molto velocemente. Lasciarla poi raffreddare.
4. Mettere a scaldare sul fornello la pentola con l'olio. Controllare col termometro la temperatura portandolo a 45° (ci vorrà poco) e spengere.
5. Aspettare che la soluzione caustica si sia raffreddata fino a raggiungere a sua volta i 45°. Quando i liquidi sono alla stessa temperatura versare con molta cautela la soda disciolta nell'acqua nella pentola dell'olio (mai fare l'inverso, attenzione!).
6. Mescolare con un mestolo, poi con il frullatore a immersione, fino a che la miscela non raggiungerà la consistenza di una crema soffice, che cade "a nastro".
7. Versare negli stampi, coprire la superficie con la pellicola se c'è bisogno e riporre gli stampi pieni avvolti in una coperta per conservare il calore durante il processo di saponificazione. Si può sformare e tagliare a piacere il sapone dopo due giorni, e usarlo aspettando come minimo un paio di mesi.

mercoledì 24 dicembre 2014

Natale




"La più enorme e originale delle idee alla base dell’Incarnazione è che una buona volontà s’incarni; che venga, cioè, messa in un corpo. Un regalo di Dio che può essere visto e toccato: se l’epigramma del credo cristiano ha un punto essenziale è questo. Lo stesso Cristo è stato un regalo di Natale. Una nota a favore dei regali materiali di Natale è stata buttata giù persino prima della Sua nascita, con i primi spostamenti dei saggi dell’Oriente e della stella: i Tre Magi giunsero a Betlemme portando oro, incenso e mirra.

Lasciate almeno che una notte le cose si illuminino dall'interno, e che gli uomini inseguano tutto ciò che è rimasto sepolto dentro di loro, scoprendo dietro cancelli serrati, finestre sbarrate e porte sprangate con triplici chiavistelli, il luogo dove si trova nascosto lo spirito della libertà."

(G. K. Chesterton)