martedì 2 febbraio 2016

Di là dalla rete



Mentre l'autunno declinava nell'inverno, è morta la nostra vicina di casa. Era una signora anziana e gentile che viveva sola, originaria del paese, mai sposata e rimasta nella casa della famiglia in cui era cresciuta, curando il suo giardino che confinava col nostro  e lo faceva sfigurare, soprattutto per via dei fiori bellissimi, facendo andare la lavatrice nel capanno attaccato alla parete del nostro bagno, stendendo i panni sul filo teso davanti al nostro lastricato.
Una signora ordinaria, attenta ad essere sempre "ben tenuta" e presentabile, che forse per questo dimostrava meno degli anni che aveva. D'estate, andando ad annaffiare al crepuscolo, sentivamo la sua televisione accesa in cucina mentre la canna spingeva il suo getto in mezzo all'odore dei pomodori maturi dell'orto. Uscendo di casa e salendo in macchina la incontravamo affaccendata sotto il piccolo pergolato, e ci scambiavamo saluti gentili, assecondando le sue chiacchiere un po' pettegole un po' affettuose. Curando il prato e l'orto, era quasi impossibile scampare ai lunghi bottoni che attaccava, ben contenta di avere qualcuno con cui parlare. 
Fin dal matrimonio avremmo voluto mettere un canniccio tra il suo giardino ed il nostro, appoggiato alla rete metallica che li separava e che non offriva alcuna privacy. Un po' seccati, avevamo sempre lasciato perdere, temendo che lo avrebbe preso come un segno di fastidio nei suoi confronti.  
Sono contenta che abbiamo rinunciato così a lungo da non aver più bisogno di chiederci se le avrebbe dato fastidio o le avrebbe fatto dispiacere.  

Pochi giorni ricoverata, giusto il tempo, per noi, di una visita - così apprezzata da lei che ci siamo sentiti in colpa per averlo deciso solo così, all'ultimo momento, perché avevamo un attimo libero. Le abbiamo dato la mano- le nostre mani sembravano così giovani intorno alle sue che erano così vecchie. E non sapevamo se eravamo noi a portarle un po' di vita e di giovinezza entrando nella sua stanza o lei che ci faceva sbirciare nella vecchiaia, nella morte, guardandoci dal guanciale del letto. Abbiamo detto "a presto", come si dice sempre. Sconcertati e impacciati dalla malattia e dalla debolezza. Imbarazzati e dispiaciuti.
Così, nell'autunno mite di quest'anno, è passata la morte per le sue vie misteriose, e sono rimaste le mollette sul filo da stendere e la casa chiusa e vuota, e i fiori che nessuno cura più, il capanno sbarrato con la porta che non può più sbattere se la notte tira vento, e la televisione spenta dietro le imposte serrate. E noi ci chiediamo stupiti com'è che sentiamo la mancanza di una signora solo gentile, solo vicina di casa, che trascorreva tranquillamente la sua vecchiaia gomito a gomito con noi e talvolta ci costringeva a pazientare con le sue chiacchiere. 
E ripensiamo ai giorni che non sapevamo fossero i suoi ultimi, e guardiamo da una posizione privilegiata cosa avviene di una casa, di una vita, del bozzolo che una persona costruisce intorno a sé quando il quid fugge via. 
E come sono diverse le cose senza l'uomo ad animarle, e come sembra strano il filo per stendere se non è più semplicemente senza panni stesi, ma senza più panni da stendere. E che cos'è che rende l'umano diverso dalla polvere di cui pure è fatto anch'esso, e cosa abitava nel giardino di Silvana, nella casa di Silvana, nel corpo anziano di Silvana che non era il giardino, non era la casa, non era il corpo. Cos'era, che è misteriosamente fuggito via sul finire dell'autunno -senza clamore, senza troppo lutto, senza grandi sconvolgimenti, senza che in nulla alcunchè sembri mutato- eppure tutto è diverso, diverso.  
E mettendo il canniccio che temevamo potesse dispiacerle, adesso che sicuramente non se ne dispiace, ancora avvertiamo l'impronta lasciata di là dalla rete da qualche parola gentile, da qualche pettegolezzo, da qualche saluto veloce. 


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