mercoledì 31 ottobre 2018

Il ritorno delle Fettine Panate




Da bambina non guardavo gli anime. Per vari motivi, tra cui la diffidenza dei miei genitori rispetto all'animazione non-Disney e problemi tecnici di ricezione dei canali Mediaset, come raccontavo qualche tempo fa

In compenso ho il nitido ricordo di aver posseduto da piccolissima svariate audiocassette di Cristina d'Avena, probabilmente regali di conoscenti benintenzionati, che ho ascoltato fino a consumare il nastro. Questo è il motivo per cui conosco fin dalla prima infanzia le sigle più famose di quei cartoni animati che non ho mai visto e, insieme a queste tracce, alcuni strani componimenti che solo a distanza di molto tempo, da adulta, sono riuscita a identificare come canzoni componenti la colonna sonora di una serie tv di cui Cristina d'Avena era la protagonista, una studentessa in medicina che nel bel mezzo degli episodi prendeva a cantare vaghe liriche ispirate a temi pedestri anzichenò, come il valore della simpatia, la magia dei tredici anni, il logorio della vita moderna e via dicendo. All'epoca -avevo quattro o cinque anni- si trattava di testi per me assolutamente incomprensibili, come del resto le orecchiabili sigle riferite a cartoni che non guardavo (mi sono arrovellata a lungo sul significato della sigla degli Orsetti del Cuore), ma tutto mi si impresse nel cervello in maniera così profonda che a quasi trent'anni di distanza mi è stato sufficiente scorrere i titoli della compilation Arriva Cristina su Wikipedia per ricordare perfettamente tutti i brani.



Esplorando però questo oscuro mondo riportato alla luce da un meandro del mio cervello, mi sono resa conto che non si trattava che della punta dell'iceberg. Ho infatti scoperto che l'assurda serie con protagonista Cristina d'Avena nei panni di se stessa era in realtà uno spin-off di un prodotto televisivo ancora più improbabile: una versione live action dell'anime Kiss me Licia in cui Cristina d'Avena interpretava l'eponima eroina (!!!!!!). Sì, esiste (e probabilmente molti tra voi lo sapranno da sempre) una famiglia di telefilm degli anni '80, costituiti da un esorbitante numero di puntate, in cui Cristina d'Avena interpreta la Licia di Kiss me Licia (altro cartone giapponese di cui conoscevo la sigla grazie alle famose audiocassette senza averne mai vista una sola puntata) in un sequel con attori in carne ed ossa inventato di sana pianta dalla rete Fininvest per accontentare il pubblico italiano, che aveva amato a tal punto il cartone originale da trasformarlo in un fenomeno di culto.

Ma cosa sto guardando?!
Cristina d'Avena e un cast di attori vestiti e acconciati in maniera delirante per cercare di replicare nella realtà le improbabili fattezze dei personaggi disegnati vengono ridoppiati con le stesse voci dell'anime, per suggerire, immagino, maggior continuità col prodotto originale, con effetti disturbanti a dir poco. Abbiamo così interazioni allucinate tra un tizio con capelli giallo paglia macchiati di rosso e felpe sbiadite, ossia il love interest "trasgressivo" della protagonista, un tale coi baffi impomatati e una mise da pizzaiolo della Napoli ottocentesca che interpreta il padre, un inquietante pargolo bardato di cappelluccio sulla parrucca ricciuta nella parte del fratellino di lui, e l'immancabile gatto Giuliano (nome tipicamente giapponese) che è, beh, un gatto

Di gran lunga l'attore più espressivo.












La trama, già piuttosto debole in partenza (Licia è una ragazza acqua e sapone che intreccia una relazione con il frontman di una rock band, sotto gli auspici del fratellino minore nella parte dell'improbabile pronubo e malgrado l'ostilità del protettivo padre di lei) viene stirata e avviticchiata su se stessa per l'incredibile numero di centosettanta puntate, articolate in quattro diverse serie (Love me Licia, Licia dolce Licia, Teneramente Licia e Balliamo e cantiamo con Licia). Non ho il cuore di guardarle, ma la pressante domanda "come avranno fatto ad allungare il brodo a tal segno?" non resterà senza risposta.

Circolano infatti ormai in rete le serie integrali, dalle quali solerti internauti hanno estrapolato alcune sequenze diventate instant-cult. La più famosa è quella delle fettine panate, una punta inarrivabile nella storia della televisione italiana, quasi un'icona antropologica. E' una sequenza che dura poco più di un minuto e che vi darà la sensazione di essere sotto l'effetto di sostanze psicotrope mentre assistete allo sconcertante teatrino di Licia-Cristina, Mirko il cosiddetto rockettaro e il pargolo ricciuto che disquisiscono di fettine panate pronunciando per l'appunto queste parole ("fettine panate") non meno di una decina di volte in sessanta secondi. Guardatela. Però vi avverto: riderete, ma non vorrete rivederla una seconda volta. Il livello di trash inizialmente è talmente scioccante che la reazione naturale è la risata incredula. Ma resta sottopelle, come un'intossicazione, e lentamente comincia a rilasciare le tossine. Ripensandoci proverete disagio, addirittura un senso di malessere, l'impressione di aver visto qualcosa del nostro passato collettivo e nazionale che le sabbie del tempo avevano inghiottito e che archeologi dei massmedia hanno tratto alla luce in maniera improvvida, un po' come gli idoli d'oro dei templi aztechi nei film di Indiana Jones, sempre forieri di sventura. Forse è meglio che un certo passato rimanga nel buio per sempre.


Per esorcizzare, comunque, può aiutare l'ascolto sempreverde di Elio, con Arriva Clistere

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